1 Aprile 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

L'ADDEBITO DI DETENZIONE E SPACCIO DI ELEVATE QUANTITA' DI SOSTANZE STUPEFACENTI COSTITUISCE GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 4804 DEL 19 FEBBRAIO 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 4804 del 19 febbraio 2019, ha ritenuto ammissibile, in quanto non lesiva del diritto di difesa, la contestazione formulata per relationem, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Venezia rigettava il gravame proposto da Trenitalia S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che, pronunciando in merito all'impugnativa di licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore, lo dichiarava illegittimo, con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria, L. n°300 del 1970, ex art. 18, ratione temporis applicabile.

In particolare, la società datrice, con lettera di contestazione, nel richiamare il decreto di rinvio a giudizio (immediato) emesso dal GIP, con riferimento ai fatti-reato relativi alla detenzione e spaccio di una elevata quantità di sostanze stupefacenti, nonché il verbale di arresto in flagranza, faceva rilevare la particolare gravità dei fatti contestati e dispensava il lavoratore dalla prestazione in attesa di giustificazioni idonee. Il procedimento disciplinare si esauriva con l'adozione del provvedimento espulsivo impugnato.

A giudizio della Corte territoriale la società aveva contestato unicamente il dato processuale del rinvio a giudizio in sede penale, come appreso da pubblicazioni giornalistiche, senza effettuare alcuna indagine interna e senza enunciare profili soggettivi ed oggettivi tali da giustificare la massima sanzione espulsiva.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società Trenitalia sostenendo che la rappresentazione dei fatti-reato, come materialmente esposti nella lettera di contestazione, invero, ne costituivano l'oggetto, con la successiva conseguenza della rottura, irrimediabile, del vincolo fiduciario.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Venezia. All'uopo gli Ermellini hanno "ritenuto ammissibile, in quanto non lesiva del diritto di difesa, la contestazione formulata per relationem, mediante il richiamo degli atti del procedimento penale, del quale il lavoratore sia già stato portato a conoscenza, posto che il rinvio è idoneo a garantire il rispetto del contraddittorio e del principio di correttezza". 

Nella fattispecie, la società non aveva semplicemente contestato il fatto della pendenza del giudizio, quanto piuttosto, i fatti materiali che del procedimento ne costituivano l'oggetto, rappresentati dalla detenzione e spaccio di stupefacenti; tale condotta, oltre ad avere rilievo penale, è contraria alle norme dell'etica e del vivere civile comuni e, dunque, ha un riflesso, anche solo potenziale, sulla funzionalità del rapporto di lavoro e del conseguente vincolo fiduciario

 

LA CONDOTTA FRAUDOLENTA DI ASSENZA DEL DIPENDENTE DAL LUOGO DI LAVORO, SENZA LA PREVENTIVA TIMBRATURA DEL BADGE, INTEGRA LA GIUSTA CAUSA DI RECESSO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 6174 DEL 1^ MARZO 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 6174 del 1° marzo 2019, ha ritenuto proporzionale la sanzione del licenziamento disciplinare comminata per allontanamento dal posto di lavoro, ripetutamente, senza la preventiva timbratura del badge aziendale.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e respingeva la domanda proposta da un lavoratore dipendente di Rete Ferroviaria italiana Spa per la impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli; in particolare, al lavoratore, all'esito di indagine investigativa, veniva contestato di essersi ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l'orario di servizio (in 13 giornate nell'arco di 1 anno), rimanendo assente per diverso tempo (da 15 minuti a più di 1 ora) senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore, dolendosi della legittimità dei controlli investigativi effettuati dal datore di lavoro, nonché del giudizio di proporzionalità tra l'addebito e il licenziamento intimato; all'uopo, eccependo, che pur essendosi allontanato dal posto di lavoro, nelle 13 giornate oggetto di addebito era giunto in ufficio almeno 15-20 minuti prima dei colleghi, avendo le chiavi e ben prima di registrare l'orario di ingresso con il badge, attivo solo dalle ore 7.45.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, avallando il giudizio della Corte territoriale circa la proporzionalità della sanzione espulsiva in ordine al comportamento del lavoratore.  Nella fattispecie, hanno specificato gli Ermellini, l'abitudine di anticipare l'orario di ingresso appare ictu oculi non decisiva giacché la disciplina dell'orario di lavoro è rimessa alle determinazioni datoriali e non alla libera iniziativa del dipendente.

