25 Gennaio 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI DICEMBRE 2020

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Dicembre 2020. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Dicembre 2020 è pari a 1,5 e l’indice Istat è 102,30

 

AI SOCI LAVORATORI DELLE COOPERATIVE E’ LEGITTIMO RIDURRE TEMPORANEAMENTE LA RETRIBUZIONE CONTRATTUALE SOLO IN PRESENZA DI UN PIANO DI CRISI AZIENDALE E SPECIFICA DELIBERA DELL’ASSEMBLEA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 25631 DEL 12 NOVEMBRE 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 25631 del 12 novembre 2020, ha statuito che, in presenza di una temporanea crisi aziendale e a seguito di deliberazione specifica, è possibile ridurre “temporaneamente” la retribuzione integrativa dei soci lavoratori dipendenti ovvero prevedere apporti economici degli stessi per coprire le perdite, giusta previsione di cui all’art. 6 comma 1 lettere d) ed e) della L. 142/2001.

In particolare, come noto, le lettere d) ed e) del comma 1 della citata disposizione normativa prevedono in capo all’assemblea, nell’ambito di un piano di crisi aziendale, la possibilità di poter deliberare la “temporanea” riduzione dei trattamenti integrativi della retribuzione e i soci lavoratori (lettera d) ovvero forme di apporto, anche economico, da parte dei soci, sulla base delle rispettive capacità economico-finanziarie.

La vicenda in esame trae origine della pretesa di un socio-lavoratore subordinato finalizzata ad ottenere la restituzione delle somme trattenutegli nel corso del rapporto a titolo di "quota sociale", Euro 0,88 l'ora, ed Euro 100 mensili, e di quelle conseguenti alla mancata inclusione delle stesse nel computo del TFR.

La Cooperativa, risultata perdente nel doppio grado di merito – Tribunale di Bergamo e Corte di Appello di Brescia – adiva gli Ermellini sostenendo la legittimità di dette trattenute atteso che le stesse erano conseguenza di delibere impositive di un conferimento a ripiano delle perdite anteriori all’ingresso nella cooperativa del subordinato, stante la regola codicistica – recata dall’art. 2269 c.c. – per cui il nuovo socio è responsabile delle obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.

Tuttavia, la Corte nomofilattica ha rilevato, come già fatto nei gradi di merito, che le predette delibere erano prive del requisito della “temporaneità”; ciò posto, è stato affermato che in tema di società cooperative la deliberazione, nell'ambito di un piano di crisi aziendale, di cui alle lettere d) ed e) dell’art. 6 comma 1 della L. 142/2001 sono condizionate dalla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi, all'essenziale applicazione di un termine finale ad esso "atteso che a questa stregua deve affermarsi l'ammissibilità di condizioni di validità delle delibere impositive di apporti economici da parte dei soci lavoratori finalizzate al ripiano delle perdite di esercizio, in difetto delle quali le delibere stesse che ai predetti fini attingano, tramite trattenute, al trattamento economico spettante al socio lavoratore, risultano illegittimamente assunte in violazione del principio di immodificabilità in pejus di quel trattamento”.

 

IN PRESENZA DI UNA REGOLARE DICHIARAZIONE AUTOGRAFA DI QUIETANZA L'ONERE DELLA PROVA SULLA MANCATA CORRISPONDENZA TRA LE RISULTANZE DEL CEDOLINO PAGA E LA RETRIBUZIONE EFFETTIVAMENTE EROGATA GRAVA SUL DIPENDENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 27749 DEL 3 DICEMBRE 2020.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 27749 del 3 dicembre 2020, ha statuito che l'onere della prova circa la corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul lavoratore laddove abbia reso una dichiarazione autografa per quietanza.

