24 Febbraio 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GENNAIO 2020

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Gennaio 2020. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Gennaio 2020 è pari a 0,271341 e l’indice Istat è 102,70

 

LA REITERATA ASSEGNAZIONE A MANSIONI SUPERIORI ANCHE PER PERIODI FRAZIONATI INTEGRA IL DIRITTO DEL LAVORATORE ALL'ADIBIZIONE AL SUPERIORE INQUADRAMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 1556 DEL 23 GENNAIO 2020.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 1556 del 23 gennaio 2020, ha statuito, in tema di assegnazione del lavoratore a mansioni superiori che il diritto del lavoratore, ex art. 2103 c.c., debba rispettarsi anche nel caso di reiterata assegnazione, non continuativa, se conseguente ad una programmazione aziendale.

Nel caso de quo, la Corte territoriale di Milano, accogliendo l'appello interposto da un lavoratore, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, aveva accertato il diritto del dipendente all'inquadramento nell'Area Quadri e condannato la società datrice al pagamento delle relative differenze retributive. La Corte di merito aveva osservato che la reiterata assegnazione a mansioni superiori infratrimestrale, non continuativa, integrava un illegittimo frazionamento del periodo di esercizio di tali mansioni, risultando per tabulas che tale assegnazione, frazionata, ma sistematica, in assenza di una ragionevole causa che l'avrebbe determinata, induceva all'applicazione dell'art. 2103 c.c. (testo previgente). La condotta implicava, secondo la Corte, se non un vero e proprio intento fraudolento del datore di lavoro volto ad impedire la maturazione del diritto alla promozione automatica, comunque, una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il datore di lavoro.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha ripercorso il contenuto dell'art. 2103 c.c. nonché le corrette modalità di inquadramento di un lavoratore subordinato che si compongono di tre fasi: l'accertamento in fatto dell'attività lavorativa svolta in concreto; l'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi.

Affinché possa ravvisarsi la sistematicità e la frequenza di reiterate assegnazioni di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori, hanno continuato gli Ermellini, il cui cumulo sia utile all'acquisizione del diritto alla promozione automatica in forza dell'art. 2103 c.c., occorre, almeno, una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento; tali elementi possono evincersi da circostanze obiettive ed in particolare, oltre alla frequenza e sistematicità delle assegnazioni, la rispondenza delle stesse ad una esigenza strutturale del datore di lavoro, tale da rivelare la utilità per la organizzazione aziendale della professionalità superiore.

Nel caso di specie, hanno concluso gli Ermellini, i Giudici di secondo grado avevano osservato che i documenti relativi al conferimento delle assegnazioni fossero da ritenersi idonei a provare le circostanze dedotte dal lavoratore, nel senso di avvalorare il conferimento di mansioni superiori con particolare frequenza e sistematicità, per fare fronte ad una esigenza strutturale del datore di lavoro.

 

NON E’ SOGGETTO AD IRAP IL REDDITO PROFESSIONALE DEL PROFESSIONISTA CHE SVOLGE LA PROPRIA ATTIVITA’ PRESSO STUDI DI COLLEGHI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 914 DEL 17 GENNAIO 2020

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 914 del 17 gennaio 2020, ha statuito che non è soggetto ad Irap il reddito professionale derivante da attività svolta esclusivamente presso gli Studi di colleghi, in quanto non è sufficiente a configurare un’autonoma organizzazione, se tali strutture siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale.

Il caso

Un odontoiatra, privo di un proprio Studio, provvedeva regolarmente a versare l’imposta regionale sulle attività produttive, salvo poi presentare istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate che però non dava seguito alla suddetta istanza, formandosi così il c.d. silenzio-rifiuto.

Il contribuente ricorreva allora alla giustizia tributaria denunciando di aver svolto la propria attività senza disporre di uno studio proprio e recandosi ad operare presso studi dentistici di colleghi. Neppure disponeva di beni strumentali eccedenti il minimo necessario per l’esercizio della professione (autovettura, telefono cellulare, computer, macchina fotografica, proiettore). Specificava, inoltre, di non aver svolto alcun ruolo di direzione negli studi professionali presso cui esercitava il suo lavoro, e di non aver avuto clienti privati.

In entrambi i giudizi di merito il professionista ne usciva però soccombente, da qui il ricorso per Cassazione.

Tra i motivi di gravame, il professionista contestava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, in cui era incorsa la C.T.R. per aver erroneamente ritenuto sussistente l’imprescindibile presupposto dell’applicazione dell’Irap, consistente nel requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività del professionista per il solo fatto di aver conseguito redditi elevati.

Ebbene, la Suprema Corte, diversamente dalla C.T.R., ha con la sentenza de qua escluso in radice l’esistenza del presupposto impositivo e ha quindi disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato come i Giudici di merito nel loro giudicato non abbiano correttamente tenuto conto dei principi fissati in materia di IRAP, con riguardo ai liberi professionisti, sia dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 156 del 2001) sia da numerose pronunce di legittimità che hanno affermato quanto segue:

  • in tema di IRAP, la circostanza che il professionista operi presso due o più strutture materiali non è sufficiente a configurare un’autonoma organizzazione, se tali strutture siano semplicemente strumentali a un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale (Cass. n. 26651/2016);
  • per la soggezione a IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo è necessario che la struttura organizzativa di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo (Cass. n. 4080/2017).