In ordine alle doglianze circa i controlli investigativi, gli Ermellini hanno altresì confermato che i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l'adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3, L.300/70.

 

PER I FINANZIAMENTI DEI SOCI A FAVORE DELLA SCOIETÀ NON È NECESSARIO REDIGERE UN VERBALE ASSEMBLEARE.  

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6104 DEL 1° MARZO 2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza n° 6104 del 1° marzo 2019, ha statuito che, in mancanza dei verbali assembleari, il Giudice può benissimo fare riferimento al bilancio e alla nota integrativa, al fine di stabilire la natura delle somme erogate dai soci alla società.

Nel caso in specie, l’Agenzia delle Entrate con un proprio accertamento aveva provveduto a riqualificare i finanziamenti dei soci erogati in favore di una S.r.l. come contributi, con conseguente ripresa a tassazione delle somme interessate ai fini dell’Irpeg (ora Ires) e dell’Irap. La contestazione aveva origine dall’assenza di un apposito verbale assembleare non ritenendo che fossero sufficienti le risultanze di bilancio che attribuivano ai versamenti dei soci natura di finanziamento infruttifero, ciò in quanto lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa costituivano, secondo l’Agenzia, mere dichiarazioni di scienza alle quali non poteva essere dato alcun valore probatorio.

Nei giudizi di merito la società risultava vittoriosa a danno dell’Agenzia, con conseguente annullamento integrale dell’atto accertativo. In particolare la C.T.R. confermava il giudizio di primo grado rilevando che le somme riprese a tassazione non potevano ritenersi contributi dei soci, in quanto dalle risultanze del bilancio e della nota integrativa erano qualificabili come finanziamento soci, e non sopravvenienza attiva, e come tale esente da imposizione ai sensi dell’art. 88 D.P.R. n. 917/1986.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, che poneva quale principale motivo di gravame il fatto che la C.T.R. non avrebbe potuto ritenere equipollenti ai verbali assembleari (mancanti) il bilancio e la nota integrativa, poiché questi costituirebbero mere dichiarazioni di scienza, cui non sarebbe possibile attribuire alcun valore probatorio.

Di diverso avviso i Giudici di Piazza Cavour, che con la sentenza de qua hanno respinto in toto il ricorso, affermando che, in tema di valutazione della qualificazione della natura di un’erogazione di denaro dal socio alla società, occorre applicare i criteri generali valevoli per il diritto societario, “quindi è necessario considerare che il criterio principale di qualificazione di una destinazione da parte della società di una somma di denaro, comunque ricevuta nel corso dell’esercizio, è dato dall’esame delle risultanze del relativo bilancio che è il documento contabile fondamentale che la società è obbligata a redigere per dare conto dell’attività svolta”.

Ne consegue che il bilancio, atteso il rilievo pubblicistico che assume con la pubblicazione nel registro delle imprese, è il documento principale da cui dover partire per qualificare la natura di un’entrata patrimoniale per la società.

Infatti, hanno concluso gli Ermellini, la mancanza del verbale assembleare da cui risulti il finanziamento non può essere ritenuta dirimente, riguardo i rapporti “interni” tra soci e società. Peraltro, il vizio, dato dall’assenza del verbale assembleare autorizzativo del finanziamento, risultava sanato dall’avvenuta approvazione da parte dei soci del bilancio che esponeva in maniera chiara ed evidente l’ammontare versato dai soci, per cui era evidente un obbligo sociale di restituzione delle somme ricevute e l’operazione andava pertanto considerata un vero e proprio finanziamento e non una sopravvenienza attiva tassabile ex art. 88 D.P.R. n. 917/86.

Il ricorso erariale, pertanto, è stato respinto con annessa condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali.

