26 Febbraio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GENNAIO 2018

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Gennaio 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Gennaio 2018 è pari a 0,421736 e l’indice Istat è 101,5.

 

IN MATERIA DI OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI LA PRESENTAZIONE DEL MODELLO DM10 CORRISPONDE AD ATTESTAZIONE DELLA CORRESPONSIONE DELLE RETRIBUZIONI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6934 DEL 13 FEBBRAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6934 del 13 febbraio 2018, ha statuito che la presentazione all’INPS del modello DM10 (oggi “UniEmens”) equivale, fino a prova contraria, ad attestazione dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni. Conseguentemente, nel caso di presentazione delle denunce mensili e di contestuale mancato versamento delle ritenute previdenziali, viene a configurarsi la fattispecie dell’omesso versamento delle quote a carico del lavoratore con i correlati effetti penali se l’ammontare dell’omissione supera la soglia di punibilità (id: € 10.000,00).

Nel caso de quo, un datore di lavoro non effettuava il versamento (anche) delle somme trattenute ai lavoratori a titolo di contribuzione INPS. Costituitosi in Giudizio a seguito della richiesta di pagamento da parte dell’Istituto, e del connesso procedimento penale, il legale rappresentante della società si difendeva sostenendo di non aver pagato le retribuzioni e che, conseguentemente, non veniva a rappresentarsi la fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali.

I Giudici di merito respingevano le doglianze del datore di lavoro, in entrambi i gradi di giudizio, ritenendo, in assenza di prova contraria, che la presentazione delle denunce mensili all’INPS costituisse attestazione dell’avvenuto pagamento della retribuzione ai lavoratori.

Il legale rappresentante ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno evidenziato che i modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’Istituto previdenziale hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il datore di lavoro aveva regolarmente presentato i modelli DM10 e non aveva dato prova, nel corso del procedimento istruttorio, del (paventato) mancato pagamento delle retribuzioni, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno confermato il deliberato dei gradi di merito che aveva già sancito la responsabilità del datore per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali.

 

LA PRESUNZIONE DI CONOSCIBILITA' DELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE RICHIEDE LA PROVA CHE SIA GIUNTA ALL'INDIRIZZO DEL DESTINATARIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 1632 DEL 23 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1632 del 23 gennaio 2018, ha statuito che la presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, avente i requisiti di cui all'art. 2729 c.c., che sia giunta all'indirizzo del destinatario.

Nel caso in specie, il Tribunale di Napoli aveva accolto la domanda proposta da un lavoratore, tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per omessa notifica della lettera di contestazione da parte della società datrice di lavoro. Il primo Giudice aveva rilevato che non vi era prova della ricezione della lettera da parte del lavoratore e che non era possibile desumere siffatta prova dalla lettera a firma del segretario della UGL che chiedeva di assistere il lavoratore in relazione alla contestazione disciplinare.

Parimenti, la Corte d'Appello di Napoli rigettava il gravame, confermando in particolare la circostanza della mancata prova della ricezione della lettera di contestazione da parte del dipendente

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso evidenziando, sul tema, i più recenti arresti della Corte (cfr. Cass. n°20167/14) secondo i quali la presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all'art. 2729 c.c. (id: gravità, univocità e concordanza), che esso sia giunto all'indirizzo del destinatario, sicché, in caso di contestazione, la prova della spedizione attraverso il servizio postale non è in sé sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza, salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell'atto (id: raccomandata, anche senza avviso di ricevimento, o telegramma), e per i particolari doveri di consegna dell'agente postale, nella specie neppure dedotti prima che provati, si possa presumere l'arrivo nel luogo di destinazione.

D'altro canto, hanno continuato gli Ermellini, vi era stato, nella specie, un adeguato accertamento da parte della Corte di merito, che aveva ritenuto non provato, in concreto, il recapito presso l'effettivo domicilio o residenza del lavoratore, o l'avvenuta conoscenza da parte sua del contenuto preciso della contestazione, ritenendo in punto di fatto ed insindacabilmente inidonea a comprovare il fatto la paventata lettera del sindacalista.

All'uopo, hanno concluso gli Ermellini, la circostanza che il lavoratore possa aver avuto cognizione di una lettera di contestazione nei suoi confronti non assolve alla funzione propria di questa, e cioè la precisa e chiara conoscenza degli addebiti contestati, il luogo ed il momento in cui essi si sarebbero realizzati, oltre alle relative modalità, al fine di poter esplicare con cognizione di causa le sue difese.

 

L’ACCERTAMENTO FONDATO SU MOVIMENTAZIONI BANCARIE RISCONTRATE NEI CONTI CORRENTI DEI SOCI DI UNA SOCIETÀ DI CAPITALE È VALIDO SOLO SE L’AMMINISTRAZIONE PROVA LA RIFERIBILITÀ DEI CONTI ALLA SOCIETÀ.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 2536 DEL 1° FEBBRAIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 2536 del 1° febbraio 2018, ha statuito che i dati e le movimentazioni risultanti dai conti correnti bancari dei soci, sono utilizzabili per fondare l’accertamento tributario nei confronti della società solo se viene provata, anche a mezzo di presunzioni, la riferibilità dei medesimi alla società.

