25 Febbraio 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GENNAIO 2019

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Gennaio 2019. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Gennaio 2019 è pari a 0,198457 e l’indice Istat è 102,20.

 

IL DIPENDENTE CHE LAMENTA DI ESSERE STATO LICENZIATO VERBALMENTE DEVE FORNIRE PROVA DELLA VOLONTA’ DATORIALE DI RISOLVERE IL RAPPORTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3822 DELL’8 FEBBRAIO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3822 dell’8 febbraio 2019, ha statuito che nel caso in cui il dipendente lamenti di essere stato licenziato verbalmente è a suo carico fornire prova della volontà datoriale di estrometterlo dal lavoro.

Nel caso de quo, un prestatore, a suo dire, veniva licenziato verbalmente dal proprio datore di lavoro. Al fine di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro il dipendente adiva la Magistratura evidenziando la propria estromissione dal contesto produttivo in assenza di qualsivoglia comunicazione scritta. L’azienda resisteva in giudizio affermando che il subordinato si era spontaneamente dimesso.

I Giudici di merito accoglievano le doglianze del prestatore ritenendo dimostrata la sua estromissione dal rapporto di lavoro.

L’azienda ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare il decisum di prime cure, hanno evidenziato che il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l’osservanza della forma prescritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro anche se manifestata con comportamenti concludenti. A tal fine la mera cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tal prova.

Pertanto, atteso che nel corso del giudizio di merito il dipendente aveva fornito prova della “sola” estromissione dal rapporto di lavoro ma non anche della volontà datoriale, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso inviando agli atti alla Corte territoriale per gli adempimenti conseguenziali.

 

LA PRODUZIONE DI BUSTE PAGA E' CIRCOSTANZA CHE NON ASSUME ALCUN RILIEVO DECISIVO PER LA CERTEZZA DELL'ESISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO DI NATURA SUBORDINATA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2439 DEL 29 GENNAIO 2019.

La Corte di Cassazione,- ordinanza n° 2439 del 29 gennaio 2019, in tema di valutazione degli elementi sintomatici della subordinazione, ha ritenuto ininfluente la produzione di cedolini paga nei quali risultino altresì indicati e specificati i giorni e le ore retribuite, l'ammontare delle detrazioni fiscali e contributive.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda tesa alla condanna di una associazione senza scopo di lucro al pagamento di somme a titolo di ferie, permessi, mensilità aggiuntive, retribuzione e tfr, reclamate in ragione della natura asseritamente subordinata delle prestazioni rese in favore dell'associazione; il rigetto della originaria domanda era stato fondato sul difetto di allegazione e prova di elementi relativi alle concrete modalità di svolgimento del rapporto con la associazione da parte della ricorrente la quale figurava tra gli associati della stessa.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l'associata deducendo violazione dell'art. 2094 c.c. e rimarcando la configurabilità, pur in presenza del rapporto associativo, di un rapporto di lavoro subordinato, come risultante dalle buste paga degli anni 2004/2005, prodotte a campione e non contestate nella loro autenticità da controparte.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso evidenziando che "requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo". In tale ambito, hanno continuato gli Ermellini, i Giudici di merito hanno correttamente valutato gli elementi prodotti al fine di includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale.

Alla luce dei richiamati principi e della connessa necessità di verifica in concreto dell'atteggiarsi del rapporto in relazione agli elementi ritenuti sintomatici della subordinazione, l'esistenza di buste paga è circostanza che non assume alcun rilievo decisivo nel senso di implicare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, la ricostruzione del rapporto inter partes come di natura dipendente, rappresentando la emissione di buste paga solo uno dei possibili elementi dai quali, in concorso con altri ed alla stregua di una valutazione complessiva, inferire la esistenza di un rapporto di lavoro dipendente.


LEGITTIMA LA REVOCA DA PARTE DEL CURATORE DEI PAGAMENTI EFFETTUATI PRIMA DEL FALLIMENTO ALLA BANCA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 277 DEL 9 GENNAIO 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n° 277 del 9 gennaio 2019, ha statuito che sono tutti revocabili dal curatore i pagamenti fatti dal cliente alla banca prima del fallimento, ritenendo ininfluente la tradizionale distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie.

Il caso di specie riguarda il ricorso promosso da una banca avverso una sentenza della Corte d'Appello dell'Aquila, la quale confermava l'accoglimento dell'azione revocatoria proposta dal curatore fallimentare per la restituzione di una rimessa effettuata da una società in bonis sul proprio conto corrente prima della dichiarazione di fallimento. Le doglianze della banca erano tese a dimostrare l'errore dei Giudici di Merito nel non valutare la natura della rimessa effettuata dal fallito alla luce del disposto dell'art. 67 lett. b) della Legge Fallimentare.

