22 Gennaio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI DICEMBRE 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Dicembre 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Dicembre 2017 è pari a 2,098205 e l’indice Istat è 101,1

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE UTILIZZA IL CONGEDO PARENTALE PER FINALITA' DIVERSE DA QUELLE PREVISTE DAL LEGISLATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 509 DELL’ 11 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 509 del 11 gennaio 2018, ha statuito che è pienamente legittimo il licenziamento per giusta causa comminato al lavoratore che durante il periodo di assenza dal lavoro per congedo parentale utilizza le ore “libere” per finalità differenti dall'assistenza affettiva e fisica del proprio figlio.

Nel caso in disamina, un lavoratore dipendente veniva “pizzicato”, dall'agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro, a svolgere attività lavorativa nella pizzeria della moglie durante un periodo di assenza dal lavoro motivata dalla fruizione del congedo parentale.

L'azienda, all'esito del procedimento disciplinare ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori, irrogava il licenziamento per giusta causa. Il prestatore adiva la Magistratura restando soccombente in entrambi i gradi di merito.

Inevitabile il ricorso in Cassazione.

Orbene i Giudici dell'Organo di nomofilachia, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno evidenziato che utilizzare i permessi per congedo parentale per finalità diverse da quelle preventivate dal Legislatore costituisce una violazione del dovere di correttezza e buona fede nell'esecuzione della prestazione lavorativa tale da poter giustificare il recesso per giusta causa. Infatti, in coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto in quanto il beneficio stesso (per il lavoratore) comporta un sacrificio organizzativo per il datore giustificabile solo in presenza dell'esigenza riconosciuta dalla norma (id: assistenza affettiva e fisica al figlio).  

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il datore aveva fornito prova esaustiva ed inconfutabile della diversa destinazione delle ore di permesso (più del 50% dedicate a lavoro nella pizzeria del coniuge), gli Ermellini hanno rigettato il ricorso confermando la piena legittima del recesso datoriale per giusta causa irrogato.

 

IL REQUISITO DELLA COMUNICAZIONE PER ISCRITTO DEL LICENZIAMENTO DEVE RITENENERSI ASSOLTO CON QUALSIASI MODALITA' CHE COMPORTI LA TRASMISSIONE DEL DOCUMENTO AL DESTINATARIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 29753 DEL 12 DICEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 29753 del 12 dicembre 2017, ha statuito che la tempestività del licenziamento per mancato superamento della prova può essere accertata con qualsiasi comunicazione che, con qualsivoglia modalità, comporti la trasmissione al destinatario.

Con ricorso al Tribunale di Brescia, un lavoratore dipendente, con mansioni di pilota, aveva invocato la illegittimità e l'inefficacia del licenziamento intimatogli per mancato superamento del periodo di prova e richiesto la conseguente reintegra in servizio. Il giudice del lavoro aveva rigettato il ricorso proposto dal lavoratore e parimenti si era espressa la Corte d'Appello. In particolare, la Corte territoriale aveva dichiarato infondata la censura sollevata dal ricorrente sul fatto che la lettera di licenziamento, spedita il 28.12.2011, era stata materialmente recapitata il 7.01.2012, dopo la scadenza della prova in data 31.12.2011. In ogni caso la società datrice aveva prodotto, oltre alla lettera raccomandata, anche la comunicazione via mail del licenziamento inviata al lavoratore in data 28.12.2011 e le successive mail inviate dal lavoratore ai propri colleghi di lavoro con le quali egli comunicava la cessazione del proprio rapporto di lavoro nella stessa data, confermando in tal modo il ricevimento della comunicazione contestata.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore denunciando che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, la comunicazione del licenziamento aveva prodotto i suoi effetti soltanto alla data di ricezione della raccomandata, avvenuta il 7 gennaio 2012 e pertanto ben oltre il periodo stabilito per la prova scadente il 31 dicembre 2011.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha ribadito la fondatezza, su più ragioni, della statuizione in sentenza della tempestività del licenziamento per mancato superamento della prova. In particolare, gli Ermellini hanno rimarcato che:

– il licenziamento era stato non solo intimato ma anche comunicato al lavoratore prima della scadenza della prova, a mezzo mail del 28.12.2011;

– anche a ritenere avvenuta la comunicazione del licenziamento soltanto alla successiva data di recapito della comunicazione per raccomandata, il 7.12.2012, nel periodo decorrente dalla scadenza della prova al suddetto recapito il lavoratore non aveva svolto alcuna attività lavorativa sicché la prova non era stata superata;

– in ogni caso ciò che rilevava ai fini della tempestività del licenziamento per mancato superamento della prova era la spedizione della lettera raccomandata e non il successivo momento del suo ricevimento.

