9 Aprile 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

LEGITTIMO IL PERIODO DI PROVA INSERITO NEL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO ANCHE SE LE MANSIONI INDICATE SI RIFANNO ALLA DECLARATORIA CONTRATTUALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 4341 DEL 22 FEBBRAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4341 del 22 febbraio 2018, ha statuito che la clausola contrattuale contenente il periodo di prova è pienamente legittima anche se le mansioni vengono dettagliate per relationem alle declaratorie contrattuali.

Nel caso de quo, un lavoratore dipendente veniva licenziato per mancato superamento del periodo di prova. Il prestatore adiva la Magistratura sostenendo che il contratto individuale non contenesse in modo puntuale l'attività lavorativa da espletare ma effettuava un mero rinvio al contratto collettivo nazionale di lavoro.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, il prestatore ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno nuovamente evidenziato che il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alle declaratorie contrattuali del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione e sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico.  

Pertanto, atteso che nel caso di specie il datore di lavoro aveva correttamente ed esaustivamente operato il rinvio alla contrattazione collettiva di riferimento, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato la piena legittimità del periodo di prova inserito nel contratto individuale di lavoro e la conseguente validità del recesso datoriale intervenuto durante tale periodo.

LA MANCANZA DI TEMPESTIVITA’ NELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE INFICIA LA VALIDITA’ DELL’INTERO PROCEDIMENTO SANZIONATORIO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 7208 DEL 22 MARZO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 7208 del 22 marzo 2018, ha (ri)statuito che la contestazione disciplinare deve essere tempestiva in correlazione con l’avvenuta conoscenza dei fatti oggetto di discussione in quanto il “silenzio” del datore di lavoro, perpetuato nel tempo, fa maturare, nel diretto interessato, il legittimo affidamento nell’intenzione del datore di soprassedere dall’applicazione del provvedimento sanzionatorio ostacolando, al contempo, il pieno e corretto esercizio del diritto di difesa da parte del prestatore stesso.

Nel caso de quo, un dipendente veniva licenziato per aver utilizzato l’autovettura aziendale durante dei giorni di assenza dal lavoro per malattia. Il procedimento disciplinare, con il quale il datore di lavoro era giunto nella determinazione di licenziare il prestatore, era stato avviato ben sei mesi dopo i “fatti” contestati.

La Magistratura, adita dal subordinato, sanciva, sia in I° grado che in Appello, l’illegittimità dell’atto di recesso datoriale.

L’azienda datrice di lavoro ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum dei gradi di merito, hanno evidenziato che l’immediatezza del provvedimento espulsivo, o dell’avvio del procedimento disciplinare, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Ovviamente, il predetto requisito può essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei “fatti” richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso per i dovuti riscontri fattuali.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il datore di lavoro aveva avuto piena conoscenza dei fatti sin dal mese di giugno 2011, ma aveva avviato il procedimento disciplinare solo nel mese di novembre dello stesso anno, nonostante la struttura aziendale non fosse di particolari dimensioni organizzative, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno confermato l’illegittimità dell'atto di recesso datoriale, già sancita nei giudizi di prime cure, a causa della tardività della contestazione disciplinare.

 

E’ LEGITTIMO L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO QUALORA L’AGENZIA DELLE ENTRATE RILEVA UN ELEVATO NUMERO DI PRESTAZIONI PROFESSIONALI GRATUITE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 6215 DEL 14 MARZO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 6215 del 14 marzo 2018, ha statuito la piena legittimità dell’accertamento induttivo, a carico di un professionista, supportato dalla presenza di un elevato numero di prestazioni professionali gratuite rispetto all’esiguo numero di fatture emesse e del volume d’affari dichiarato.

Nel caso in specie, l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad emettere a carico di un avvocato accertamento induttivo ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/73, sulla base dell’esiguità dei compensi dichiarati rispetto alle prestazioni professionali rese nei medesimi periodi di imposta accertati, di cui parecchie gratuite. La C.T.P. accoglieva i ricorsi introduttivi dell’avvocato, mentre la C.T.R. accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.

