20 Luglio 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GIUGNO 2020

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Giugno 2020. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Giugno 2020 è pari a 0,75 e l’indice Istat è 102,40

L’ELEMENTO QUALIFICANTE IL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE E’ LA SUBORDINAZIONE CHE VA DIMOSTRATA DAL LAVORATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 12871 DEL 26 GIUGNO 2020.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 12871 del 26 giugno 2020, ha statuito nuovamente che grava sul lavoratore l’onere di fornire gli elementi di fatto idonei a dimostrare la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

La sentenza in esame, pur riconfermando il costante orientamento giurisprudenziale in ordine alla differenza fra lavoro autonomo e lavoro subordinato, si appalesa molto interessante perché, tenendo conto dell’ormai mutata realtà sociale, afferma il sostanziale superamento dei tradizionali canoni della locatio operis e locatio operarum.

La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso depositato da un soggetto che, rivendicando la natura subordinata delle proprie prestazioni, conveniva in giudizio una organizzazione sindacale, nei confronti della quale aveva svolto una carica elettiva.

Soccombente in entrambi i gradi di merito, il soggetto investiva la Suprema Corte. Quest’ultima ha confermato che l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, ergo nella subordinazione. La subordinazione implica l’inserimento del lavoratore nella organizzazione del datore mediante messa a disposizione delle proprie energie lavorative (operae), mentre nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell’attività (opus).

Inoltre, proseguono gli Ermellini, quando le parti contraenti del contratto abbiano dichiarato di voler escludere la subordinazione, nei casi in cui ci si trovi di fronte ad elementi compatibili sia con il primo che con il secondo tipo di prestazione, è possibile addivenire ad una differente qualificazione del rapporto di lavoro soltanto laddove emerga, in concreto, la subordinazione, il cui onere probatorio è posto a carico del lavoratore. A tale fine, sono indici della subordinazione: la retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa, l’orario di lavoro fisso e continuativo, la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali, il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore con conseguente limitazione della sua autonomia, l’inserimento nell’organizzazione aziendale.

 

COSTITUISCE INSUBORDINAZIONE QUALSIASI COMPORTAMENTO ATTO A PREGIUDICARE L'ESECUZIONE E IL CORRETTO SVOLGIMENTO DELLE DISPOSIZIONI RICEVUTE NEL QUADRO COMPLESSIVO DELL'ORGANIZZAZIONE AZIENDALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13411 DEL 1^ LUGLIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 13411 del 1^ luglio 2020, ha statuito, in tema di legittimità del licenziamento disciplinare, che l'insubordinazione rileva non solo per il rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici, ma anche in relazione a qualsiasi comportamento posto in dispregio alle disposizioni ricevute.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Trento aveva riformato la sentenza di primo grado e respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro ad un dipendente al quale era stata contestata una condotta di insubordinazione in violazione delle regole di correttezza.

In particolare, il dipendente aveva minacciato la responsabile dell'amministrazione nel corso di una discussione. Con tale condotta si contestava di aver posto in essere una grave violazione delle regole di correttezza e civiltà nei rapporti con i colleghi, aggravata da atteggiamenti verbalmente minacciosi. Secondo la contestazione disciplinare, la minaccia era consistita nell'avere chiuso la porta dell'ufficio e nell'avere pronunciato frasi minacciose puntando il dito contro l'interlocutrice.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore, argomentando che non vi sarebbe stata insubordinazione, in assenza di un rapporto gerarchico con l'interlocutrice e neppure un'infrazione disciplinare, in quanto il diverbio si era verificato a giornata lavorativa ormai conclusa.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che la nozione di insubordinazione, nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l'esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale. E' dunque erronea in diritto la tesi per cui l'insubordinazione dovrebbe essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici; la violazione dei doveri del prestatore, hanno continuato gli Ermellini, riguarda non solo la diligenza in rapporto alla natura della prestazione, ma anche l'inosservanza delle disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore o dai suoi collaboratori (art. 2104 c.c.).

Nel caso di specie, la condotta oggetto dell'addebito disciplinare, seppure realizzatasi al di fuori dell'orario di lavoro, era stata tenuta dal lavoratore in locali aziendali e si era rivolta in danno di una dipendente che, nel particolare contesto organizzativo, era preposta a rappresentare l'azienda in veste di responsabile amministrativo e la vicenda aveva riguardato aspetti che afferivano comunque all'osservanza di disposizioni interne dettate dal datore di lavoro circa l'uso di beni aziendali.

Per gli stessi motivi, hanno concluso gli Ermellini, non è pertinente il richiamo a comportamenti extralavorativi tenuti dal dipendente, dovendosi precisare che, anche il carattere extralavorativo di un comportamento non ne preclude in via generale la sanzionabilità in sede disciplinare, in quanto gli artt. 2104 e 2105 c.c., richiamati dalla disposizione dell'art. 2106 c.c. relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto di lavoro. 

 

I BENEFICI PRIMA CASA VANNO RICONOSCIUTI ANCHE AL CONIUGE NON RESIDENTE NEL COMUNE IN CUI È SITO L'IMMOBILE SE VI RISIEDE LA FAMIGLIA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 11225 DELL’11 GIUGNO 2020

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n. 11225 dell’11 giugno 2020, ha statuito che i benefici prima casa spettano anche al coniuge non residente nel Comune in cui è sito l'immobile se è stato acquistato in comunione legale e vi risiede la sua famiglia.

