27 Marzo 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE FONDATO ESSENZIALMENTE SU VERBALI ISPETTIVI EMESSI DA SOGGETTI TERZI AL RAPPORTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6534 DEL 14 MARZO 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6534 del 14 marzo 2017, ha statuito che è da ritenersi legittimo il licenziamento intimato, all'esito del procedimento disciplinare, (quasi) esclusivamente sulla scorta di verbali ispettivi, notificati da Enti pubblici, a condizione che tali atti vengano espressamente richiamati nella lettera di contestazione.

Nel caso de quo, un direttore della ristorazione, occupato presso una mensa, veniva licenziato, al termine del necessario procedimento disciplinare – ex art. 7 della L. n° 300/70 -, in quanto, a seguito di due diverse verifiche ispettive poste in essere dall'ASL, venivano sanzionate gravi carenze nell'igiene e pulizia degli impianti, imputabili al suo mancato adempimento dell’obbligo di vigilare.

Il subordinato adiva la Magistratura contestando la genericità della lettera di contestazione disciplinare che, essenzialmente, si rifaceva ai verbali rilasciati dall'ASL.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, il dipendente ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno evidenziato che soddisfa il criterio della specificità e puntualità della contestazione disciplinare, la missiva che, esponendo brevemente l'accaduto, addebitato al prestatore, rinvia a verbali rilasciati da Enti pubblici (nel caso di specie l'ASL) allegati alla contestazione stessa,

Pertanto, atteso che nel caso in disamina, l'azienda datrice di lavoro aveva allegato copie dei verbali ispettivi alla lettera di contestazione disciplinare, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso, confermando la piena legittimità del licenziamento, ritenendo pienamente rispettato il principio della analiticità e specificità della contestazione disciplinare.


L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO NON PUÒ BASARSI SULL’APPLICAZIONE AUTOMATICA DEGLI STUDI DI SETTORE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 5183 DEL 28 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria-, sentenza n° 5183 del 28 febbraio 2017, ha statuito che l’accertamento induttivo non può basarsi solo ed esclusivamente sull’applicazione automatica degli studi di settore, i giudici tributari devono intervenire nel merito quando ravvisano che l'accertamento è invalido per motivi sostanziali.

Nel caso in specie a carico di un contribuente esercente attività di laboratorio di fotografia veniva emesso avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004 fondato esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore.

Il contribuente ricorreva prontamente alla giustizia tributaria. La C.T.P. annullava parzialmente l’avviso di accertamento, sentenza che veniva confermata dalla C.T.R..

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte del contribuente che poneva tra i propri motivi di gravame l’omessa e insufficiente motivazione da parte del Giudice d’Appello per non aver dichiarato l’illegittimità dell’accertamento induttivo fondato solo sull’applicazione automatica degli studi di settore senza considerare gli elementi di prova forniti a giustificazione dei minori ricavi rispetto a quelli standard.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno accolto in toto i motivi di ricorso del contribuente cassando la sentenza impugnata.

In particolare gli Ermellini hanno evidenziato come la C.T.R. nella propria sentenza d’appello si sia limitata ad una sintesi sommaria della decisione di primo grado, che ha ritenuto di condividere senza, tuttavia, in alcun modo chiarire le ragioni, gli elementi di fatto e le argomentazioni giuridiche poste a fondamento della soluzione accolta, né vagliare i motivi di appello formulati dal contribuente, tra cui la concorrenza sleale di due dipendenti. I due avevano infatti avviato un’attività in concorrenza, tanto che la vicenda era anche finita davanti al giudice del lavoro. Tale dato, insieme ai documenti contabili, non permettevano di comprendere l’iter logico che soggiaceva alla decisione del giudice di merito.

Pertanto, hanno concluso i Giudici nomofilattici, “le affermazioni (id: le conclusioni) del giudice della C.T.R. sono state meramente astratte”, in quanto “il giudice tributario, qualora ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. Vale, infatti, in materia fiscale, il principio secondo cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento dell'ufficio”.

 

RISULTA LEGITTIMO L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO IN CASO DI DICHIARAZIONE PRESENTATA OLTRE I 90 GIORNI, IN QUANTO LA SUDDETTA FATTISPECIE È ASSIMILABILE ALL’OMESSA PRESENTAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 4785 DEL 24 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 4785 del 24 febbraio 2017, ha statuito che l’accertamento extracontabile (articolo 39, comma 2, D.p.r. 600/1973) è legittimo anche in caso dichiarazione presentata con ritardo superiore ai novanta giorni, essendo la suddetta fattispecie assimilabile all’omessa presentazione, per cui l’ufficio fiscale può adottare qualsiasi elemento probatorio per rideterminare il reddito in capo al contribuente.

IL FATTO

Una società in liquidazione aveva presentato tardivamente (oltre i 90 giorni dal termine ultimo) la dichiarazione dei redditi per l'anno d’imposta 2000 e l'Ufficio fiscale aveva provveduto ad elevare un accertamento con il quale aveva quantificato il maggior reddito con un ricarico del 15%.

Investita della relativa impugnazione, proposta dai liquidatori dell'anzidetta società, la C.T.P. partendo dal presupposto che non erano stati indicati i dati, le notizie, le presunzioni e gli elementi di fatto su cui si basava l’accertamento, lo riteneva carente sotto l'aspetto motivazionale, determinando una percentuale di redditività media pari al 9%.

