20 Marzo 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI FEBBRAIO 2017.

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Febbraio 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Febbraio 2017 è pari a 0,77343 e l’indice Istat è 101,00.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO IRROGATO PER VIOLAZIONE DI NORME PENALI OVVERO DEL COSIDETTO “MINIMO ETICO” ANCHE IN ASSENZA DELLA DOVUTA PUBBLICITA' DEL CODICE DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 4826 DEL 24 FEBBRAIO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4826 del 24 febbraio 2017, ha (ri)statuito la piena legittimità del licenziamento intimato al dipendente, anche in assenza della necessaria preventiva affissione del codice disciplinare, laddove il comportamento del prestatore costituisca una violazione di norme penali ovvero del cosiddetto “minimo etico” richiesto nell'espletamento della prestazione lavorativa.

Nel caso de quo, un dipendente di un Ente locale, all'esito del procedimento disciplinare, veniva licenziato per aver registrato la propria presenza, sul luogo di lavoro, allontanandosi, poco dopo, senza alcuna valida motivazione e, soprattutto, senza effettuare la “timbratura di uscita”.

Il subordinato adiva la Magistratura sostenendo di aver registrato il proprio allontanamento, dalla sede di lavoro, su alcuni “fogli firma” manuali a causa dal malfunzionamento del badge elettronico, ed evidenziando, al contempo, la mancata affissione del codice disciplinare in luogo visibile ed accessibile a tutti.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, il dipendente ricorreva in Cassazione.

Orbene gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno evidenziato che, nel caso di violazione di norme penali, o di comportamenti che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”, l'atto di recesso datoriale è pienamente legittimo anche in assenza della dovuta pubblicità, mediante affissione preventiva, del codice disciplinare.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina, il dipendente si era allontanato ingiustificatamente dal lavoro, senza effettuare la necessaria registrazione, e che tale comportamento, insieme a svariati ritardi, era stato posto in essere più volte,  i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso, confermando la piena legittimità del licenziamento evidenziando che, l'affissione del codice disciplinare è essenziale nei casi di comportamenti che violano mere prassi operative non integranti usi normativi o negoziali.

 

AI FINI DELLA NON PUNIBILITA’ PER I REATI DI OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE IL PAGAMENTO INTEGRALE DELLE IMPOSTE E’ AMMESSO FINO AL MOMENTO IN CUI LA SENTENZA NON DIVENTA DEFINITIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 11417 DEL 9 MARZO 2017.

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 11417 del 9 marzo 2017, ha stabilito, in tema di reati tributari, per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n° 158/2015, l’estinzione del reato mediante pagamento degli importi dovuti, anche qualora alla data predetta era già stato aperto il dibattimento.

Nel caso de quo, un contribuente veniva condannato per il reato di omesso versamento di ritenute certificate per un importo superiore ad euro 200 mila, come previsto dall’art. 10 bis del D.Lgs. n° 74/2000. La Corte d'Appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, nel ridurre la pena inflitta a 4 mesi di reclusione, confermava la sentenza del primo Giudice, rigettando la richiesta dell’imputato di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, per la particolare gravità della condotta criminosa ed in assenza della spontaneità del pagamento delle imposte avvenuto dopo ben 4 anni dall’apertura del procedimento e del relativo dibattimento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il contribuente invocando lo ius superveniens relativamente alla causa di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. n° 74/2000, introdotta dall’art. 11, D.Lgs. n° 158/2015, avendo provveduto al versamento dell’intero importo delle imposte evase.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso confermando la fondatezza del motivo con il quale è stato invocato lo ius superveniens. La norma, hanno continuato gli Ermellini, introdotta dal D.Lgs. n° 158/2015, prevede la non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, D.Lgs. n° 74/2000, a condizione che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado i debiti tributari siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito di accertamento con adesione o ravvedimento operoso.

Sul punto, i Giudici di legittimità, condividendo la recente decisione n° 40314/2016, hanno argomentato sostenendo che la modifica normativa, pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, implica, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n° 158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione procedimentale. Ciò è imposto dal principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, dovendosi ritenere che il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n° 158/2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato.  

 

PER LA CASSAZIONE LEGITTIMA L’IMPUGNAZIONE ANCHE SE LA CONTESTAZIONE NON RIGUARDA I VIZI PROPRI DELLA CARTELLA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 5129 DEL 28/02/2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n°5129 del 28 febbraio 2017, ha statuito che il ricorso avverso la cartella di pagamento non si può limitare alla sola contestazione dei vizi propri, ma può anche essere basato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, cassando con rinvio la precedente sentenza di appello favorevole all’Agenzia delle Entrate, hanno accolto le doglianze di un professionista che contestava una cartella di pagamento emessa ai sensi dell'art. 36 bis DPR n.600/73 a titolo di saldo IRAP per l'anno di imposta 2003, ribadendo che l’impugnazione delle cartelle di pagamento emesse a seguito di controllo automatizzato non può essere limitata ai soli vizi della cartella di pagamento escludendo a priori i dati in essa contenuti.

