5 Febbraio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

I COMPONENTI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE SONO TUTTI RESPONSABILI PER L’OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 2741 DEL 23 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 2741 del 23 gennaio 2018, ha statuito che i componenti del consiglio di amministrazione di una Srl sono tutti penalmente responsabili per l’omesso versamento delle ritenute di ammontare superiore alla soglia di punibilità.

Nel caso de quo, i componenti del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata, nella quale la gestione dell’ordinaria amministrazione era affidata a più persone disgiuntamente, venivano perseguiti penalmente e civilmente per l’omesso versamento di ritenute per un importo di euro 168.839,62 relative all’anno d’imposta 2014. A seguito di tale imputazione i predetti componenti adivano la Magistratura sostenendo che la responsabilità dovesse essere attribuita esclusivamente al legale rappresentante che firmava le certificazioni inerenti le ritenute e le relative dichiarazioni utili ai fini fiscali.

Soccombenti nei gradi di merito, i componenti del C.d.A. ricorrevano in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell’avallare in toto il decisum di prime cure, hanno evidenziato che nelle società a responsabilità limitata, se l’amministrazione ordinaria è affidata a più persone disgiuntamente ciascun amministratore è autonomamente e singolarmente in grado di porre in essere gli atti estintivi delle obbligazioni che impegnano la società. Inoltre, il pagamento dell’obbligazione tributaria costituisce atto giuridico che qualunque amministratore può validamente compiere non trattandosi di atto di gestione in senso stretto.  

Pertanto, atteso che nel caso de quo l’amministrazione era affidata disgiuntamente ai vari componenti del consiglio di amministrazione anche se la sottoscrizione delle certificazioni delle ritenute e delle dichiarazioni fiscali veniva effettuata dal solo legale rappresentante della società, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la responsabilità dell’intero c.d.a. per l’omesso versamento di ritenute certificate oltre soglia di punibilità.

 

E' LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE ATTESTI FALSAMENTE LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITA' ELETTORALI AL FINE DI CONSEGUIRE IL DIRITTO AL RIPOSO COMPENSATIVO. 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 1631 DEL 23 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1631 del 23 gennaio 2018, ha statuito che la consegna al datore di lavoro di un falso certificato che attesti l'attività elettorale da parte di un lavoratore, al fine di vedersi riconosciuto il diritto ad una giornata di riposo compensativo, integra la legittimità del licenziamento per giusta causa.

Nel caso in esame, il Tribunale di Potenza aveva respinto il ricorso di un lavoratore che invocava l'illegittimità del licenziamento intimato per aver fruito indebitamente di un riposo compensativo conseguente a dedotti impegni elettorali, essendo emerso che nella giornata indicata nel certificato presentato, non aveva svolto alcuna attività in tal senso. Non dello stesso avviso la Corte d'Appello di Potenza che, giudicando sulla proporzionalità della sanzione comminata, aveva ritenuto illegittimo il provvedimento espulsivo adottato dal datore di lavoro.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice ribadendo la gravità della condotta del lavoratore che, con il proprio comportamento, aveva leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario intercorrente.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso sul rilievo che, nella fattispecie, non può essere unicamente considerato il dato fenomenico dell'assenza ingiustificata senza valutare il consapevole utilizzo di una falsa certificazione. In particolare, hanno spiegato gli Ermellini, il lavoratore, pur non avendo svolto alcuna attività elettorale aveva consegnato un falso certificato – "falsità di cui non poteva evidentemente non rendersi conto" – chiedendo ed usufruendo illegittimamente di un giorno di riposo compensativo. Tale comportamento non può ricondursi ad un mero disguido o confusione sulla data, né ad una mera assenza ingiustificata, ma al consapevole uso di un attestato falso al fine di usufruire di un riposo non spettante, ipotesi ricompresa nel concetto di giusta causa ex art. 2119 c.c..


E’ SOGGETTO PASSIVO IRAP IL PROFESSIONISTA CHE SI AVVALE DI UN PRATICANTE SE L’OPERA DI QUEST’ULTIMO PORTA AD UN CONCRETO INCREMENTO DELLA PRESTAZIONE INTELLETTUALE FORNITA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 1723 DEL 24 GENNAIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 1723 del 24 gennaio 2018, ha statuito che è soggetto passivo IRAP il professionista, che nell’espletamento della propria attività professionale si avvale della collaborazione di un praticante la cui opera contribuisce ad accrescere la prestazione intellettuale ed i servizi forniti dallo studio professionale.

Nel caso in specie, un consulente finanziario aveva ricevuto avviso di accertamento in tema IRAP relativamente agli anni 1999-2001, cui faceva ricorso per il mancato requisito dell'autonoma organizzazione.

