27 Gennaio 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

I CANONI DI LOCAZIONE DI UN CONTRATTO SIMULATO CONCORRONO ALLA FORMAZIONE DEL REDDITO IMPONIBILE IRPEF INDIPENDENTEMENTE DALLA LORO EFFETTIVA PERCEZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 31426 DEL 2 DICEMBRE 2019
 
La Corte di Cassazione, sentenza n° 31426 del 2 dicembre 2019, ha statuito che i canoni di locazione concorrono alla formazione del reddito imponibile di coloro che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, indipendentemente dalla loro effettiva percezione, anche se relativi ad un contratto di locazione simulato.

IL FATTO

L’Agenzia delle Entrate provvedeva, con avviso di accertamento ex articolo 41-bis, D.P.R. n. 600/73, a rettificare ai fini Irpef e delle addizionali regionale e comunale il reddito imponibile di un contribuente che non aveva dichiarato i canoni relativi ad un contratto di locazione di immobili. 
Nei gradi di merito, il contribuente si era difeso sostenendo che la pretesa tributaria non era fondata in quanto basata su canoni mai effettivamente corrisposti, né da lui percepiti. Il contratto, infatti, aveva natura assolutamente simulata, essendo stato stipulato con la compagna convivente al fine di sottrarre l’immobile, adibito a residenza familiare, all’esecuzione immobiliare nei suoi confronti. Entrambi i Giudici di merito respingevano però le doglianze del contribuente il quale si vedeva costretto a ricorrere in Cassazione per vedere accolta la propria linea difensiva.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua hanno respinto il ricorso del contribuente ed hanno affermato che “il negozio simulato ex art. 1414 c.c., non produce effetti tra le parti ma produce effetti nei confronti dei terzi in base all’art. 1415 c.c., secondo cui la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti ai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (cfr. Cass. n. 21312/2018).

Pertanto, hanno proseguito gli Ermellini, con riferimento alla tassabilità dei canoni di locazione anche se non percepiti, i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio ex articolo 26 D.P.R. 917/86, secondo il quale “i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale…”, per cui, nel caso in specie, essendo il reddito fondiario costituito dal canone di locazione, e non essendo opponibile all’Erario la simulazione del relativo contratto, non rileva il canone effettivamente percepito dal locatore, bensì il suo ammontare contrattualmente previsto per il periodo di imposta di riferimento. Il canone pattuito in luogo della rendita catastale rileva a fin quando risulta in vita il contratto di locazione, in quanto solo a seguito della cessazione del rapporto contrattuale, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione, il reddito è determinato sulla base della rendita catastale.

 

LE INTERCETTAZIONI TELEFONCICHE SONO UTILIZZABILI CONTRO UNA SOCIETÀ CHE EVADE IL FISCO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 32185 DEL 10 DICEMBRE 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n°32185 del 10 dicembre 2019, ha statuito che le intercettazioni raccolte nell'ambito di un'indagine penale sono pienamente utilizzabili contro la società che evade il fisco, e l'Amministrazione Finanziaria può fondare l'accertamento su dati raccolti ancorché in assenza di un processo penale a carico del contribuente.

Il caso di specie riguarda un'inchiesta scattata nell'ambito di una presunta frode fiscale con la quale si deducevano ingenti costi fittizi, dove la Guardia di Finanza aveva fatto delle intercettazioni ambientali che non erano poi sfociate in un processo penale ma che avevano portato all'accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Con la sentenza de qua, i Giudici di piazza Cavour, hanno chiarito che, “un atto legittimamente assunto in sede penale, nella specie, sommarie informazioni testimoniali della Guardia di finanza e intercettazioni telefoniche, e trasmesso all'Amministrazione Tributaria entra a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il Giudice Tributario di merito deve valutare, così come previsto dall'art. 63 del DPR. n. 633 del 1972”.

In nuce, la S.C. ha anche precisato che, se è vero che il difensore non partecipa alla formazione della prova, è anche vero che nel processo tributario l'atto acquisito ha un minor valore probatorio rispetto a quello riconosciutogli nel processo penale.

 

IL TRASFERIMENTO DI UN GRUPPO DI LAVORATORI APPARTENENTI ALLA MEDESIMA SIGLA SINDACALE CONFIGURA UNA IPOTESI DI CONDOTTA ANTISINDACALE.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 1 DEL 2 GENNAIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1 del 2 gennaio 2020, ha statuito che è antisindacale il trasferimento di massa di lavoratori appartenenti, per la maggior parte, alla medesima sigla sindacale.

I fatti

Un imprenditore aveva trasferito in un altro stabilimento un gruppo di lavoratori, di cui l'80% iscritti alla medesima sigla sindacale, in pratica 17 su 21 componenti del direttivo sindacale.

La motivazione a base del trasferimento era stata dettata da “esigenze di razionalizzazione del processo industriale e di organizzazione aziendale”.

Il datore di lavoro, per rendere più agevole tale trasferimento, metteva a disposizione un servizio navetta per consentire ai lavoratori trasferiti di partecipare comunque all'attività sindacale svolta nello stabilimento di provenienza.

La Cassazione, evidenziando che in caso di trasferimento spetta al datore di lavoro dimostrare che la scelta dei lavoratori sia stata compiuta esclusivamente secondo criteri oggettivi, ha qualificato, nella fattispecie, il comportamento del datore di lavoro lesivo degli interessi dell'organizzazione sindacale, interpretando – per l’effetto – una fattispecie antisindacale.