Fino alla sentenza de qua, l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte riteneva revocabili soltanto le rimesse cosiddette solutorie (id: relative a conti correnti scoperti non assistiti da apertura di credito), ex adverso, escludeva la possibilità di revocare le rimesse ripristinatorie (id: riguardati conti passivi e valevoli a ripianare una esposizione debitoria del cliente). Queste ultime venivano considerate una mera operazione contabile consistente in un accredito sul conto per la reintegrazione delle somme poste dalla banca a disposizione del correntista e, in quanto tali, non soggette a revocatoria fallimentare.

La riforma del fallimento, invece, ha voluto escludere dalla disciplina della revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie qualsiasi riferimento ai pagamenti liquidi ed esigibili, su cui si basa invece la distinzione tra i due tipi di rimesse, legando la possibilità di agire in revocatoria ai criteri di consistenza e durevolezza del pagamento, superando così i problemi applicativi ed i relativi effetti distorsivi cui portava la tradizionale distinzione tra la diversa natura dei versamenti.

Con la sentenza de qua, la S.C., ha evidenziato che alla lett. g) dello stesso articolo 67, relativo alla revocatoria dei versamenti di corrispettivi per le prestazioni di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali, viene indicato espressamente che i pagamenti revocabili debbono possedere i requisiti di liquidità ed esigibilità, gli stessi sui quali si fonda la distinzione giurisprudenziale tra rimesse solutorie e liquidatorie.

In nuce, i Giudici di piazza Cavour, hanno inteso semplificare la disciplina della revocatoria, rendendo di fatto revocabili tutti i pagamenti effettuati dal cliente alla Banca qualora riducano in modo consistente e durevole l'esposizione debitoria del correntista, e ciò ormai a prescindere dal fatto che abbiano natura solutoria o ripristinatoria.

 

L’ABUSO INFORMATICO SI CONFIGURA ANCHE QUALORA VI SIA UN ABUSIVO TRATTENIMENTO AL’INTERNO DI UN SISTEMA INFORMATICO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 565 DELL’ 8 GENNAIO 2019.

La Corte di Cassazione –V Sezione Penale-, sentenza n° 565 dell’8 gennaio 2019, ha statuito che in tema di accesso abusivo informatico il reato si integra nella forma di concorrenza quando un soggetto, non abilitato a prendere visione di certi atti, si faccia inviare documenti riservati da altro soggetto di altra area per farne un uso improprio.

Nella vicenda in esame, i Supremi Giudici si sono trovati alle prese con un dipendente che, pur avendo i poteri di visionare alcuni documenti riservati, si era, però, introdotto ed era rimasto per tempi maggiori rispetto a quelli consentiti nel sistema informatico.

Su richiesta, poi, di un collega aveva provveduto a girare alcune informazioni con due e-mail all'altro dipendente.

Si trattava di dati concernenti i conti correnti di diversi soggetti.

Per questo soggetto la Cassazione ha rilevato che ancorché il reato ex articolo 615-bis c.p. fosse prescritto, restavano salvi gli effetti civili.

 

IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER PERDITA DI CHANCE NON HA NATURA REDDITUALE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 3632 DEL 7 FEBBRAIO 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 3632 del 7 febbraio 2019, ha statuito che il risarcimento al lavoratore per delle irregolarità verificatisi in un concorso interno sono qualificabili come danno emergente.

Nel caso in commento, la Commissione Tributaria Regionale, a riforma della Commissione di primo grado, accoglieva le eccezioni dell’Ufficio in base alle quali la perdita di chance è da ritenersi lucro cessante per danno patrimoniale futuro e quindi rientrante nella definizione di reddito di lavoro dipendente. 

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno bacchettato la decisione della commissione regionale, ritenendo il risarcimento del danno, per le irregolarità nell’espletamento del concorso interno, una ipotesi di perdita di chance.

Secondo i Supremi Giudici tale risarcimento non costituisce reddito imponibile quando tende a riparare un danno di diversa natura. Quindi, nel caso in commento la privazione di possibili sviluppi professionali, ovvero reddituali, costituisce un danno patrimoniale attuale, giungendo a ritenere la perdita di chance una entità patrimoniale economicamente valutabile e determinabile sulla base di elementi presuntivi e sulla ragionevole probabilità che la chance esista come possibilità attuale, tale per cui il risarcimento corrisposto al lavoratore è qualificabile come danno emergente.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Francesco Pierro e Attilio Pellecchia

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Modificato: 25 Febbraio 2019