2 Marzo 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LA MANCATA DEFINIZIONE ENTRO 30 GIORNI DELL’AVVISO BONARIO COMPORTA L’APPLICAZIONE DELLA MISURA PIENA DELLE SANZIONI, A NULLA RILEVANDO LA PRESENTAZIONE DI UN’ISTANZA DI AUTOTUTELA.

CORTE DI CASSZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 29650 DEL 14 NOVEMBRE 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 29650 del 14 novembre 2019, ha statuito che la definizione in via agevolata dell’avviso bonario deve in ogni caso avvenire entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso a nulla rilevando che l’Agenzia delle Entrate entro tale termine non abbia ancora dato riscontro alla richiesta di autotutela presentata dal contribuente.

Nel caso in specie, un contribuente impugnava la cartella di pagamento ricevuta a seguito iscrizione a ruolo delle maggiori sanzioni derivanti dal ritardato pagamento degli importi di cui ad un avviso bonario notificatagli ai sensi dell’articolo 36 bis, comma 3 del D.P.R. n. 600/73. Il ricorrente, nel merito, deduceva che il ritardato pagamento era stato determinato dal comportamento dell’Amministrazione Finanziaria, la quale, in violazione del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 10 della legge n. 212/2000, non aveva fornito alcuna risposta a un’istanza presentata in autotutela per l’annullamento dell’avviso suddetto.

Sia la CT.P. che la C.T.R. accoglievano le doglianze del contribuente, per cui l’Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione ritenendo di non aver violato alcun principio sancito nello Statuto del contribuente, evidenziando che “nessun obbligo giuridico di provvedere grava sull’Amministrazione finanziaria in caso di presentazione da parte del privato di un’istanza di autotutela”.

Orbene, con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate affermando che nel caso in specie il principio del legittimo affidamento non trova applicazione, poiché il potere di autotutela è un atto discrezionale e la presentazione dell’istanza di autotutela “non era affatto idonea ad ingenerare nel contribuente il legittimo affidamento in una risposta, tanto meno in senso favorevole, a nulla rilevando a tal fine la soggettiva convinzione del contribuente medesimo nella fondatezza delle proprie rimostranze e neppure la oggettiva fondatezza delle stesse”. Pertanto, qualora il contribuente si attivi presentando un’istanza in autotutela, il termine dei 30 giorni per pagare con le sanzioni ridotte al 10% non si sospende mai.

In particolare, gli Ermellini hanno chiarito che solo nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente, ridetermini in sede di autotutela l’importo delle somme dovute, decorrerà un nuovo termine dalla relativa comunicazione. Dunque, la mera presentazione di una istanza in autotutela da parte del contribuente, ove non seguita da una comunicazione di rideterminazione delle somme dovute, non esime quest’ultimo dall’onere di pagare entro il termine di legge”.

Infine, i Giudici delle Leggi hanno evidenziato come i principi di buona fede e di leale collaborazione valgano anche per il contribuente, per cui lo stesso ha l’onere di attivarsi in tempo utile, salvo dimostrazione di cause di forza maggiore che lo hanno impedito. Nel caso de quo il contribuente aveva presentato l’istanza in autotutela due giorni prima dello spirare dei 30 giorni.

Dunque, la mera presentazione di una istanza in autotutela da parte del contribuente, ove non seguita da una comunicazione di rideterminazione delle somme dovute, non esime quest’ultimo dall’onere di pagare entro il termine di legge, decorrente dalla comunicazione d’irregolarità, al fine di usufruire della riduzione della sanzione, attesa l’autonomia del procedimento di riscossione coattiva da quello introdotto dalla richiesta di provvedere in autotutela.

 

LA COMUNICAZIONE DELLA RICHIESTA DI ESPLETAMENTO DEL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE INTERROMPE LA PRESCRIZIONE E SOSPENDE, FINO AL VENTESIMO GIORNO SUCCESSIVO ALLA SUA CONCLUSIONE, SOLO IL DECORSO DI OGNI TERMINE DI DECADENZA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3346 DEL 12 FEBBRAIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3346 del 12 febbraio 2020, ha statuito che la comunicazione della richiesta di espletamento di tale tentativo, ex art. 410 secondo comma del c.p.c., pur interrompendo la prescrizione, non comporta anche la sospensione del termine di prescrizione del diritto azionato sino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa.

Secondo l’art. 410, secondo comma, del codice di procedura civile “la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza”.

Ciò posto, hanno chiarito i Giudici di Piazza Cavour, anche in virtù del carattere tassativo riconducibile alle ipotesi di sospensione della prescrizione risultanti dagli artt. 2941 e 2942 c.c., la comunicazione della richiesta di espletamento di tale tentativo non comporta anche la sospensione del termine di prescrizione del diritto azionato sino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa (ma solo la sospensione di eventuali termini di decadenza).

Inoltre, gli Ermellini hanno precisato che, affinché si produca l'effetto interruttivo della prescrizione è necessario che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore, sicché tale effetto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si realizza con il deposito del ricorso presso la cancelleria del Giudice adito, ma con la notificazione dell'atto al convenuto, non operando, in questo caso, il principio che estende anche sul piano sostanziale la scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, atteso che l'effetto di interruzione della prescrizione può avvenire anche in virtù di un atto stragiudiziale.