Nel caso de quo, la Corte di Appello di Torino aveva respinto il gravame interposto da un lavoratore, cuoco, barista e cameriere alle dipendenze di una società che gestiva il bar presso la stazione ferroviaria di Torino, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede,  con la quale era stata disattesa la domanda del dipendente volta al pagamento di somme per le retribuzioni non corrisposte nel periodo dal 2005 al 2007; in particolare, la Corte di merito aveva osservato che le buste paga prodotte dalla società erano tutte sottoscritte dal lavoratore "per ricevuta/quietanza"; il lavoratore, per contro, non  contestava l'avvenuta sottoscrizione ma, aveva sostenuto che la propria firma era stata unicamente apposta per ricevuta del documento e non anche per quietanza.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore eccependo l'ambiguità della formula prestampata sui cedolini (id: per ricevuta/quietanza) e, pertanto, la conseguente richiesta, ex art. 1370 c.c. del favor promissoris, ovvero dell'interpretazione a favore di chi ha firmato un contratto predisposto dall'altro contraente.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso ritenendo infondato il motivo di doglianza, stante l'inconferenza della norma che si assume violata (id: art.1370 c.c.) in relazione alla fattispecie. Infatti, hanno osservato gli Ermellini, la Corte territoriale è pervenuta alla decisione uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia secondo cui, posto che è onere del datore di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione ex L. n°4 del 1953, artt. 1 e 3 e che la semplice formula sottoscritta "per ricevuta", non è sufficiente per ritenere delibato l'effettivo pagamento, potendo gli stessi costituire prova solo dell'avvenuta consegna della busta paga, restando onerato il datore di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di tale evento; laddove si sia in presenza di prospetti paga contenenti tutti gli elementi della retribuzione, ed altresì di una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore, l'onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente.

Fatte queste premesse, hanno concluso gli Ermellini,  va sottolineato che il principio in base al quale, ai sensi dell'art. 1370 c.c., le clausole contrattuali che pongono in essere condizioni generali di contratto (ovvero inserite in moduli o formulari) si interpretano, nel dubbio, contro chi ha predisposto tale clausola, ossia a favore del contraente più debole (id: interpretazione contro il predisponente), non vale nelle ipotesi di contratti stipulati individualmente, ma solo in quella di contratto concluso mediante moduli o formulari, predisposti da uno dei contraenti e da sottoporre ad una pluralità di eventuali controparti, le quali non hanno alcun potere di influenzare il contenuto del contratto.

 

L’AGENZIA DELLE ENTRATE, RISULTATA VITTORIOSA NEI GRADI DI MERITO, NON HA DIRITTO AL RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI SE SI DIFENDE CON IL PROPRIO UFFICIO LEGALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 27444 DEL 1° DICEMBRE 2020

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 27444 del 1°dicembre 2020, ha statuito che il contribuente che sia risultato soccombente in un grado tributario di merito, con rigetto del ricorso di primo grado o in appello, non può, in alcun modo, essere condannato al pagamento delle spese processuali, nel caso in cui l'Agenzia delle Entrate si sia difesa con l’ausilio dei funzionari del proprio ufficio legale. La rifusione delle spese può essere concessa nel solo caso in cui l'ente si sia avvalso dell'Avvocatura di Stato.

Il caso di specie riguarda le doglianze di un contribuente rivolte alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti, per impugnare un avviso di accertamento relativo alla mancata dichiarazione di canoni di locazione mai percepiti, ancorché previsti da un contratto formalmente in essere. Il primo grado si concludeva con accoglimento del ricorso, a cui faceva seguito la proposizione dell'appello da parte dell'Agenzia delle Entrate alla CTR dell'Abruzzo che ribaltava in toto la sentenza dei Giudici di prime cure, condannando il contribuente al pagamento delle spese processuali. In entrambi i gradi di giudizio, come di consueto, l’Agenzia delle Entrate, si costituiva per mezzo dei propri funzionari dell'ufficio legale.

Gli Ermellini, con l’ordinanza de qua, hanno confermato nel merito, ma – ex adverso – quanto alla condanna delle spese hanno cassato la relativa parte della sentenza, con eliminazione della statuizione di condanna al pagamento a carico del contribuente, pur se risultato soccombente.

