23 Aprile 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI MARZO 2018

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Marzo 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Marzo 2018 è pari a 0,820104 e l’indice Istat è 101,7.

NEL CASO DI MALATTIE NON TABELLATE E' ONERE DELL'INAIL DIMOSTRARE LA MANCANZA DI NESSO EZIOLOGICO UNA VOLTA ACQUISITA LA PROVA DELLA ELEVATA CANCEROGENITA' DELLE SOSTANZE ALLE QUALI E' STATO ESPOSTO IL DIPENDENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8416 DEL 5 APRILE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 8416 del 5 aprile 2018, ha nuovamente affermato che, per quel che concerne le malattie professionali, laddove il prestatore fornisca dimostrazione dell'avvenuta esposizione a materie altamente cancerogene, è onere dell'Istituto assicuratore fornire prova della mancanza del necessario nesso eziologico con l'attività lavorativa.

Nel caso de quo, gli eredi di un dipendente, addetto per molti anni a mansioni di verniciatura, convenivano in giudizio l'INAIL per ottenere il pagamento della rendita ai superstiti atteso il decesso del prestatore per un tumore ai polmoni.

Soccombente in primo grado, l'Istituto assicuratore trovava pieno soddisfo alle proprie richieste in appello.

Gli eredi del de cuius ricorrevano in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare nuovamente il decisum, hanno colto l'occasione per precisare ulteriormente che, in presenza di una malattia multifattoriale non tabellata, una volta che è stata acquisita la prova, nel singolo giudizio, della elevata cancerogenicità del fattore professionale, il nesso eziologico richiesto dalla legge può essere negato solo qualora possa ritenersi con certezza, e con onere della prova a carico dell'INAIL, che la malattia sia effetto esclusivo dell'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa.  

Pertanto, atteso che nel caso di specie gli eredi del de cuius avevano analiticamente e puntualmente indicato le sostanze nocive con le quali il dipendente aveva avuto costante e continuo contatto e che l'Istituto assicuratore non aveva fornito alcuna prova di eventuali ulteriori possibili cause della malattia oncologica, i Giudici di Piazza Cavour hanno cassato la sentenza impugnata rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo deliberato sulla querelle insorta fra le parti.

 

NON PUO' RICHIEDRSI AL DIPENDENTE IN SERVIZIO DI CONTESTARE AL LAVORATORE GERARCHICAMENTE SOTTOPOSTO LA COMMISSIONE DI UN REATO.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 8407 DEL 5 APRILE 2018.

La Corte di Cassazione,  sentenza n° 8407 del 5 aprile 2018,  ha ribadito che, in tema di licenziamento individuale, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità della sanzione si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, considerato altresì, che l'inadempimento del lavoratore deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza".

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Cagliari, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di una lavoratrice, intimato per non avere la dipendente impedito che altra lavoratrice, sottoposta gerarchicamente, sottraesse diversi sacchi di pellet dal luogo di lavoro. La Corte aveva escluso che sulla lavoratrice gravasse altro obbligo, nei confronti del datore di lavoro, oltre quello di avvertire i propri superiori, non potendosi richiedere al dipendente in servizio di contestare verbalmente a un sottoposto la commissione di un reato.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il datore di lavoro invocando la posizione di garanzia della lavoratrice che, al momento del verificarsi delle condotte illecite, avrebbe dovuto intervenire per impedire il compimento del fatto.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha ribadito l'assunto della Corte d'Appello la quale, ricostruiti gli episodi oggetto di contestazione, aveva accertato come la lavoratrice avesse provveduto ad avvisare tempestivamente il capo settore, senza per altro che alcuno intervenisse per conto dell'azienda o desse indicazioni sulle iniziative da intraprendere. Di conseguenza, non era ipotizzabile un comportamento omissivo o accondiscendente della lavoratrice.

 

LE DICHIARAZIONI DI TERZI SONO PIENAMENTE UTILIZZABILI A DIFESA DEL CONTRIBUENTE NEL PROCESSO TRIBUTARIO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 6616 DEL 16 MARZO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 6616 del 16 marzo 2018, ha statuito l’importante principio che nel processo tributario sono pienamente utilizzabili a difesa del contribuente le dichiarazioni di terzi prodotte per iscritto in giudizio.

Nel caso in specie, l’Agenzia delle Entrate emetteva a carico di un’impresa esercente attività di pompe funebri avviso di accertamento induttivo per maggiori ricavi non dichiarati. In primo grado il contribuente risultava soccombente, mentre successivamente la C.T.R. accoglieva l’appello dando ragione al contribuente riconoscendo rilievo probatorio a dichiarazioni di terzi rese a favore del contribuente.

Nel dettaglio l’Agenzia aveva stimato, in via induttiva, che il costo di ogni funerale fosse di 2.500 euro; ma tale ricostruzione veniva smentita dal contribuente attraverso le dichiarazioni, allegate al ricorso, rese da un gran numero di clienti, che confermavano i costi inferiori fatturati riguardo alle esequie alle quali le suddette fatture si riferivano.

