15 Gennaio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L’ELEMENTO CARATTERIZZANTE DEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE E’ LA SOGGEZIONE DEL LAVORATORE AL POTERE DIRETTIVO DEL DATORE A NULLA RILEVANDO L’EVENTUALE SALTUARIETA’ DELLA PRESTAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 280 DEL 9 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 280 del 9 gennaio 2018, ha (ri)statuito che l’accertamento inerente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato non può prescindere da una attenta valutazione in relazione allo stato di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. In tale attività ricognitiva non assume rilievo l’eventuale saltuarietà della prestazione e gli altri indici caratterizzanti (quali, ad esempio, l’orario di lavoro o l’assenza di rischio) possono essere utilizzati al solo fine di una più attenta valutazione della fattispecie.

Nel caso de quo, una commessa di un negozio di souvenir adiva la Magistratura al fine di vedere acclarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti in luogo della “semplice” attività di lavoro autonomo occasionale – ex art. 2222 cod. civ. – sostenuta da parte resistente.

Per sovvertire il giudizio della Corte distrettuale, il (presunto) datore di lavoro ricorreva in Cassazione sostenendo l’episodicità dell’attività prestata dal lavoratore.

Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum della Corte territoriale, hanno evidenziato che la saltuarietà della prestazione lavorativa non è, da sola, elemento idoneo per poter far escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti. L’elemento essenziale che il Giudice a quo deve riscontrare nell’accertamento di merito è la subordinazione intesa quale vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato. Hanno mero carattere sussidiario e funzione indiziaria gli altri elementi del rapporto di lavoro quali, ad esempio, la collaborazione, l’osservanza di un orario di lavoro, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale ecc ecc.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il lavoratore, soggiaceva al potere di controllo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, seppur svolgendo la propria attività in modo non continuativo, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno confermato la piena sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti.

 

IL LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO E' LEGITTIMO SE RISULTI PROVATO UNA EVIDENTE VIOLAZIONE DELLA DILIGENTE COLLABORAZIONE DOVUTA DAL DIPENDENTE ED A LUI IMPUTABILE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26676 DEL 10 NOVEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione – sentenza n° 26676 del 10 novembre 2017, ha ribadito che il licenziamento per scarso rendimento, ricondotto nell'ambito del licenziamento disciplinare, deve fondarsi su elementi inconfutabili, quali l'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati e quanto effettivamente realizzato dal lavoratore.

Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore dipendente per scarso rendimento, il tutto con condanna reintegratoria ex art. 8 legge n°300/70 (nel testo ratione temporis applicabile). Secondo la Corte d'Appello, nella specie, non sussistevano gli estremi della negligenza inadempiente tale da poter giustificare il licenziamento per scarso rendimento del dipendente adibito come responsabile alla vendita di flotte aziendali di autovetture, fermo restando anche il compito di venditore generico. Secondo la Corte capitolina, posto che il rapporto di lavoro subordinato comporta a carico del dipendente l'obbligo di porre a disposizione di parte datoriale le sue energie lavorative, di modo che la prestazione si esaurisce in un facere e non già nel raggiungimento di un certo risultato (locatio operis – locatio operarum), per legittimare il licenziamento per scarso rendimento occorre che parte datoriale provi rigorosamente il comportamento negligente del lavoratore, in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo, e che l'inadeguatezza della prestazione resa non sia imputabile all'organizzazione del datore di lavoro e a fattori socio-ambientali.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso parte datoriale.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso in quanto tendente a rivalutare, irritualmente, le medesime circostanze di fatto, già minuziosamente accertate ed apprezzate, quanto alla loro rilevanza probatoria, dai competenti Giudici di merito. Ciononostante, gli Ermellini hanno ribadito i principi fissati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, secondo i quali, è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento soltanto qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo dei risultanti dati globali riferiti ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.

 

NIENTE DICHIARAZIONE INTEGRATIVA DOPO LA NOTIFICA DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO DA PARTE DEL FISCO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 28172 DEL 24 NOVEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 28172 del 24 novembre 2017, ha statuito che costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa, di cui all’articolo 2, comma 8, del D.P.R. 322/1998, la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione dei redditi. 

IL FATTO

A carico di un contribuente l’Agenzia delle Entrate provvedeva ad emettere un avviso di accertamento in quanto a seguito controllo della dichiarazione dei redditi risultavano dedotti indebitamente dei costi non inerenti alla propria attività. Nelle more dell’accertamento il contribuente provvedeva a presentare dichiarazione integrativa a correzione dell’errore.  

