16 Gennaio 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI CRITICA NEI CONFRONTI DEL DATORE DI LAVORO NON GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA SE LA CRITICA E’ ESTERNATA NEI LIMITI DELLA CONTINENZA FORMALE E SOSTANZIALE.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 26930 DEL 23 DICEMBRE 2016

La Corte di Cassazione, sentenza n° 26930 del 23 dicembre 2016, ha (ri)statuito che la critica del dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro, se posta in essere nei limiti della continenza formale e sostanziale, senza che possa ledere l'immagine aziendale, anche sotto il profilo del danno economico, è da ritenersi pienamente legittima e, conseguentemente, non può costituire giusta causa di licenziamento.

Nel caso de quo, una lavoratrice veniva licenziata, per giusta causa, in quanto, attraverso una missiva dai toni particolarmente “accesi”, indirizzata alla proprietà aziendale, prendeva le “difese” di un altro prestatore, destinatario di svariate contestazioni disciplinari.

La Magistratura, adita dalla subordinata, sanciva, sia in I° grado che in Appello, l'illegittimità dell'atto di recesso datoriale.

L'azienda ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum dei gradi di merito, hanno evidenziato che l'esercizio del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, ovvero dei diretti superiori gerarchici, è pienamente legittimo a condizione che lo stesso non travalichi il limite della continenza formale e sostanziale, non andando a pregiudicare l'immagine societaria, anche ai fini prettamente economici.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina la lavoratrice, seppur con toni “forti”, aveva esclusivamente preso le difese di un altro dipendente, ingiustamente (a suo giudizio) oggetto di diverse contestazioni disciplinari, ma senza arrecare alcun danno al datore di lavoro, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno confermato l'illegittimità dell'atto di recesso datoriale già sancita nei giudizi di prime cure.

LA MANCATA PREDETERMINAZIONE NEL CONTRATTO DI LAVORO PART-TIME DELLA DISTRIBUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO LEGITTIMA IL LAVORATORE AL DIRITTO ALLA CORRESPONSIONE DI UN ULTERIORE EMOLUMENTO A TITOLO DI RISARCIMENTO DEL DANNO.

CORTE DI CASSAZIONE– SENTENZA N. 27553 DEL 30 DICEMBRE 2016

La Corte di Cassazione, sentenza n° 27553 del 30 dicembre 2016, ha statuito che la mancata predeterminazione dell'orario di lavoro, in un contratto part time, costituisce inadempimento in danno del lavoratore al quale sarebbe precluso di programmare le altre attività cui potrebbe dedicarsi.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Milano, nel confermare la decisione resa dal giudice di primo grado, rigettava l'appello della società Autostrade per l'Italia Spa e ammetteva il risarcimento del danno per la illegittima formalizzazione del contratto part time carente della puntuale predeterminazione della distribuzione dell'orario di lavoro nel giorno, nella settimana, nel mese e nell'anno.

La società soccombente ricorreva in Cassazione.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e confermato il decisum dei gradi di merito. In particolare, gli Ermellini hanno evidenziato che la distribuzione dell'orario della prestazione, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, integra il nucleo stesso del contratto di lavoro part time e la ragion d'essere della particolare garanzia costituita dalla forma scritta, che assolve alla funzione di evitare che il datore di lavoro, avvalendosi di una carente o generica pattuizione sull'orario, possa modificarla a proprio piacimento. Deve, inoltre. escludersi, hanno continuato gli Ermellini, l'ammissibilità di pattuizioni, come paventato dalla società ricorrente, che espressamente attribuiscono al datore di lavoro di variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, atteso che una simile pattuizione toglierebbe al lavoratore la possibilità di programmare altre attività con le quali integrare il reddito ricavato dal lavoro a tempo parziale.

IL CONTRATTO DI LOCAZIONE NON REGISTRATO E’ NULLO ED IL CONDUTTORE NON DEVE PAGARE L’AFFITTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE CIVILE – SENTENZA N. 25503 DEL 13 DICEMBRE 2016

La Corte di Cassazione – Sezione Civile -, sentenza n° 25503 del 13 dicembre 2016, ha statuito che il contratto di locazione non registrato è nullo per cui il conduttore non deve pagare l'affitto.

Nel caso in specie, una signora aveva stipulato un contratto ad uso non abitativo, la cui controparte non aveva mai corrisposto il canone di locazione pattuito.

Il locatore provvedeva allora a citare in giudizio il conduttore chiedendo la risoluzione del contratto di locazione ed il risarcimento del danno da illegittima occupazione.

La parte convenuta si costituiva in giudizio eccependo di non avere mai stipulato alcun contratto di locazione, ma solo di averne concordato la futura stipula.

Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda, sentenza poi riformata in appello sul presupposto che il contratto di locazione era inefficace perché non registrato ma, l’inefficacia del contratto non esimeva l’occupante dall’obbligo di pagare il canone pattuito ai sensi dell’articolo 1458 del Codice civile, “come corrispettivo della detenzione intrinsecamente irripetibile”.