Nel caso in specie a carico di una società, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad emettere avviso di accertamento fondato su movimentazioni bancarie riscontrate nei conti correnti dei soci.

La società ricorreva prontamente alla giustizia tributaria, ma sia in primo grado che in secondo la società risultava soccombente. In particolare la C.T.R. rigettava l’appello della società contribuente, confermando la legittimità dell’accertamento emesso, in quanto la società contribuente non aveva offerto alcuna giustificazione delle movimentazioni bancarie riconducibili all’attività d’impresa.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte della società, che poneva tra i propri motivi di gravame la violazione dell’art. 32 D.P.R. n. 600/73 e del D.P.R. n. 633/1972, in quanto la C.T.R. avrebbe omesso di considerare che la riferibilità dei conti correnti, e delle relative movimentazioni intestati ai soci possono imputarsi alla società solo quando l’amministrazione finanziaria provi, anche solo in via presuntiva, la riferibilità delle operazioni al sodalizio.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, uniformandosi a precedente giurisprudenza di legittimità in materia, hanno ricordato chein sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 cit., incombe sulla società contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa( cfr. Cass. n. 8112/2016, Cass. n. 16575/2013, Cass. n. 13391/2003).

Tuttavia, hanno concluso gli Ermellini, nel caso in specie “la C.T.R. non si era pienamente adeguata a tali principi, essendosi limitata a ritenere la riconducibilità dei conti correnti all’attività d’impresa senza, tuttavia dare conto degli elementi che a tale conclusione l’avevano indotta quanto alla riferibilità dei rapporti bancari dei soci alla società, invece limitandosi ad affermare che la contribuente non aveva superato la presunzione di cui all’art. 32 c. 1 n. 2 D.P.R. n. 600/73”.

Sulla base delle suddette considerazioni, in accoglimento dei motivi di gravame della ricorrente società, la sentenza impugnata è stata cassata, con rinvio ad altra sezione della C.T.R. per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

INAMMISSIBILE L’APPELLO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA IN CASO DI MANCATO DEPOSITO DELLA RICEVUTA DI SPEDIZIONE DELL’ATTO D’IMPUGNAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA- ORDINANZA N. 3386 DEL 12 FEBBRAIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 3386 del 12 febbraio 2018, ha statuito che è da considerarsi inammissibile l’appello, non trovando accoglimento la cosiddetta “prova di resistenza”, quando dall’avviso di ricevimento della raccomandata postale non si evince la data certa di spedizione e la notifica risulta essersi perfezionata sette giorni dopo la scadenza del termine lungo, ex art. 327 c.p.c..

Il caso di specie riguarda l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate per non aver depositato, all’atto della sua costituzione nel giudizio, la ricevuta di spedizione a mezzo raccomandata postale dell’atto di impugnazione, ma soltanto l’avviso di ricevimento della raccomandata postale contenente l’atto di appello e la distinta di spedizione del piego, dove però manca l’attestazione certa della data di spedizione della stessa e la notifica dell’appello risulta essersi perfezionata sette giorni dopo la sua naturale scadenza.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, confermando il decisum dei Giudici di Prime Cure, hanno rigettato in toto le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, che lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 53 del D.lgs n.546/1992, poiché era stata considerata causa di inammissibilità dell'appello il mancato deposito della ricevuta di spedizione dell'atto medesimo.

In nuce, i Giudici del Palazzaccio hanno precisato che non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso ovvero dell’appello, il fatto che il ricorrente, al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nello stesso avviso di ricevimento sia certificata la data di spedizione dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario, affinché lo stesso sia idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione, laddove, in mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso in parola può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso o dell’appello, unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto o della sentenza.

 

LO SVOLGIMENTO DI MANSIONI SUPERIORI IMPLICA IL RICONOSCIMENTO DI UN LIVELLO SUPERIORE  

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3752 DEL 15 FEBBRAIO 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3752 del 15 febbraio 2018, ha statuito che l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori, rispetto all’inquadramento aziendale, implica il riconoscimento di un maggior inquadramento professionale e delle differenze retributive che ne conseguono.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Potenza, in riforma della sentenza del Tribunale, condannava l’impresa di pulizie datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive, in seguito al riconoscimento del livello funzionale immediatamente inferiore a quello di quadro. Rilevava, altresì, la mancata ripresentazione dell’eccezione di prescrizione nonché l’assenza della conciliazione – ex art. 411 c.p.c. -intercorsa fra le parti.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini hanno confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello, riscontrando che le prove del diverso e maggiore inquadramento risultano essere state fornite proprio dalla società; infatti, vi era evidenza di un ordine di servizio rivolto alla stessa nel quale veniva definita coordinatrice e dallo stesso organigramma aziendale. Le prove testimoniali avevano poi confermato il ruolo della lavoratrice, consistente nella vigilanza delle squadre di operai, un ruolo di referente aziendale nei confronti dell’ospedale San Carlo di Potenza e del Comune di Potenza, nonché di coordinamento dei dipendenti e di presidio alle riunioni sindacali.

Sulla base di ciò, tenuto conto della mancata riproposizione della prescrizione e del noto principio dell’autosufficienza, il ricorso della società datrice è stato respinto con conseguente condanna alle spese.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 26 Febbraio 2018