Successivamente, nel ricorrere alla giustizia tributaria contro l’accertamento, il contribuente rilevava come a seguito della presentazione dell’integrativa, le irregolarità della dichiarazione originaria fossero state automaticamente sanate. Chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’atto di accertamento.
La C.T.P. respingeva però il ricorso sottolineando come l’inizio dell’attività di controllo da parte dell’ufficio inibisse la presentazione di una dichiarazione integrativa. La C.T.R. accoglieva invece l’appello del contribuente ammettendo validità dell’integrativa.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nell’accogliere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria,  hanno affermato che, in tema di imposte sui redditi, “costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore”.
Per la motivazione suddetta, i Giudici delle Leggi hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando il giudizio in C.T.R., in nuova composizione, per l’adozione di una congrua motivazione anche in ordine alle spese.

Si coglie l’occasione per segnalare che, il suddetto principio di diritto, è stato affermato già in precedenti sentenze di legittimità, quali la n. 15015/2017 e n.15798/2015.

 

LEGITTIMO IL REGIME DI FAVORE SU CONTRIBUTI E TASSE ANCHE SE IL DATORE VERSA L’INDENNITÀ DI TRASFERTA CON CONTINUITÀ

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE UNITE – SENTENZA N. 27093 DEL 15 NOVEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezioni Unite -, sentenza n° 27093 del 15 novembre 2017, ha statuito che il regime contributivo e fiscale di favore non viene meno anche se l’indennità di trasferta è corrisposta con carattere di continuità, ed è pertanto legittima la norma retroattiva del Collegato Fiscale 2017 che si autoqualifica come d’interpretazione autentica e chiarisce per quali lavoratori il trattamento non concorre a formare il reddito nella misura del 50% dell’ammontare.

Il caso di specie riguardava il ricorso di un contribuente in merito ad una cartella di pagamento emessa dall’INPS per i contributi dovuti sulle somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità di trasferta nella misura di cui all’art. 51, comma 6, del DPR n.917 del 22 dicembre 1986.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno accolto le doglianze dell’imprenditore ribaltando la sentenza dei Giudici Territoriali, ed affermato che alla stregua dei criteri di interpretazione letterale, storica, logico-sistematica e teleologica, l’espressione “anche se corrisposta con carattere di continuità”  presente sia nell’art. 11 della legge 4 agosto 1984,  n. 467 oltre che nel vigente art. 51, c. 6, del TUIR, deve essere intesa nel senso che l’eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta, e non ne modifica l’assoggettabilità al regime contributivo, ivi compreso quello fiscale, meno gravoso.

Inoltre, la S.C., ha definitivamente chiarito che l’art. 7 quinquies del D.L. n.193 del 22 ottobre 2016, convertito dalla Legge n.225 del 01 dicembre 2016, risulta conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117, 1° comma, Cost., sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo.

In dettaglio l’articolo de quo contiene una norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica” del comma 6 dell’art. 51 del TUIR, per i lavoratori, rientranti nella disciplina prevista dal suddetto comma, e che sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti tre condizioni:

  1. la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
  2. lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
  3. la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta.

Quando manca anche uno dei requisiti si applica il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui all’articolo art. 51, comma 5 del T.U.I.R. che stabilisce soglie oltre le quali le indennità concorrono a formare il reddito.

In nuce, per i Giudici del Palazzaccio, non è solo il dato letterale ma anche un criterio di interpretazione storico e di sistema a far ritenere che l’inciso “anche se corrisposta con carattere di continuità” consenta comunque di applicare il regime contributivo e fiscale meno gravoso rispetto a quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile.

 

LA SIMULAZIONE DELLO STATO DI MALATTIA LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 30607 DEL 20 DICEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 30607 del 20 dicembre 2017, ha chiarito che l’accertamento della simulazione dello stato di malattia integra una grave violazione dei doveri contrattuali, tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Napoli rigettava il ricorso del lavoratore teso ad ottenere l’annullamento del licenziamento per giusta causa.

Era infatti emerso che lo stesso aveva svolto attività lavorativa presso altra attività commerciale concorrente durante lo stato di malattia. La gravità della condotta giustificava il licenziamento per giusta causa.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con il ragionamento logico giuridico dei Giudici territoriali, hanno ricordato come i fatti contestati ad un lavoratore, al fine di riconoscere l’idoneità del provvedimento espulsivo, possono essere liberamente esaminati dal Giudice in modo atomistico, individuando fra essi solo quei comportamenti atti a giustificare la sanzione espulsiva.

In conclusione, accertata la simulazione dello stato di malattia, la condotta del lavoratore aveva irreparabilmente leso il vincolo fiduciario, non potendo più la società riporre in lui alcun affidamento e giustificando quindi il licenziamento per giusta causa.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

    Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 15 Gennaio 2018