In entrambi i giudizi di merito il professionista risultava vittorioso, per cui l’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione lamentando:

  • violazione di legge laddove la C.T.R. aveva operato un’inammissibile scissione fra il contributo personale del contribuente alla formazione del reddito e l’apporto della struttura di cui si era avvalso. Apporto che, per esser rilevante di fini della imposizione Irap, è sufficiente che abbia consentito un concreto incremento della prestazione intellettuale fornita alla clientela dal contribuente.
  • il difetto di motivazione in quanto non si era spiegato come il contributo offerto dal figlio, pur assunto come praticante, non avesse determinato alcun incremento della prestazione del contribuente.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, hanno accolto in toto i motivi di gravame dell’Agenzia delle Entrate, rinviando alla C.T.R. per un nuovo esame in quanto in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell’autonoma organizzazione”, richiesto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, nel caso di specie la C.T.R. non poteva  “limitarsi ad affermare che l’apporto di un praticante non avesse di per sé potuto costituire un concreto incremento della prestazione intellettuale, ma avrebbe dovuto vagliare se il professionista che se ne era avvalso avesse, con tale apporto, certamente di natura intellettuale e proprio della professione da questi esercitata, accresciuto il valore della consulenza fornita ai clienti dello studio, considerando anche che si era determinato a corrispondere a tale collaboratore un emolumento.”

 

LA PRESCRIZIONE DEI CONTRIBUTI A PERCENTUALE DECORRE DALLA SCADENZA DEL PAGAMENTO DEGLI STESSI

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 28512 DEL 29 NOVEMBRE 2017

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 28512 del 29 novembre 2017, ha statuito che, per i contributi a percentuale del lavoratore autonomo, il termine per l’estinzione della pretesa decorre dalla scadenza per il loro pagamento, mentre l’eventuale successivo accertamento dell’Agenzia delle Entrate ha soltanto efficacia interruttiva.

Gli Ermellini, con l’ordinanza de qua, confermando in toto i precedenti gradi di giudizio, hanno bocciato il ricorso dell’INPS contro la decisione dei Giudici territoriali che dichiaravano la nullità di una cartella esattoriale notificata ad un lavoratore autonomo per il mancato versamento di contributi previdenziali.

Nello specifico, i Giudici di piazza Cavour hanno chiarito che, in base alla “Riforma Dini”, operata con la Legge n. 335 del 1995,  art.3, la prescrizione sui contributi a percentuale dei lavoratori autonomi decorre dalla scadenza del termine per il loro versamento,  in pratica la decorrenza della prescrizione dei contributi a percentuale si identifica con il termine di pagamento, dal momento che il fatto costitutivo dell’obbligazione di natura previdenziale è rappresentato dall’avvenuta produzione di un determinato reddito ex art. 1, c. 4, della Legge n. 233/1990, che disciplina il trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi.

In nuce, la S.C. ha ribadito che non conta che l’efficacia del fatto sia comunque collegata a un atto amministrativo che riconosce come esso si sia avverato, in quanto l’interruzione della prescrizione si verifica esclusivamente quando il fisco accerta un maggior reddito ex art. 1 del D.Lgs. n. 462/1997.


IL MANCATO RISPETTO DELLE PROCEDURE DI COMUNICAZIONE E’ RILEVANTE AI FINI DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 1922 DEL 25 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1922 del 25 gennaio2018, ha ricordato che la proporzionalità di un provvedimento disciplinare deve sempre fondarsi su aspetti oggettivi e soggettivi.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello dell’Aquila, in riforma del Tribunale di primo grado, considerava legittimo il licenziamento per giusta causa comminato ad una lavoratrice, in ragione del mancato inoltro alla società datrice di una richiesta di congedo per gravi motivi familiari. La lavoratrice veniva licenziata sostanzialmente per un’assenza ingiustificata protrattasi dal 30/07 al 20/08, affiancata a due precedenti provvedimenti conservativi.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini hanno ritenuto che la Corte Territoriale abbia fondato il proprio convincimento, circa la sussistenza della giusta causa, esclusivamente sul mancato rispetto della procedura di richiesta di autorizzazione al congedo, senza entrare nel merito della vicenda. E’ emersa, infatti, l’esigenza di dover assistere la propria figlia per una grave depressione post partum, aspetto dirimente ai fini della valutazione dell’elemento oggettivo e soggettivo della condotta ritenuta inadempiente e, quindi, circa la proporzionalità del provvedimento disciplinare. 

In conclusione, i Giudici hanno cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello dell’Aquila in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 5 Febbraio 2018