 

LA CLAUSOLA CONTRATTUALE CHE IMPONE AL CONDUTTORE DI PAGARE LE IMPOSTE LOCALI NON VIOLA IL PRINCIPIO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA E LA REGOLA SUL DIVIETO DI TRASLAZIONE DEL CARICO TRIBUTARIO AD UN SOGGETTO DIVERSO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6882 DELL’8 MARZO 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6882 dell’8 marzo 2019, ha statuito che le imposte ICI e IMU possono essere pagate anche dal conduttore dell'immobile se questo obbligo è sancito dal contratto di locazione stipulato. Tant’è che, la clausola contrattuale che impone all'affittuario di pagare le imposte locali non si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva e con la regola sul divieto di traslazione del carico fiscale a un soggetto diverso dal soggetto passivo del tributo.

Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, hanno riconosciuto la legittimità della clausola contrattuale che prevede il pagamento a carico del conduttore non violando espressamente l'articolo 53 della Costituzione, che sancisce il principio di capacità contributiva, ed allo stesso modo non si pone in contrasto con la regola di intrasferibilità del carico tributario su un soggetto diverso rispetto a quello individuato dalla norma di legge, ancorché l'IMU e prima ancora l'ICI, sia dovuta dal soggetto possessore di diritto dell'immobile (id: proprietario, usufruttuario o titolare di altro diritto reale di godimento) e non sono annoverati tra i soggetti passivi del tributo il locatario, il comodatario, l'utilizzatore ovvero l'occupante.

Nel caso di specie, gli Ermellini, confermando il decisum dei Giudici Territoriali, hanno ritenuta legittima la clausola contrattuale riportante “un'ulteriore voce o componente (id: la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l'ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice”. In pratica, con due distinte clausole contrattuali di un unico atto, le parti hanno inteso determinare il canone in due diverse componenti.

Per la S.C., non piò essere considerata nulla la clausola volta a riversare l'onere tributario relativo all'Ici e all'Imu, gravanti sull'immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge a subire il relativo sacrificio patrimoniale, nonostante l'art.89 della L. n.392/1978, che disciplina le locazioni, non indichi in alcun modo, “tra gli oneri accessori a carico del conduttore, ivi tassativamente elencati, anche le imposte patrimoniali relative ai beni locati”.

In nuce, la S.C. ha specificatamente chiarito che la pronuncia non si pone in contrasto con la sentenza 6445/1985, emanata sempre dalle Sezioni Unite, con la quale ha sostenuto che il patto traslativo d'imposta è nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico, qualora comporti che “effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito”, ex adverso, nel caso di specie, l'imposta viene regolarmente pagata e l'obbligazione che impone l'accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, ma “riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto e ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale.

 

LA SCELTA DEI LAVORATORI DA LICENZIARE, LIMITATA AD UN SOLO REPARTO, E’ LEGITTIMA SE SUPPORTATA DA IDONEE RAGIONI OGGETTIVE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7591 DEL 18 MARZO 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 7591 del 18 marzo 2019, ha (ri)statuito che è possibile procedere ad un licenziamento collettivo in cui la scelta dei lavoratori è limitata ad un determinato reparto o settore, a condizione che le esigenze aziendali siano oggettivamente correlate al processo di ristrutturazione aziendale. 

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Salerno, in riforma del Tribunale di Nocera Inferiore, accoglieva il reclamo della società datrice dichiarando legittimo il licenziamento intimato al lavoratore.

Nei fatti, la Corte distrettuale non riteneva disomogeneo il peso attribuito ai criteri di scelta stabiliti dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5 della Legge 223/1991, atteso che i quattro sotto criteri di scelta investivano tutto il personale tramite una griglia di comparazione fra tutti coloro che erano in possesso di professionalità equivalenti, nell’ambito delle esigenze tecniche, organizzative e produttive della società.

In particolare, le doglianze del lavoratore, afferenti il criterio della “polivalenza”, ossia la capacità di svolgere mansioni su diversi reparti, venivano ritenute infondate e dunque, veniva escluso un intento discriminatorio nei confronti dello stesso.

 Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno precisato che i sotto criteri individuati dall’azienda (presenza, posizioni dichiarate in esubero, polivalenza e provenienza da attività dismesse), a cui erano stati attribuiti punteggi diversi per ciascuno di essi, avevano proprio lo scopo di evitare che la selezione si limitasse ai lavoratori del reparto da sopprimere, proprio in ragione della comparazione fra tutti coloro in possesso di professionalità equivalenti.    

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 1 Aprile 2019