Gli Ermellini hanno altresì ribadito che per il licenziamento durante il periodo di prova non è richiesto per legge l'atto scritto. L'art. 10 della L. n°604/66 prevede che le garanzie di cui alla stessa legge per il caso di licenziamento si applichino ai lavoratori in prova soltanto dal momento in cui l'assunzione diventi definitiva e, in ogni caso, quando siano decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro e, perciò, esclude che durante il periodo di prova il licenziamento del lavoratore debba avvenire con la forma scritta, come è disposto, invece, dalla regola generale di cui all'art. 2 della L. n°604/66. Da ultimo, in relazione all'interpretazione dell'art. 2 citato, ma estensibile alle clausole contrattuali di analogo tenore, il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità.

 

LEGITTIMA LA DETRAZIONE DELL’IVA ANCHE SE RICHIESTA IN GIUDIZIO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 29555 DELL’11 DICEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 29555 dell’11 dicembre 2017, ha affermato che la detrazione IVA può essere richiesta anche in giudizio, per cui il contribuente se ne ha diritto, può correggere l'errore commesso in dichiarazione annuale.

Nel caso in specie, una società aveva proposto ricorso dinanzi alla giustizia tributaria, contro un avviso di accertamento IVA, con il quale l’Amministrazione finanziaria richiedeva una maggiore imposta. La società contribuente riteneva non dovuta la maggiore IVA causa un errore formale in dichiarazione (mancato riporto di IVA sugli acquisti) e dunque emendabile.

Sia in primo grado che in appello la società risultava però soccombente, da qui il ricorso per Cassazione.

In particolare la C.T.R. aveva affermato che, "essendo i criteri di calcolo dell'IVA meramente aritmetici, la correzione sarebbe stata possibile solo se l'errore fosse stato immediatamente rilevabile, mentre, nella specie, la dichiarazione ne sarebbe uscita stravolta, giacché i crediti portati in compensazione in realtà non avrebbero potuto essere oggetto di compensazione".

Orbene, con la sentenza de qua, i Giudici del Palazzaccio hanno accolto il ricorso della società affermando, alla luce degli interventi giurisprudenziali della Corte di giustizia UE, che "nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale della UE emerge che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e dalla liceità dell'operazione, mentre gli obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell'Amministrazione finanziaria per l'esatta riscossione dell'imposta: l'esercizio del diritto di detrazione dell'eccedenza IVA va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l'osservanza degli obblighi dichiarativi (vedi Cass. Sez. UU. n. 17757 del 08/09/2016)”.

Per questo motivo, i Giudici delle Leggi hanno concluso che il diritto alla detrazione dell'eccedenza IVA deve essere riconosciuto ove vi sia una reale operazione sottostante, poiché rilevano la documentazione contabile e le fatture, per cui va riconosciuta la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla pretesa tributaria azionata dal fiscoanche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzatoallegando errori od omissioni incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine per la presentazione e la rettifica della dichiarazione fiscale, atteso che i principi di diritto, enunciati specificamente in tema d'imposte sui redditi, valgono anche nell'imposizione sul valore aggiunto, per cui la dichiarazione annuale IVA non viene ad assumere la natura di una dichiarazione negoziale, come tale irretrattabile, ma di un lapsus calami.

Per le motivazioni suddette il ricorso della società è stato accolto e il giudizio rinviato alla C.T.R. in diversa composizione, per nuovo esame.