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, che poneva come unico motivo di ricorso, violazione dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, in quanto la C.T.R. in violazione del divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario, aveva conferito rilievo probatorio a dichiarazioni di terzi, che possono invece assumere valenza solo indiziaria, senza che detti indizi fossero corroborati nella fattispecie in esame da ulteriori riscontri.

All’uopo si ricorda che l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, rubricato “Poteri delle Commissioni Tributarie”, al comma 4 prevede che nel processo tributario: “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”, sottolineandone così il carattere scritto e documentale.

Orbene, gli Ermellini, con la sentenza de qua, hanno respinto in toto il ricorso dell’Agenzia, e uniformandosi a precedenti indirizzi di legittimità, hanno osservato che “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del Giudice (cfr. Cass. n. 9080/2017; Cass. n. 8639/2013).

Lo stesso discorso vale in riferimento alle dichiarazioni che i terzi posso rendere a favore del contribuente, infatti hanno proseguito i Giudici delle Leggi, “l’attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni di terzi anche in favore del contribuente è peraltro funzionale al dispiegarsi del giusto processo ex art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 4 agosto 1955, per quanto attiene all’irrogazione nel processo tributario di sanzioni assimilabili a quelle penali” (cfr. Cass. n. 8606/2015 e la giurisprudenza della Corte EDU ivi richiamata, tra cui Corte EDU 23 novembre 2006, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

Per le motivazioni suddette il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato respinto, con addebito alla stessa delle spese del giudizio.

 

LEGITTIMO L’ACCERTAMENTO SE IL CONTRIBUENTE NON RISPONDE ALL’INVITO AL CONTRADDITTORIO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA

CORTE DI CASSAZIONE –  SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 6212 DEL 14 MARZO 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6212 del 14 marzo 2018, ha statuito che non rispondere all’invito del fisco per giustificare lo scostamento del reddito dichiarato dallo studio di settore, autorizza l’ufficio ad emettere un accertamento sulla sola base dell’incongruenza dei fatturati rispetto agli standard delle Entrate, senza la necessità di contestualizzare la pretesa fiscale in alcun modo.

Il caso specie riguarda il ricorso dell’Agenzia delle Entrate relativo a degli avvisi di accertamento notificati ad una società a responsabilità limitata in merito all’applicazione degli studi di settore sugli anni d'imposta 2005/2006/2007, annullati in toto dai Giudici Territoriali.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno accolto le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria. E’ stato ribadito, infatti, che, nell'accertamento mediante studi di settore grava sull’Ufficio la prova della concreta pertinenza dello standard, mentre è sempre onere del contribuente provare la sussistenza di cause che giustificano lo scostamento reddituale, potendo il Giudice a tal fine valutare anche la mancata risposta del contribuente all'invito per il contraddittorio endoprocedimentale, come già statuito con precedenti pronunce della stessa Corte (Cass. SU 26635/2009 Rv. 610691, Cass. 11633/2013 Rv. 626925, Cass. 9484/2017 Rv. 643770).

In nuce, la S.C., se da una parte mostra di onerare l’Amministrazione Finanziaria di ulteriori prove rispetto all'evidenza statistica, ribadisce che nel caso in cui al “…contraddittorio anticipato non veniva addotta alcuna causa giustificativa …”, può costar caro al contribuente, in quanto ciò autorizza l’Ufficio ad emettere l’accertamento sulla sola base dell’incongruenza dei fatturati senza necessità di contestualizzare la pretesa fiscale.


IL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO IMPONE UNA PUNTUALE VERIFICA SULLA SUSSISTENZA DELLE RAGIONI GIUSTIFICATRICI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8973 DELL’11 APRILE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 8973 dell’11 aprile 2018, ha ritenuto corretto il licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, di una lavoratrice in seguito alla conclusione di un contratto d’appalto fra la cooperativa datrice ed il Comune di Locri.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma del Tribunale di primo grado, dichiarava legittimo il licenziamento a carico del ricorrente, ritenendo sussistenti le motivazioni poste a base del licenziamento, vista la conclusione del contratto con il Comune di Locri e l’incollocabilità presso altri cantieri ove risultava una generale riduzione del monte ore. La lavoratrice proponeva ricorso per Cassazione.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno confermato il ragionamento logico giuridico dei Giudici dell’Appello, ricordando che spetta al Giudice di merito il controllo sull’effettiva sussistenza del motivo che ha indotto al licenziamento, al fine cioè di controllare che il licenziamento non sia pretestuoso. Difatti, deve essere sempre verificato il nesso di casualità fra le ragioni organizzative e produttive con la scelta di licenziare.

In conclusione, “l’effettività” del licenziamento è stata ampiamente provata con la conclusione dell’appalto presso il Comune di Locri e con la concomitanza di una riduzione dell’attività presso altri appalti, ove le mansioni equivalenti risultavano, quindi, già stabilmente ricoperte.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 23 Aprile 2018