Ex adverso, la sentenza dei Giudici Territoriali, evidenziava come “il ricorso del contribuente si deve limitare alla contestazione dei vizi propri della cartella e niente altro”, ritenendo che il contribuente potesse far valere esclusivamente irregolarità della cartella di pagamento in quanto egli stesso aveva indicato nella dichiarazione l'imposta e il valore correlato, ponendosi, così, in aperto contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia.

In nuce, gli Ermellini hanno ribadito che l'impugnazione della cartella di pagamento, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell'art. 36 bis DPR n.600/73, non è in alcun modo preclusa dal fatto che l'atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe l’irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono emendabili in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione (Cass.Civ. sentenza n. 9872 del 05/05/2011), ed inoltre va definitivamente sancito che la cartella di pagamento derivante dal controllo automatizzato può essere impugnata, ex art. 19 DPR n.546/92, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, poiché essa non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante.

 

OBBLIGO DI DEPOSITO PER LA CARTELLA DI PAGAMENTO SOLO SE NOTIFICATA CON L'UFFICIALE GIUDIZIARIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 4805 DEL 24 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 4805 del 24 febbraio 2017, ha statuito che è onere dell’Agente di riscossione depositare in giudizio la copia della cartella notificata, ovvero la matrice, oltre alla relata di notifica ma, esclusivamente nel caso in cui la notifica de qua sia stata eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, ex adverso la notifica eseguita a mezzo posta può essere provata depositando il solo avviso di ricevimento della raccomandata con indicazione del numero della cartella notificata, unitamente all’estratto di ruolo.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour hanno annullato con rinvio il decisum della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro accogliendo in toto le doglianze dell’Agente di riscossione a fronte della contestazione mossa dal contribuente ricorrente relativa alla mancata notificazione di una cartella di pagamento. Il ricorso verteva sull’impugnazione da parte di un contribuente di un’iscrizione ipotecaria eseguita da Equitalia avente a base cartelle di natura erariale, con contestazione della mancata notifica delle prodromiche cartelle, fatto che avrebbe inficiato l’esistenza del debito e, quindi, la legittimità stessa dell’ipoteca. I Giudici Territoriali avevano rilevato che l’esattore avrebbe dovuto produrre in giudizio la copia delle cartelle, avendo peraltro obbligo di conservarle per almeno cinque anni.

Con la sentenza de qua, invece, risulta determinante per gli Ermellini la modalità di notificazione delle presupposte cartelle, avvenuta per il tramite del mezzo postale, infatti, l’obbligo di depositare la copia della cartella o della matrice, risulta senz’altro valido per quanto attiene le notificazioni eseguite tramite ufficiale giudiziario o messo, disciplinate dal DPR n.602/73 art. 26 c.1 p.1. Al contrario, le notifiche postali sono regolate dalla seconda parte del citato comma, che ravvisa come unico onere dell’esattore quello di depositare l’avviso di ricevimento della raccomandata, sul quale deve essere riportato il numero della cartella, non essendoci alcun obbligo di depositare la cartella stessa o la matrice, risultando pienamente sufficiente l’estratto di ruolo.

 

LA RETRIBUZIONE DEI LAVORATORI PART-TIME NON DEVE ESSERE MENO FAVOREVOLE DI QUELLA DEI LAVORATORI A TEMPO PIENO.                                          

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6087 DEL 9 MARZO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6087 del 9 marzo 2017, ha chiarito che la retribuzione di un lavoratore part-time non può essere inferiore a quella di un lavoratore a tempo pieno; i criteri di classificazione sono stabiliti dai contratti collettivi.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Milano, in linea con il Tribunale di primo grado, riteneva discriminatorio il comportamento tenuto da Autostrade per l'Italia nei confronti di una lavoratrice P.T., con orario di 80 mensili articolati su turni di 8 ore, con minimo di 10 giorni al mese e 120 giorni all'anno, che vedeva la retribuzione oraria inferiore a quella prevista per il personale a tempo pieno. Tale differenza, si basava esclusivamente su un mero principio di maggiore continuità e diverso avvicendamento da parte dei lavoratori a tempo pieno. 

Nel caso de quo, gli Ermellini, hanno ricordato che viene leso il principio di non discriminazione ogni qual volta il trattamento retributivo di un lavoratore part-time risulti meno favorevole di un lavatore a tempo pieno. L'unico elemento di comparazione da utilizzare è la classificazione prevista dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, dai contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e quelli aziendali stipulati dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali. Quindi, il comportamento dell'azienda è stato palesemente discriminatorio in quanto la Legge non ammette criteri alternativi di inquadramento del personale. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 20 Marzo 2017