15 Febbraio 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

IL DECORSO DEL TERMINE DI 30 GG. PER L’OPPOSIZIONE ALL’ORDINANZA INGIUNZIONE, EMESSA DALL’INL, E’ SOSPESO NEL PERIODO 1°-31 AGOSTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – SENTENZA N. 2145 DEL 29 GENNAIO 2021.

La Corte di Cassazione –Sezioni Unite-, sentenza n° 2145 del 29 gennaio 2021, ha (ri)statuito che, nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, ex art. 22 della L. 689/81, sebbene regolati dal rito del lavoro, ex art. 6 del D.lgs. 150/2011, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma della L. 742/1969 art. 3 (dal 1° al 31 agosto) trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c.

La sentenza, in sostanza, conferma la statuizione delle medesime Sezioni riunite della Corte nomofilattica n° 63/2000, quest’ultima emanata sulla base della previgente normativa di cui all’art. 35 della L. 689/81.

La Corte, dopo aver esaminato le modifiche normative medio tempore intervenute e gli arresti giurisprudenziali in materia, ha affermato il seguente principio di diritto: “nel regime introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un'omissione contributiva, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma della L. n. 742 del 1969, art. 3, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c..

Ne deriva che, ai fini della tempestività dell'impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro (come nel caso esaminato dalla stessa, n.d.r.) o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione.

NON COSTITUISCONO CONTROLLO A DISTANZA LE VIDEORIPRESE EFFETTUATE AL FINE DI PORRE IN ESSERE I C.D. CONTROLLI DIFENSIVI OVVERO RIVOLTI ESCLUSIVAMENTE ALLA TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE. PENALE – SENTENZA N. 3255 DEL 27 GENNAIO 2021.

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 3255 del 27 gennaio 2021, ha escluso la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui alla L. 20 maggio 1970, n°300, art. 4, allorquando l'impianto audiovisivo, installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, abbia la funzione di tutelare il patrimonio aziendale.

Nel caso de quo, i Giudici di prime cure avevano dichiarato colpevole il titolare di una ditta esercente l'attività di commercio al dettaglio, in conseguenza della installazione di un impianto video all'interno dell'azienda, utilizzabile per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver richiesto l'accordo delle rappresentanze sindacali aziendali o dell'Ispettorato del lavoro. 

Per la cassazione della sentenza, con la quale era stata irrogata  la pena di 200,00 Euro di ammenda, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ha proposto ricorso l'imprenditore eccependo che gli impianti video installati non erano strumenti di controllo lesivi della libertà e dignità dei lavoratori, bensì sistemi difensivi a tutela del patrimonio aziendale, adottati a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature.

Orbene, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale ricordando, in primis, che la violazione della disciplina di cui alla L. n°300 del 1970, art. 4 costituisce illecito penale in forza di quanto dispone il D.Lgs. n°196 del 2003, art. 171 nel testo vigente dopo la riforma di cui alla L. n°101 del 2018, il quale rinvia all'art. 38 della L. n°300/70 per le sanzioni applicabili che consistono nell'ammenda da Euro 154 a Euro 1.549 o con l'arresto da 15 giorni ad un anno.

Si ricorda che il testo vigente dell'art. 4, comma 1, per effetto delle riforme recate prima dal D.Lgs. 14 settembre 2016, n°151, art. 23, comma 1, e poi dal D.Lgs. 24 settembre 2016, n°185, art. 5, comma 2, dispone: "Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali".

Pertanto, si ritiene penalmente rilevante anche la sola potenzialità del controllo a distanza dei dipendenti, costituendo reato di pericolo, diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori.

Appare tuttavia importante, hanno evidenziato gli Ermellini, che "ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dall'ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore" (id: controlli difensivi). Secondo un orientamento ampiamente consolidato, infatti, sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo per tutelare il patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio.

La decisione oggetto di ricorso, hanno concluso gli Ermellini annullando la sentenza con rinvio per un nuovo giudizio, non ha chiarito se l'installazione del sistema di videosorveglianza rilevato fosse strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, ne' se l'utilizzo dell'impianto comportasse un controllo non occasionale sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti, ovvero, dovesse restare necessariamente "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite di questi ultimi.

IL PAGAMENTO TARDIVO NON SALVA L’IMPRENDITORE DALLE CONSEGUENZE PENALI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 4266 DEL 3 FEBBRAIO 2021

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 4266 del 3 febbraio 2021, ha statuito che non può essere assolto per speciale tenuità del fatto l'imprenditore che, dopo lo spirare del termine ultimo per il versamento, abbatte il suo debito IVA arrivando a superare di poco la soglia di punibilità.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, hanno respinto le doglianze di un legale rappresentante di una SRL, accusato di evasione Iva per 375 mila euro e che, dopo la scadenza, con dei versamenti tardivi, aveva diminuito di molto il suo debito avvicinandosi alla soglia dei 250 mila euro, chiedendo pertanto di essere assolto per la particolare tenuità del fatto.

Ex adverso, con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno illustrato che, solo un modestissimo scostamento dal limite della soglia di punibilità potrebbe consentire di riscontrare la sussistenza della ipotesi di particolare tenuità del fatto, e che comunque, nel caso di esame, l'imprenditore ha abbattuto l'importo dell'imposta evasa in un momento successivo al definitivo perfezionamento dell'ipotesi delittuosa omissiva ascritta all’imputato, rendendo del tutto irrilevante ai fini della qualificabilità o meno di un certo reato entro i confini della particolare tenuità ai sensi dell'art. 131 bis C.P.