 

L’AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE NON È SEMPRE TENUTA A RATEIZZARE IL DEBITO FISCALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 440 DELL’11 GENNAIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 440 dell’11 gennaio 2018, ha statuito che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a rateizzare il debito fiscale che il contribuente ha con le amministrazioni statali e gli enti di previdenza, le agenzie istituite dallo Stato, Prefettura e le Autorità Amministrative Indipendenti. Per gli altri importi iscritti a ruolo, l’ente creditore può disporre diversamente e vietare all’esattore di concedere dilazioni.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, hanno accolto il ricorso di Equitalia avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, rigettando il suo appello, aveva confermato l'annullamento di un provvedimento di diniego della rateizzazione richiesta da un contribuente per far fronte a sei cartelle di pagamento relative alla Tassa di Smaltimento dei Rifiuti dovute al Comune di Roma, che, in effetti, aveva mantenuto per sé, non concedendola a Equitalia, la facoltà di dilazione di pagamento delle somme iscritte a ruolo. Tale circostanza era stata ampiamente documentata nel corso del giudizio.

L'agente della Riscossione, peraltro, aveva motivato il diniego in maniera sintetica ma estremamente chiara e conforme alla legge evidenziando, nell'indicazione dei motivi che ostavano all'accoglimento della richiesta del contribuente, che si trattava di tributi che non potevano essere oggetto di rateazione da parte sua.

In questi casi non è diritto del contribuente ottenere un piano di pagamento a rate poiché le Amministrazioni Locali possono negare all’Agente per la Riscossione la facoltà di concedere dilazioni e avocare a sé questa possibilità. Pertanto il contribuente deve rivolgersi direttamente al Comune o alla Regione e presentando l’istanza prima che il debito venga passato all’esattore.

In nuce, la S.C. ha infatti condiviso la tesi di Equitalia che, facendo leva su quanto letteralmente stabilito dall'articolo 26 del D.Lgs. n. 46/1999, ha rilevato che, sebbene agli Agenti della Riscossione sia attribuito il potere di dilazionare il pagamento delle somme iscritte a ruolo, tale potere viene comunque meno in caso di diversa determinazione dell'Ente Creditore.

In tutti i restanti casi in cui invece il contribuente può ottenere una rateazione delle cartelle di pagamento, è possibile fare richiesta per debiti fino a 60.000 euro presentando una domanda semplice e dichiarando la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economica. In questo modo è possibile accedere automaticamente al piano ordinario che consente di pagare il debito fino a un massimo di 72 rate. Per debiti superiori a 60.000 euro è possibile richiedere la rateizzazione presentando una domanda e allegando la certificazione relativa all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (id: ISEE) del nucleo familiare per attestare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà economica. Se non si è in grado di sostenere il pagamento del debito secondo un piano ordinario in 72 rate mensili, si può ottenere una rateizzazione fino a 120 rate di importo costante.

 

LA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO IN CASO DI RISTRUTTURAZIONE AZIENDALE PUO’ LIMITARSI AD UNA SPECIFICA UNITA’ PRODUTTIVA O SETTORE 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 349 DEL 10 GENNAIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 349 del 10 gennaio 2018, ha (ri)statuito che il licenziamento collettivo per ristrutturazione può limitarsi anche solo ad una unità produttiva o ad un settore aziendale.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Roma, rigettando il reclamo avverso alla pronuncia del Tribunale di Civitavecchia, condannava la società datrice al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.

I Giudici dell’Appello fondavano il loro convincimento sull’immotivata inclusione del lavoratore nella procedura di licenziamento collettivo, benché possedesse specifico titolo di idoneità e professionalità fungibile a svolgere mansioni in altri reparti. Difatti, risultava del tutto estraneo alla procedura di licenziamento collettivo l’Ufficio Ispezione Rifiuti a cui il ricorrente poteva ambire per requisiti.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con il ragionamento logico giuridico dei Giudici territoriali, hanno ricordato che, in caso di ristrutturazione aziendale concernente una specifica unità produttiva ovvero un solo settore, è possibile limitare la comparazione dei lavoratori a quel determinato settore/unità, salva l’idoneità dei lavoratori addetti al reparto in crisi, in ragione di pregresso impiego in altri reparti dell’azienda, ad occupare le posizione lavorative dei colleghi addetti a questi ultimi, ricadendo l’onere della prova in capo al lavoratore circa la fungibilità delle proprie mansioni.

In conclusione, la procedura di licenziamento collettivo non si può limitare ai soli addetti del reparto interessato, se questi sono in grado di svolgere altre attività in altri ambiti aziendali, pur se non in crisi.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

  Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 22 Gennaio 2018