Per quanto sopra, gli Ermellini hanno concluso evidenziando che, “risultava incontestato che il ricorrente non disponeva di uno studio professionale proprio e operava presso le strutture di colleghi, servendosi degli strumenti professionali propri indispensabili. Appariva incontestato pure che negli studi dentistici presso cui prestava la propria opera non svolgeva alcuna mansione dirigenziale né organizzativa, o comunque di responsabilità. Neppure si avvaleva di collaboratori propri”.

Pertanto, il Collegio di legittimità ha accolto il ricorso del professionista e, decidendo nel merito, ha accolto la richiesta di rimborso dell’imposta indebitamente versata, senza tuttavia condannare l’Ufficio resistente alle spese processuali, considerate la “complessità della materia trattata e le oscillazioni giurisprudenziali registratesi in merito nel passato”.

 

INDEDUCIBILITA’ TOTALE IRPEF PER L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO CORRISPOSTO ALLA EX IN UN’UNICA SOLUZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 29178 DEL 12 NOVEMBRE 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria-, sentenza n° 29178 del 12 novembre 2019, ha statuito che è totalmente indeducibile dall'Irpef l'assegno di mantenimento corrisposto all’ex coniuge in un'unica soluzione, in quanto detta agevolazione fiscale spetta solo in caso di contributo periodico.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate ribaltando in toto il verdetto della CTR di Milano.

La vicenda in esame traeva origine dal fatto che il contribuente aveva consegnato alla ex un assegno di 67 mila euro, in virtù di un accordo preso in sede di separazione, deducendoli integralmente dal proprio reddito, recuperato a tassazione dall'Amministrazione Finanziaria.

Gli Ermellini, con la sentenza de qua, hanno infatti ricordato che in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, l'art. 10, c. 1, lettera g), DPR n. 597/1973, al pari dell'art. 10, c. 1, lett. c), DPR n. 917/1986,  limita la deducibilità, ai fini dell'applicazione dell'Irpef, solo all'assegno periodico, e non anche a quello corrisposto in unica soluzione al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell'autorità giudiziaria. Tale differente trattamento è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l'altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole, né in contrasto con il principio di capacità contributiva.

In nuce, per la S.C, l'art. 10 del DPR n. 597 del 1973 non consente la deducibilità dal reddito, e dalla tassazione IRPEF, dell'assegno corrisposto in un'unica soluzione all'ex coniuge, ai sensi dell'art. 5, c. 8, della Legge n. 898 del 1970.

 

L’EVASIONE FISCALE PUÒ ESSERE PROVATA CON LE ANNOTAZIONI CONTENUTE NELL’ELENCO CLIENTI-FORNITORI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 230 DELL’ 8 GENNAIO 2020

La Corte di Cassazione, sentenza n° 230 dell’8 gennaio 2020, ha statuito che l'evasione fiscale può essere ampiamente dimostrata con le annotazioni contenute nell'elenco clienti-fornitori.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso di un imprenditore che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, motivandolo con il fatto che le annotazioni rinvenute nell'elenco fornitori inviato dai clienti dell'imputato all'Agenzia delle Entrate corrispondevano a fatture regolarmente registrate in corrispondenza di prestazioni di servizi ricevute o di beni acquistati dal soggetto emittente, in quanto soggetto titolare di partita Iva, era legittimato a detrarre la relativa imposta ed aventi perciò valore probatorio in ordine all'acquisto di beni.

Inoltre, per gli Ermellini, in campo tributario, la presunzione vale come strumento di accertamento nel contrasto all'evasione fiscale che si fonda sulla riconducibilità al reddito, inteso come frutto dell'attività produttiva, e segnatamente ai ricavi, di importi di incerta provenienza, che non può invece trovare applicazione nel processo penale.

In nuce, la riconducibilità delle fatture emesse dal soggetto contribuente, ricostruite sulla base di quelle ricevute dai clienti e regolarmente registrate, al volume di affari della società dal medesimo amministrata, non costituisce alcuna presunzione.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO A FRONTE DI COMPORTAMENTI DI STALKING A CARICO DI UN COLLEGA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 1890 DEL 28 GENNAIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1890 del 28 gennaio 2020, ha statuito che la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, con la conseguenza che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte.

Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Venezia rigettava il reclamo proposto da un lavoratore licenziato avverso la sentenza di primo grado.

Detto licenziamento era fondato su una condotta reiterata, protrattasi per alcuni anni, che il lavoratore aveva assunto ai danni di una collega, dopo che quest’ultima aveva deciso di interrompere la relazione sentimentale. Il comportamento in esame era consistito in minacce e molestia ai danni della lavoratrice e del di lei marito, procurandole grande preoccupazione e malessere psico-fisico tali da indurla a modificare le proprie abitudini di vita e da interferire sull'organizzazione dell'attività lavorativa, con riflesso sull'intollerabilità della prosecuzione del rapporto di lavoro.

La Corte territoriale riteneva provata la condotta contestata, sulle base delle risultanze del processo penale di primo grado e dalle istruttorie direttamente acquisite nel processo, ravvisando, quindi, la proporzione tra gli addebiti contestati e la sanzione espulsiva comminata.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, a conferma di quanto stabilito dai Giudici di merito, hanno, in particolare, ribadito che la giusta causa di licenziamento è nozione legale, rispetto alla quale non sono vincolanti (al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo) le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l'autonoma valutazione del Giudice di merito in ordine all'idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione. Ed infatti, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell'apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, purché  vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 24 Febbraio 2020