Il caso di specie concerne l’impugnazione dell’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate chiedeva il pagamento per intero dell’imposta di registro in revoca dell’agevolazione “prima casa” chiesta dal contribuente ed esclusivamente riconosciuta alla di lui moglie nella misura del 50%, in quanto, solo quest’ultima aveva ottemperato all’obbligo di trasferire nel previsto termine di diciotto mesi la sua residenza nel Comune nel quale era sito l’immobile acquistato in regime di comunione legale e destinato a residenza familiare;

Tra i motivi delle doglianze del contribuente, per gli Ermellini, assume carattere decisivo ed assorbente quello con il quale contesta, sotto il profilo della violazione di legge, che sia stata legittimamente esclusa la rilevanza della destinazione a residenza familiare dell’immobile ancorché acquistato in regime di comunione legale.

Infatti, con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno ribadito che, in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l'acquisto della “prima casa”, ai fini della fruizione degli stessi, ai sensi dell'art. 2 della Legge n. 118/1985, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l'immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra i coniugi, quel che rileva è che il cespite acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in senso contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell'art. 177 C.C., quindi, sia in caso di acquisto separato che congiunto dello stesso.

In nuce, per la S.C., in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, ai sensi dell’art. 2 della Legge 118/1985, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile sempre va riferito alla famiglia.

 

IL RISCATTO DEGLI ANNI DI LAUREA NON È SOGGETTO AL TERMINE DI DECADENZA DELLA DOMANDA TIPICO DELLE CONTROVERSIE IN MATERIA PENSIONISTICA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13630 DEL 2 LUGLIO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 13630 del 2 luglio 2020, ha statuito che la domanda per il riscatto di laurea, non rientrando nella materia dei “trattamenti pensionistici”, non è soggetta al termine decadenziale di tre anni dalla decisione del ricorso amministrativo.

Più in dettaglio, la Suprema Corte è intervenuta nel caso di un ricorso presentato da un lavoratore per il riconoscimento della contribuzione da riscatto di laurea a distanza di venticinque anni dalla presentazione della domanda amministrativa all’INPS.

La Corte territoriale aveva ritenuto decaduto il diritto del lavoratore a rivendicare in via giudiziaria, solamente nel 2010, la possibilità di poter usufruire della domanda di riscatto di laurea presentata in via amministrativa nel lontano 1985.

La Corte di Cassazione, invece, ha stabilito che l'azione giudiziaria per la sussistenza del diritto al riscatto del periodo di laurea non è soggetta al termine di decadenza di 3 anni dalla decisione del ricorso amministrativo previsto per le controversie in materia di trattamenti pensionistici (art. 47 DPR 639/70).

Gli Ermellini hanno argomentato precisando che, il riscatto del periodo di laurea non rientra tra le controversie in materia di “trattamenti pensionistici”, dato che lo stesso è un istituto finalizzato a consentire la copertura assicurativa di un periodo in cui l'interessato, essendosi dedicato allo studio, non ha potuto ottenere il versamento dei contributi assicurativi che avrebbe invece conseguito se avesse lavorato, e dunque attiene non al rapporto giuridico previdenziale propriamente detto ma ad un diverso rapporto, ad esso preliminare, che concerne la formazione della posizione assicurativa che ne costituisce il presupposto e che ha ad oggetto il pagamento dei contributi previdenziali e l'adempimento da parte dell'INPS.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO INTIMATO PER ABBANDONO DEL POSTO DI LAVORO, A PRESCINDERE DAL CARATTERE GENERICO DELLA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E DELLA TRANSITORIETÀ DELL’ALLONTANAMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13410 DEL 1° LUGLIO 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n. 13410 del 1° luglio 2020, ha statuito la legittimità del licenziamento per giusta causa dovuto all’abbandono del posto di lavoro, indipendentemente dal carattere generico della contestazione dell’addebito e dalla temporaneità dell’allontanamento.

Nel caso de quo, un dipendente assunto con mansioni di vigilanza adiva il Tribunale per impugnare il licenziamento intimato per giusta causa in seguito all’allontanamento dall’area di sorveglianza assegnata, dovuto a suo dire da un’esigenza soltanto temporanea. Se in primo grado il Tribunale aveva accolto le sue doglianze, la Corte d’Appello riformava la sentenza, dichiarando legittimo il licenziamento.

Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione, adducendo come motivazione, tra le altre, la falsa applicazione dell’art. 7 della Legge n. 300/1970, ritenendo che nella contestazione disciplinare gli atti ascritti non fossero sufficientemente specifici da evidenziare che la condotta contestata fosse quella dell’abbandono del posto di lavoro e non quella della mera irregolarità nello svolgimento della mansione, non avendo richiesto l’autorizzazione per l’allontanamento temporaneo.

I Giudici della Suprema Corte, rigettando il ricorso del lavoratore, hanno affermato, invece, che il requisito della specificità della contestazione dell’addebito, necessario a tutelare il diritto di difesa del lavoratore, deve essere verificato attraverso l’utilizzo del canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., che impone di tenere in considerazione l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio. La mancanza di una precisa qualificazione giuridica dei fatti contestati (allontanamento momentaneo o abbandono del posto di lavoro), invece, non determina l’inosservanza del principio di specificità, che si verifica solo con una concreta violazione del diritto di difesa. Peraltro, i Giudici, richiamando un precedente orientamento già espresso dalla Suprema Corte, hanno sottolineato che la fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro presenta un carattere oggettivo, inteso come intensità dell’inadempimento agli obblighi di vigilanza, ed uno soggettivo, inteso come elemento di volontà di abbandono del posto di lavoro, indipendente dal fine perseguito dal lavoratore, entrambi presenti nel caso in oggetto.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Giusi Acampora e Michela Sequino

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Modificato: 20 Luglio 2020