In nuce, per la S.C., la colpevolezza del contribuente non è nemmeno esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'Iva per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo.

È EFFICACE IL LICENZIAMENTO IN PRESENZA DI UN CALO DI FATTURATO E DI CRISI DEL SETTORE ANCORCHE’ RISULTI VIOLATO IL CRITERIO DI SCELTA DEL LAVORATORE.

CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 1508 DEL 25 GENNAIO 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 1508 del 25 gennaio 2021, ha statuito che ingenti perdite di fatturato e crisi del settore legittimano il licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo.

Nel caso di specie, un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli in conseguenza di un drastico calo del fatturato, lamentando insussistenza del giustificato motivo oggettivo e violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta dei dipendenti da licenziare.

Il Giudice del lavoro, pur notando che nella scelta dei lavoratori da licenziare fossero stati violati i principi di correttezza e buona fede, essendo il ricorrente stato selezionato in “modo arbitrario”, riteneva corretta la procedura seguita dalla società datrice di lavoro.

La Corte d’Appello confermava la decisione di prime cure, evidenziando che la società aveva subito ingenti perdite negli anni precedenti il licenziamento e che la misura risarcitoria era congrua con l’arbitrarietà dei criteri utilizzati nella scelta dei licenziandi.

Avverso tale sentenza il lavoratore presentava ricorso in Cassazione contestando la sussistenza del giustificato motivo oggettivo in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto effettuare le sue valutazioni sulla base degli elementi di fatto esistenti al momento della comunicazione del recesso, e non sui "dati correnti" che avevano alleggerito l'onere probatorio previsto a carico della società portuale, ed il ricorso, nella rilevazione del calo di fatturato, non ai dati di bilancio, ma a vicende extragiudiziali, senza soffermarsi sull'unico indice che avrebbe consentito di stabilire la sussistenza o meno dell'esubero di forza lavoro. Altro motivo di censura consisteva nella violazione dei principi di correttezza e buona fede nella scelta dei dipendenti da licenziare ed il mancato ricorso all’obbligo di repechage, incompatibile con le motivazioni strettamente collegate alla mera riduzione dei costi per il personale.

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso affermando che i Giudici di primo e secondo grado, nella valutazione in merito al calo di fatturato dell'azienda, avessero correttamente valutato le circostanze realmente esistenti all’atto del licenziamento esaminando il bilancio consuntivo del 2014 da cui emergevano “l’irreversibilità del calo di fatturato, la situazione di crisi del settore portuale, l'accumulo di ore pagate e non lavorate, la circostanza di analoghi licenziamenti, da parte di altre due società, che confermava la generale crisi economica”. Non vi era stato, pertanto, un uso indebito di vicende extragiudiziali, successive al licenziamento, per accertarne la legittimità, bensì una valutazione complessiva ed analitica di tutto il contesto probatorio.

La Corte, tuttavia, rilevava la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, avendo riguardo alle mansioni espletate, e riconosceva al lavoratore, così come sancito in Appello, un'adeguata indennità risarcitoria.

IL DANNO NON PATRIMONIALE DERIVANTE DA LESIONE DELLA PROFESSIONALITÀ DEL LAVORATORE NON È SOGGETTO A TASSAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2472 DEL 3 FEBBRAIO 2021

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 2472 del 3 febbraio 2021, ha statuito che il danno non patrimoniale derivante da lesione della professionalità del lavoratore non è soggetto a tassazione.

Nel caso in esame, una lavoratrice adiva il Tribunale per chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante da comportamento lesivo della sua professionalità, posto in essere dal datore di lavoro.

Sia il Tribunale in primo grado, che la Corte d’Appello accoglievano il ricorso. Avverso la sentenza di secondo grado quindi il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, lamentando l’erronea valutazione effettuata dalla Corte distrettuale in merito alla natura del risarcimento, ritenuta dai Giudici di merito non a carattere retributivo, in contrasto secondo il ricorrente, con quanto disposto dagli artt.  51 e 6 comma 2 del TUIR.

La Suprema Corte, muovendo dall’assunto che il danno non patrimoniale alla professionalità risulta essere risarcibile ogni volta che si verifichi una violazione dei diritti del lavoratore considerati costituzionalmente rilevanti, da accertarsi attraverso la valutazione dei parametri della persistenza, della durata e della reiterazione della lesione, a prescindere da un reale intento declassatorio da parte del datore di lavoro, nonché dall’inerzia nel non eliminare le cause di disagio professionale lamentate del prestatore di lavoro subordinato, ha affermato, conformandosi agli orientamenti già espressi in numerose pronunce di legittimità, che tale tipologia di danno appartiene all’alveo del danno emergente e non del lucro cessante.  

Secondo suddetto orientamento le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione solo se sono volte a ristorare un danno concretizzatosi nel cosiddetto lucro cessante, cioè nella mancata percezione dei redditi per i quali erano già maturati tutti i presupposti, nel caso in oggetto la liquidazione del danno non patrimoniale per lesione alla professionalità del dipendente non è quindi soggetta né a ritenuta fiscale né contributiva ex art. 19 della Legge n. 218/1952.

Su tali presupposti la Suprema Corte, confermando la sentenza dei Giudici di merito, ha rigettato il ricorso presentato dal datore di lavoro.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giusi Acampora, Pietro Di Nono, Fabio Triunfo e Michela Sequino.

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Modificato: 15 Febbraio 2021