15 Giugno 2021

La Fondazione Studi, in occasione della “Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile” svoltasi il 12 giugno scorso, ha presentato un’indagine esaminando il fenomeno in Italia. L’Italia è maglia nera nell’abbandono prematuro degli studi per adibirsi ad un lavoro. E’, purtroppo, un fenomeno che penalizza le prospettive di formazione e lavoro.

 

L’Italia è maglia nera in Europa nell’abbandono prematuro degli studi. Questo potrebbe essere un titolo a 9 colonne di un quotidiano specializzato in “lavoro” analizzando l’indagine svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in subiecta materia presentata il 12 giugno scorso in occasione della “Giornata mondiale contro il lavoro minorile

Quali le cause e le motivazioni di tale fenomeno che, poi, va ad alimentare il lavoro minorile?

La ns. Fondazione Studi li riconduce alla disaffezione verso i processi formativi e la crescita della povertà familiare donde, nell’Italia post pandemia, ci sarà una grande platea di lavoratori senza le necessarie competenze per scalare la piramide professionale.

 Malgrado una curva tendenziale positiva nel contrasto al fenomeno – complice il rafforzamento della normativa e la maggiore attenzione all’abbandono scolasticol’Italia è maglia nera nel panorama europeo per la quota di giovani dai 18 ai 24 anni che hanno lasciato prematuramente gli studi (9,9%), assieme alla Spagna. Soprattutto nel Mezzogiorno, con punte in Sicilia e Campania rispettivamente del 19,4% e 17,3%.

Tra gli attuali occupati in Italia con età compresa tra 16 e 64 anni, si legge nell’indagine, circa 2,4 milioni hanno svolto un qualche tipo di attività lavorativa prima del sedicesimo compleanno. Un fenomeno di irregolarità che si conferma ancora diffuso tra i giovani e penalizza le prospettive di formazione e lavoro: nel 2020, erano oltre 230mila, su 4,9 milioni di occupati con meno di 35 anni, a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione già prima dei 16 anni. Secondo le stime, elaborate dai microdati dell’indagine Forze di lavoro dell’Istat, sono evidenti le ricadute del lavoro minorile sulle prospettive di vita dei giovani coinvolti: chi inizia a lavorare prima dei 16 anni nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Diversamente, tra chi entra nel mondo del lavoro in età legale, sono solo 18 su 100 coloro che si fermano alla scuola media inferiore mentre la percentuale dei laureati sale al 27,3%.

Così, in una catena consequenziale, il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi.

Tra questi, 7 su 10 sono uomini – più propensi ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate rispetto alle donne – e vivono nelle regioni del Nord (57,1%) dove sono maggiori le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo, specie nelle regioni a più alta vocazione turistica (Trentino Alto Adige, 17,9%; Val d’Aosta, 10,6%; Sardegna, 10,3%).

La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società, determinate dall’emergenza sanitaria, invertano la rotta – afferma Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – I dati confermano, ancora una volta, che l’investimento in formazione e competenze è vincente in una prospettiva che guarda alle opportunità future, dei singoli e del Sistema Paese”.

 

Buon lavoro

Ad maiora

IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Redazione a cura della Commissione Comunicazione Istituzionale del CPO di Napoli.

ED/FC

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Modificato: 2 Agosto 2023