In particolare secondo i giudici di appello “la rinuncia diffusa e sistematica ai compensi per le prestazioni professionali, anche di non modico valore, connotava di gravità, precisione e concordanza, le presunzioni di maggiori redditi accertati induttivamente dall’amministrazione finanziaria, ex art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600/73, trattandosi di comportamento che, tenuto conto del numero esiguo delle fatture emesse e dell’esiguità del reddito dichiarato, configgeva con le elementari regole di ragionevolezza, non superabile dalle dichiarazioni rese da alcuni clienti, in quanto prive di intrinseca credibilità”.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno confermato in toto il ragionamento decisionale della C.t.r., sull’assunto che “l'omessa fatturazione di corrispettivi conseguiti nello svolgimento di attività professionale giustifica ampiamente il ricorso all’accertamento di tipo induttivo (Cass. n. 1942/2007, n. 11680/2002), essendo noto e consolidato il principio in virtù del quale, in tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d'impresa, qualora l'Amministrazione riscontri delle irregolarità della contabilità di gravità tale da determinare un'inattendibilità globale delle scritture, è autorizzata a prescindere da esse e a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva, inoltre la circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé sola legittima l’adozione del metodo induttivo” (Cass. n. 9097/2002, n. 27068/2006, n. 6086/2009, n. 18902/2011, n. 13735/2016), a nulla rilevando le dichiarazioni rese da alcuni clienti circa la gratuità delle prestazioni professionali ricevute.

In nuce, in un simile scenario, le eventuali dichiarazioni rese da alcuni clienti del professionista in merito alla presunta gratuità della prestazione o alla rinuncia al compenso non sono idonee a superare le presunzioni di evasione addotte dall’ufficio, in quanto prive di intrinseca credibilità.

LA CONTABILITÀ È AMMISSIBILE IN GIUDIZIO SE IL FISCO NON AVVERTE SULLE CONSEGUENZE DELLA MANCATA RISPOSTA AL QUESTIONARIO

CORTE DI CASSAZIONE –  SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 29374 DEL 7 DICEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 29374 del 7 dicembre 2017, ha statuito che la contabilità dell’impresa deve essere ammessa e vagliata dal Giudice Tributario nell’ipotesi che l’Ufficio, quando ha inviato il questionario, non ha prospettato le conseguenze dell’inottemperanza oltre il termine precisato e se non ha ben specificato su quali atti vertono i controlli.

Il caso di specie riguarda la notifica, effettuata dall’Amministrazione Finanziaria, ad un’azienda di un questionario con il quale veniva richiesta la visione del bilancio e di altri documenti contabili, senza l’indicazione di un termine preciso e delle relative conseguenze connesse alla mancata risposta. Pertanto, l’azienda contribuente non ottemperava alle richieste dell’Ufficio nella fase amministrativa, producendo gli atti solo davanti alla Commissione Tributaria Provinciale che li considerava inammissibili.

Ex adverso, con la sentenza de qua, i Giudici di piazza Cavour, ribaltando in toto la decisione dei Giudici Territoriali, hanno acconto le doglianze dell’azienda ricorrente, ribadendo che è legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa, purché, però, l’Amministrazione Finanziaria, con l’invio del questionario, specifichi ciò che richiede, fissi un termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste e avverta delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’inottemperanza a esse.

In nuce, la S.C. ha ribadito che, per il mancato rispetto della suddetta sequenza procedimentale, la cui prova della compiuta realizzazione incombe sull’Amministrazione Finanziaria, non è invocabile la sanzione dell’inutilizzabilità della documentazione esibita dal contribuente solo con l’introduzione del processo tributario, in quanto, per il principio di lealtà di cui agli artt. 6 e 10 dello Statuto dei Diritti del Contribuente, l’azione dell’Ufficio deve sempre connotare ad un preciso obbligo di informazione.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO CIRCOSCRITTO AD UNA PORZIONE DELL’AZIENDA SE RISULTANO SUSSISTENTI LE RAGIONI TECNICO-PRODUTTIVE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6185 DEL 14 MARZO 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6185 del 14 marzo 2018, ha statuito che è legittimo il licenziamento collettivo anche quando è limitato ad un più ristretto ambito di lavoratori, benchè motivato nel progetto di ristrutturazione aziendale.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno, dichiarava legittimo il licenziamento collettivo basato sul principio di prevalenza delle esigenze tecnico-produttive, in ragione della riduzione dei Fondi Regionali. In particolare, il lavoratore ricorrente risultava scelto per essere inquadrato nella fascia funzionale più bassa e quindi non ricollocabile in altro ambito aziendale.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno ricordato l’inadeguatezza dei ricorsi che puntano a mettere in discussione le scelte insindacabili dei datori di lavoro in un contesto di riorganizzazione aziendale. Nel caso di specie, il settore colpito dalla riduzione era quello risultato riammodernato per l’introduzione dell’automazione di una serie di attività precedentemente manuali e svolte da dipendenti inquadrati nelle ultime due fasce funzionali.

In conclusione, la riduzione del personale limitata ad un reparto o un settore, laddove le esigenze tecnico-produttive (come nel caso in commento) risultano giustificate, è da ritenersi legittima. Ciò in quanto, non può definirsi legittima una scelta basata solo sul reparto senza considerare il possesso di professionalità equivalenti ed eventualmente spendibili in altri ambiti aziendali.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 9 Aprile 2018