 

IL PRODUTTORE DEL MACCHINARIO DIFETTOSO È RESPONSABILE DELL'INFORTUNIO DEL LAVORATORE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 2395 DEL 3 FEBBRAIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 2395 del 3 febbraio 2020, è intervenuta in un giudizio promosso da un lavoratore nei confronti di una società per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio sul lavoro avvenuto mentre utilizzava un macchinario prodotto dalla stessa, risultato difettoso. La stessa ha statuito la responsabilità della società produttrice.

Di seguito i fatti.

La società produttrice, vistasi chiamata in giudizio, aveva indicato quale unico responsabile del danno il datore di lavoro in quanto non erano assolutamente evidenti le prove dell'effettiva difettosità del macchinario.

La Corte di Appello aveva evidenziato che il macchinario fosse stato ispezionato e fotografato “non in funzione” dal consulente tecnico d'ufficio nominato e che tale esame aveva evidenziato proprio il difetto ritenuto poi cagione del danno.

La consulenza operata su un analogo macchinario, anche se non proprio dello stesso tipo, lasciava supporre che la macchina fosse davvero difettosa e che la colpa, gioco forza, ricadesse proprio sulla società produttrice.

La Suprema Corte ha, pertanto, avallato la tesi della Corte territoriale rigettando il ricorso della società produttrice e condannandola al risarcimento del danno richiesto dal lavoratore.

 

LEGITTIMO IL SEQUESTRO PREVENTIVO DELLE QUOTE DI UNA SOCIETÀ, PUR SE APPARTENENTI A PERSONA ESTRANEA AL REATO, QUALORA DETTA MISURA SIA DESTINATA A IMPEDIRE LA PROTRAZIONE DELL'IPOTIZZATA ATTIVITÀ CRIMINOSA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 45160 DEL 6 NOVEMBRE 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 45160 del 6novembre 2019, ha statuito che sono sequestrabili le quote societarie intestate ai parenti del presunto evasore, configurandosi il reato di autoriciclaggio in caso di acquisto dei beni con i proventi della frode fiscale.

Con la sentenza de qua, i Giudici di piazza Cavour hanno ritenuto del tutto legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società, pur se appartenenti a persona estranea al reato, in quanto misura destinata a impedire la protrazione dell'ipotizzata attività criminosa.

Infatti, per gli Ermellini,  ciò che rileva in questi casi non è la titolarità del patrimonio sociale ma la sua gestione, supposta illecita, donde il sequestro preventivo è idoneo ad impedire la commissione di ulteriori reati, pur se in maniera mediata e indiretta, dal momento che esso priva i soci dei diritti relativi alle quote sequestrate, mentre la partecipazione alle assemblee e il diritto di voto, anche in ordine all'eventuale nomina e revoca degli amministratori, spettano al custode designato in sede penale.

In nuce, per la S.C., è legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società pur se appartenenti ad una terza persona estranea al reato, qualora sussista un nesso di strumentalità tra detti beni con il reato contestato ed il vincolo cautelare sia destinato a impedire, sia pure in modo mediato e indiretto, la protrazione dell'ipotizzata attività criminosa, ovvero la commissione di altri fatti penalmente rilevanti, attraverso l'utilizzo delle strutture societarie.

 

SE L’ATTIVITA’ AZIENDALE E’ CESSATA IL GIUDICE NON PUO’ DISPORRE LA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 1888 DEL 28 GENNAIO 2020.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 1888 del 28 gennaio 2020, ha statuito che il Giudice che accerti l'illegittimità del licenziamento non può disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nel caso in cui l’attività imprenditoriale sia cessata.

La Corte di appello di Catania, riformando la pronuncia di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato in data 18 luglio 2005 da una società ad un dipendente e ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 18, (nel testo anteriore alla riforma apportata dalla L. n. 92 del 2012); condannava, altresì, la società appellata al pagamento, a titolo risarcitorio, di una indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

La Corte di Appello riteneva che il datore non avesse agito con buona fede e correttezza, violando di tal guisa il disposto di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c., in quanto il licenziamento, intimato per giustificato motivo oggettivo, recava una causale ("…improcrastinabili esigenze economiche e di ragioni connesse all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro") a fronte della quale la scelta del lavoratore da licenziare, era avvenuta senza alcuna comparazione con gli altri dipendenti assegnati al medesimo punto vendita.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, a parziale riforma di quanto stabilito dai Giudici distrettuali, hanno parzialmente accolto il sesto motivo posto a base del ricorso, precisando che la tutela reale del posto di lavoro non può spingersi fino ad escludere la possibile incidenza di successive vicende determinanti l'estinzione del vincolo obbligatorio. Tra queste ultime rientra certamente la sopravvenuta materiale impossibilità totale e definitiva di adempiere l'obbligazione, non imputabile a norma dell'articolo 1256 c.c., che è ravvisabile nella sopraggiunta cessazione totale dell'attività aziendale, da accertare, caso per caso, anche ove l'imprenditore sia stato ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 2 Marzo 2020