13 Settembre 2021

Smart working nel Pubblico Impiego. Da un’analisi della Fondazione Studi su dati della Ragioneria Generale dello Stato e FORMEZ emergono forti disomogeneità tra l’uso del lavoro agile, durante la pandemia, nelle Funzioni Centrali e negli Enti Locali. E’ forte comunque il dibattito nel Paese circa l’istituto dello smart working alla luce dell’ennesima riforma “Brunetta” della P.A. che avrebbe decretato la fine dell’allontanamento necessario dagli uffici. Ma il tema interessa anche il settore privato e ne parleremo nel 18° MASTER, in corso di organizzazione, che, more solito, si svolgerà ad Ottobre (2 Moduli) e a Novembre (3 Moduli).

 

Quando si parla di “smart working” il pensiero dei Consulenti del Lavoro di Napoli va sicuramente ai forti momenti di infunzionalità della sede INPS di Napoli donde la definizione, conforme alla filosofia ironica partenopea, di “perenne lockdown retribuito”.

E, d’altra parte, l’art. 87 del Decreto Legge “Cura Italia” si era subito affrettato a sancire la permanenza della retribuzione per gli statali a prescindere che il lockdown potesse essere utilizzato per lavorare da remoto.

Retribuiti, comunque!!!

Qui, lo rilevammo subito e lo abbiamo ribadito più volte, la forte discriminazione tra il trattamento economico dei lavoratori pubblici e di quelli privati costretti a non lavorare per ordine delle Autorità.

I primi a stipendio intero ed i secondi in base alle norme della Cassa Integrazione Guadagni e con oneri a carico dei datori di lavoro.

L’Istituto dello “smart-working” ha, comunque, fin dal varo della Legge n.81/2017, suscitato ampio dibattito (e non tanto sulle finalità tese al bilanciamento delle esigenze di vita e di lavoro) quanto sulle modalità di attuazione e, sul piano delle imprese, sulla cospicua rinuncia del potere direttivo e di controllo.

Un incesto, lo definì il ns. Presidente Edmondo Duraccio, in relazione all’art. 2094 che, “con lo smart working è divenuto obsoleto ed arcaico, simbolo di un diritto del lavoro che non c’è più”.

La nostra Fondazione Studi ha, comunque, condotto una interessante indagine sullo smart working nel Pubblico Impiego utilizzando dati della Ragioneria dello Stato e del Formez evidenziando l’esistenza di una forte disomogeneità nella sua utilizzazione da parte di tutto il comparto pubblico.

In base alle analisi elaborate da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, infatti, le funzioni centrali hanno fatto ricorso al lavoro agile molto più che gli enti locali.

Ministeri e agenzie fiscali, infatti, a settembre 2020 avevano il 71,1% del proprio personale connesso da remoto; una percentuale che toccava il 69,4% tra insegnanti e accademici e “crollava” al 30,9% in Regioni, aree metropolitane, Comuni. Nel comparto sanitario solo l’8,3% dei dipendenti pubblici ha lavorato da casa durante il picco dell’emergenza.

In attesa di indicazioni sulla composizione della quota del 15% indicata dal Ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, Fondazione Studi ha ricostruito la curva degli smart workers negli ultimi 18 mesi.

A marzo 2020, su 3,2 milioni di dipendenti pubblici, 1,8 mln erano in smart working (56,6%). Già in settembre, una buona parte era però tornata in presenza, e meno della metà dei dipendenti pubblici (46,2%, pari a 1,5 milioni in termini assoluti) era interessato da tale modalità di lavoro.

A maggio 2021, poi, secondo l’indagine svolta dai Consulenti del Lavoro su un campione di lavoratori della PA, la quota di dipendenti pubblici in smart working risultava essere il 37,5%: in termini unitari si trattava di 1,2 mln di lavoratori che dovrebbero diventare circa 500 mila secondo la via tracciata dal responsabile di Palazzo Vidoni.

L’esperienza maturata nel periodo emergenziale, che ha improvvisamente obbligato un elevatissimo numero di lavoratori a operare da casa, va utilizzata per migliorare lo strumento e renderlo una modalità di lavoro alternativa ‒ ha commentato Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, intervistato dal Corriere della Sera sul tema.

Certamente, ha continuato De Luca, è necessario un intervento normativo che meglio regolamenti i diversi diritti e doveri delle parti del rapporto, come possono essere il diritto alla disconnessione, la reperibilità ovvero il controllo da remoto. Insomma, lo smart working va ben strutturato in modo da farlo diventare un’opportunità per il futuro ma certo non può essere l’unico modo in cui viene svolta la prestazione lavorativa”.

In questa chiave, è decisivo che il processo di digitalizzazione della PA, e tutto quello che comporta (dalla semplificazione allo sviluppo delle competenze digitali dei dipendenti) abbia un’accelerazione, anche nell’ottica di attuazione dei progetti del Pnrr.

Decisivo sarà anche il ruolo della dirigenza pubblica, chiamata in questo momento a reinventarsi, per trainare una trasformazione organizzativa che, se l’esperienza dello smart working non vorrà essere definitivamente abbandonata, dovrà confrontarsi con temi che ancora stentano a trovare piena attuazione nel contesto della PA, come individuazione degli obiettivi e misurazione dei risultati.

Ne parleremo, comunque, con esponenti della Dottrina nel corso del 18° Master in Diritto del Lavoro e Legislazione Sociale in programma tra Ottobre (2 moduli) e Novembre (3 moduli). Se lo smart working è quello, anche con i risultati, del periodo pandemico, meglio lasciarlo morire!!!!

 

Buon lavoro

Ad maiora

 

IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Redazione a cura della Commissione Comunicazione Istituzionale del CPO di Napoli.

ED/ED

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Modificato: 2 Agosto 2023