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte del conduttore.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio con la sentenza de qua, rifacendosi al dato letterale dell'articolo 1, comma 346, della legge n.311/2004 che stabilisce chiaramente che "i contratti di locazione (…) sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati", hanno accolto in toto il ricorso, riconoscendo la nullità del contratto di locazione e ricordando che non si può non tener conto del fatto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 420 del 5 dicembre 2007, abbia affermato che la suddetta norma ha elevato "la norma tributaria a rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell'art. 1418 cod. civ.".

Pertanto, hanno affermato i Giudici delle leggi, dal mancato rilievo della nullità del contratto sono scaturiti, da parte del Giudice d’Appello, altri due errori di diritto, ovvero:

  • l’avere ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 1458 c.c., norma che disciplina la risoluzione per inadempimento dei contratti di durata e non gli effetti della nullità, i quali sono invece disciplinati dalle norme sull’indebito oggettivo, da quelle sul risarcimento del danno aquiliano (nel caso di sussistenza degli altri presupposti dell’illecito extracontrattuale), ovvero da quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale;
  • l’avere equiparato l’obbligo di pagare il canone, scaturente dal contratto e determinato dalle parti, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per la perduta disponibilità dell’immobile, scaturente dalla legge e pari all’impoverimento subito.

Per i suesposti motivi, hanno concluso gli Ermellini, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello, la quale nel riesaminare la vicenda si atterrà ai seguenti principi di diritto:

a) il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346, della Legge 311/2004;

b) la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’art. 2033 c.c., e non dall’art. 1458 c.c.;

c) l’eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, il diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., od al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 codice civile.

Nel caso di omessa dichiarazione IVA, è possibile portare in detrazione il relativo credito l'anno successivo
 

NEL CASO DI OMESSA DICHIARAZIONE IVA, E’ POSSIBILE IL RECUPERO DEL RELATIVO CREDITO IVA SE REGOLARMENTE RIPORTATO NELLA DICHIARAZIONE SUCCESSIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 127  DEL 4 GENNAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 127 del 4 gennaio 2017, ha statuito che in caso di omessa dichiarazione IVA, l’eventuale credito spettante può essere portato in detrazione nella dichiarazione dell’anno successivo laddove il Giudice Tributario valuta la sussistenza dei requisiti sostanziali di spettanza del diritto.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, ribaltando il decisum dei Giudici Territoriali, hanno accolto in toto le doglianze di una società che aveva omesso di presentare una dichiarazione IVA nella quale vantava un credito di imposta maturato nell’esercizio, che veniva riportato dalla stessa società nella dichiarazione IVA dell’anno successivo.  L’Agenzia delle Entrate disconosceva integralmente la detrazione e, dopo il consueto controllo automatizzato, emetteva una cartella di pagamento per il recupero delle somme portate in detrazione oltre a sanzioni e interessi.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno rilevato che anche in mancanza della dichiarazione annuale, il credito maturato può essere comunque detratto in quanto la norma prevede che il diritto spetta a condizione che sia esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello di maturazione, e ribadito, in ogni caso, che «la neutralità dell'imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l'eccedenza d'imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto  è sorto, va riconosciuta dal Giudice Tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione».

Orbene, essendo incontestato che la società contribuente avesse posto in essere i presupposti "sostanziali" per avvalersi della detrazione de qua, rilevata la presentazione della dichiarazione IVA successiva a quella omessa con l’esposizione del relativo credito per IVA passiva, la S.C. ha riconosciuto il diritto alla detrazione.

 

IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA DELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE DEVE ESSERE NECESSARIAMENTE ARMONIZZATO CON IL TEMPO NECESSARIO PER CONSENTIRE AL DATORE DI AVERE LA PIENA CONTEZZA DEI FATTI ADDEBITATI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 50 DEL 3 GENNAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 50 del 3 gennaio 2017, ha statuito che, in tema di licenziamenti disciplinari, il principio di tempestività deve essere valutato con riferimento al momento in cui il datore di lavoro ha piena conoscenza dei fatti, non rilevando i soli sospetti.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Ancona, confermando la sentenza del Tribunale di primo grado, respingeva l'impugnativa di  licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente di Trenitalia per aver utilizzato 238 biglietti per fini personali, rivendendoli o traendone illeciti rimborsi.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione, basando il ricorso su cinque motivi. In particolare, rilevava la tardività della contestazione disciplinare e del provvedimento stesso di licenziamento rispetto a quanto previsto dal CCNL di riferimento, trattandosi di fatti risalenti ad oltre 11 mesi prima.

Nel caso de quo, gli Ermellini, hanno ritenuto corretto il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, ribadendo che la tempestività di una contestazione disciplinare deve essere valutata dal momento in cui il datore di lavoro ne ha piena conoscenza. I quasi 12 mesi trascorsi dalla contestazione al provvedimento, e due commissioni d'indagine, sono risultati congrui per la complessità delle operazioni di verifica di ben 238 biglietti falsificati ed illecitamente manipolati in soli 4 mesi. Di conseguenza, il ricorso è stato rigettato e le spese di giudizio addebitate alla parte soccombente.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

Condividi:

Modificato: 16 Gennaio 2017