A comprova di queste conclusioni la Suprema Corte ha rilevato pure che, a seguito del predetto trasferimento, l'organizzazione sindacale aveva perso la gran parte dei suoi iscritti attivi nello stabilimento, senza più poter esercitare attività sindacale in fabbrica.

 

IN CASO DI TRASFERIMENTO D'AZIENDA, LA RICOSTRUZIONE DEL TRATTAMENTO DEGLI SCATTI DI ANZIANITÀ AVVIENE SECONDO LE PREVISIONI DEL CONTRATTO COLLETTIVO APPLICATO NEL PERIODO IN CUI MATURA L'ANZIANITÀ LAVORATIVA.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 32070 DEL 9 DICEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 32070 del 9 dicembre 2019, è intervenuta nel caso di un dirigente d’azienda che, per effetto di un trasferimento d’azienda, chiedeva il ricalcolo della retribuzione di anzianità dalla data in cui era stato nominato dirigente invece che dalla data di decorrenza di tale passaggio.

La corte di Appello aveva confermato il ricorso di primo grado rigettando anche la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno da demansionamento che il dirigente in questione deduceva di aver subito, a seguito del passaggio ad altro datore di lavoro.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso confermando che il diritto alla commisurazione della retribuzione all'anzianità maturata sorge solo quando la disciplina applicata al rapporto di lavoro attribuisce al fatto storico “anzianità” la qualifica di presupposto di fatto per il riconoscimento del diritto stesso. In assenza di una disposizione che attribuisca tale qualifica, l'anzianità maturata, quale mero fatto, non fa sorgere alcun diritto.

La Cassazione ha concluso, pertanto, enunciando che, in caso di trasferimento di azienda, la disciplina collettiva applicata dal cessionario, per effetto dell'immediata sostituzione con quella applicata dal cedente secondo l’art. 2112, c. 3, c.c., è irretroattiva: essa non è correlabile con l'anzianità già conseguita, non essendo tale contratto collettivo vigente presso il cedente nel periodo precedente al trasferimento.

 

L’ATTRIBUZIONE DEL LIVELLO SUPERIORE, IN CASO DI CONTEMPORANEO SVOLGIMENTO DI MANSIONI RIENTRANTI ANCHE NEL LIVELLO INFERIORE, IMPONE AL GIUDICE UNA VERIFICA SULLA PREVALENZA E L’IMPEGNO ORARIO DELLE MANSIONI SVOLTE.

CORTE DI CASSAZIONE– SENTENZA N. 32699 DEL 12 DICEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 32699 del 12 dicembre 2019, ha statuito che quando il contratto collettivo applicato prevede, in caso di svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di diverse categorie, l'attribuzione della categoria corrispondente alla mansione superiore, il Giudice deve verificare in modo rigoroso il carattere di prevalenza o almeno di equivalenza di tempo.

Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto respingeva la domanda tesa al riconoscimento del diritto alla qualifica superiore ed al compenso per lavoro straordinario, nonché  l'impugnativa di licenziamento, in quanto non tempestiva e condannava il datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 6.826,05 a titolo di differenze retributive per il maggior orario di lavoro espletato rispetto a quello indicato nelle buste paga, a titolo di 13 e 14 mensilità, indennità sostitutiva di ferie e T.F.R. 

La Corte d'Appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava il datore a corrispondere la complessiva somma di Euro 24.652,08, determinata al lordo delle ritenute erariali e previdenziali, sul presupposto che la qualifica da riconoscere era quella di Capo ricevimento, corrispondente al secondo livello della declaratoria contrattuale, atteso che le deposizioni più convincenti erano risultate quelle rese dai testi e che a supporto di tale prova vi era stata la dichiarazione di credenziali rilasciata proprio dal titolare dell'azienda, nella quale era specificato che le mansioni attribuite erano state quelle di capo ricevimento.

Orbene, nel caso de quo, secondo gli Ermellini, a conferma di quanto stabilito dai giudici distrettuali, quando la disciplina collettiva, in caso di svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di diverse categorie, prevede l'attribuzione della categoria corrispondente alla mansione superiore, sempreché essa abbia carattere di prevalenza o almeno di equivalenza di tempo, il giudice deve compiere una rigorosa e penetrante indagine quanto alla continuità, alla rilevanza e all'impegno temporale giornaliero delle mansioni, delle diverse categorie, espletate dal lavoratore.

Nel caso in cui sia assolutamente impossibile comparare le rispettive mansioni secondo il criterio dettato dal contratto collettivo, si deve fare ricorso ai criteri validi per l'ipotesi di assenza di una disciplina collettiva in materia. In tal caso, se il lavoratore svolge nella sua interezza la mansione, il cui espletamento è attributivo della categoria superiore, spetta tale categoria; se, invece, detto criterio non è rilevabile, assume, se possibile, carattere assorbente quello della quantità delle energie lavorative profuse nelle singole mansioni del lavoratore, nel senso che deve ritenersi caratterizzante una mansione che – anche se esercitata con scarsa frequenza e continuatività – richieda un alto grado di specializzazione e rilevante profusione di impegno intellettivo e materiale.  

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro.

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Modificato: 27 Gennaio 2020