Successivamente, il giudice d’appello accoglieva in toto i motivi di gravame della società annullando del tutto l’accertamento per l’assenza di alcun collegamento a riscontri oggettivi ed affermando che “…la ricostruzione dell’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato appariva fortemente viziata non essendo supportata da elementi probatori certi…”.

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, che tra i vari motivi di gravame, evidenziava come la presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore ai novanta giorni rispetto alla scadenza del termine previsto dalla legge, andasse assimilata alla sanzione prevista per omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazioni nulle.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno ritenuto fondato il suddetto motivo di gravame proposto dall’Amministrazione finanziaria, evidenziando come “il giudice di secondo grado sia incorso in una affermazione peraltro apodittica, in merito alla mancanza di elementi probatori certi e di dati oggettivi in grado di giustificare la ricostruzione operata dall'Ufficio” nell’avviso di accertamento impugnato, considerando che l'art. 2, D.P.R. n. 322/98 norma che "le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni", come quella nel caso in discussione, “si considerano omesse", pur costituendo "titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d'imposta".

Di conseguenza, hanno concluso gli Ermellini, “attraverso il riferimento alla norma appena citata, sussiste un indubbio parallelismo tra dichiarazione presentata fuori termine e omessa dichiarazione, per cui, riferendosi ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, la normativa di riferimento consente all’ufficio di adottare qualsiasi elemento probatorio, a suo favore, al fine di rideterminare il reddito in capo al contribuente interessato, la sentenza impugnata risulta fondata su di un evidente errore di diritto, e va cassata”.

Attenzione quindi alla tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi, in quanto per quanto sopra l’Amministrazione finanziaria potrà procedere non solo alla rettifica dei ricavi ma anche alla legittima contestazione della deducibilità di costi e della detraibilità dell’Iva per assenza del fondamentale requisito della certezza.


ILLEGITTIMO L’ACCERTAMENTO NEL CASO IN CUI LA CONTABILITÀ NON VIENE ESIBITA PER CAUSA NON IMPUTABILE AL CONTRIBUENTE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 5914 DELL’8 MARZO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 5914 dell’8 marzo 2017, ha statuito che è illegittimo l’accertamento al contribuente che omette di esibire il registro delle fatture momentaneamente indisponibile e ritrovato solo dopo la notifica dell’accertamento in una sede dell’azienda in cui sono stati apposti i sigilli per effetto di un fallimento, in quanto tale circostanza può rappresentare una causa di forza maggiore.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour con la sentenza de qua, confermando la sentenza favorevole dei Giudici Territoriali, hanno bocciato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, per un accertamento IRPEF notificato al curatore del fallimento per maggiore imposta accertata, ritenendo l’istanza del ricorrente, oggettivamente fondata e pienamente valide le ragioni esposte, in quanto il registro delle fatture non era stato esibito perché non era nella disponibilità della curatela e solo successivamente alla notifica dell’accertamento è stato rinvenuto in una sede dell’impresa in cui erano stati apposti i sigilli su disposizione del Giudice fallimentare.

Gli Ermellini, inoltre, hanno ricordato come “la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiesti dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale.”

In nuce, per la S.C., l’art. 52, c. 5, del DPR n. 633/1972, riveste un carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 della Costituzione, in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti.

 

LA GIUSTA CAUSA HA UN CONTENUTO ELASTICO ED INDETERMINATO CHE NECESSITA DI ESSERE COLMATO IN VIA INTERPRETATIVA, VALUTANDO SIA LE QUESTIONI DI FATTO CHE DI DIRITTO.                                       

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6985 DEL 17 MARZO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6985 del 17 marzo 2017, chiarisce che la giusta causa ha un contenuto elastico ed indeterminato che necessita di essere colmato in via interpretativa, valutando sia le questioni di fatto che di diritto.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Firenze, in riforma del Tribunale di Firenze, annullava il licenziamento di un dipendente, ordinando la reintegra ed il pagamento di un'indennità oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali dal licenziamento alla reintegrazione. L'azienda resisteva con quattro motivi a fondamento del proprio gravame, di cui due incidentali.

Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso ritenendo corrette le valutazioni logico giuridiche attraverso le quali i giudici di merito sono giunti all'annullamento del licenziamento.  Di particolare interesse è stata la decisione della Corte circa il primo motivo del ricorso, secondo la ricorrente il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo dovrebbe avvenire in conseguenza a gravi fatti inerenti il rapporto di lavoro ed in particolare lesivi del vincolo fiduciario. Secondo la Suprema Corte, la giusta causa è una nozione di Legge che intende comprendere un insieme di disposizioni, quali la correttezza, l'obbligo di lealtà, di fedeltà e la buona fede. Quindi, la giusta causa ha un contenuto elastico ed indeterminato, caratterizzato da questioni di fatto e di diritto che necessariamente vanno integrate in sede di giudizio attraverso valutazioni e giudizi che si possono evincere dalla coscienza sociale o dal costume o dall'ordinamento giuridico o da regole riguardanti alcune cerchie sociali o particolari discipline o arti e professioni. Il tutto allo scopo di poter giungere a conclusioni conformi al diritto ed al tempo stesso più ragionevoli e consone alla realtà. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

  Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 27 Marzo 2017