Per i Giudici di piazza Cavour, l'Amministrazione Finanziaria è stata in giudizio senza il ministero di difensore, dovendo quindi «escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall'Ufficio per diritti e onorari».

In nuce, secondo la S.C., quando l'Ente si costituisce in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato, non può ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e onorari di avvocato, difettando le relative qualità nel funzionario amministrativo che sta in giudizio, per cui sono, in tal caso, liquidabili in favore dell'ente le spese, diverse da quelle generali, purché risultino da apposita nota.

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DELLA DIPENDENTE CHE AGGREDISCE VERBALMENTE L’AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO DELLA SOCIETA’ CHE L’HA POSTA IN FERIE FORZATE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 553 DEL 14 GENNAIO 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 553 del 14 gennaio 2021, ha sancito la legittimità del licenziamento disciplinare comminato ad una dipendente che, alla comunicazione di collocamento forzoso in ferie, reagiva aggredendo verbalmente l’amministratore giudiziario della società.

Nel caso preso in esame, infatti, i Giudici della Corte di Appello, in riforma della decisione presa dal Tribunale, dichiaravano legittimo il licenziamento disciplinare della lavoratrice, frutto del comportamento irriguardoso tenuto dalla stessa, consistito nell’aver proferito frasi offensive e minacciose nei confronti dell’amministratore giudiziario della società.

La relazione sui fatti resa dall’amministratore giudiziario costituiva, secondo i Giudici, piena prova di quanto avvenuto, in quanto “proveniente da un pubblico ufficiale, restando irrilevante l'assenza di terzietà rispetto alla Società rappresentata”. Accertata, pertanto, la mancanza addebitata alla lavoratrice, la sanzione espulsiva veniva giudicata proporzionata alla gravità del comportamento tenuto.

Avverso questa decisione la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento adottato dalla società; infatti, a provare la condotta della lavoratrice non era stata solo la relazione dell’amministratore giudiziario, ma anche “gli esiti dell’istruttoria orale” che avevano confermato l’episodio “nei suoi contenuti essenziali e, comunque, in tutta la sua gravità”. Secondo i Giudici, inoltre, era da respingere anche il richiamo difensivo al presunto abuso compiuto dalla società, e precisamente il collocamento forzoso in ferie della lavoratrice, in quanto l’illegittimità in cui sarebbe incorsa la società datrice di lavoro non poteva essere ritenuta così grave da “legittimare la spropositata reazione verbale a cui si è lasciata andare la dipendente

 

ILLEGITTIMO IL TRASFERIMENTO SENZA CONSENSO DEL LAVORATORE CHE ASSISTE UN FAMILIARE DISABILE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 29009 DEL 17 DICEMBRE 2020

La Corte di Cassazione, sentenza n° 29009 del 17 dicembre 2020, ha statuito che il diritto riconosciuto al lavoratore per effetto dell’art. 33 comma 5 della Legge n. 104/1992 di non essere trasferito ad un’altra sede di lavoro non può essere limitato dalle esigenze tecnico – produttive del datore di lavoro.

Nel caso in oggetto, un lavoratore adiva il Tribunale contro il provvedimento del datore di lavoro con il quale veniva disposto il trasferimento presso un’altra sede aziendale, in violazione dell’art. 33 comma 5 della Legge n. 104/1992, in quanto il lavoratore risultava occuparsi di un familiare disabile.

Il Tribunale accoglieva il ricorso del lavoratore, mentre in secondo grado i Giudici della Corte d’Appello riformavano la pronuncia di primo grado.

Il lavoratore ricorreva, pertanto, in Cassazione.

I Giudici di legittimità hanno affermato che è onere del datore di lavoro porre in essere "accomodamenti ragionevoli", intesi come adattamenti necessari e non eccessivamente onerosi o sproporzionati, per favorire le persone disabili ed in particolare per agevolare il loro inserimento sociale, anche attraverso la continuità delle relazioni. 

Da questa premessa ed in accordo con i numerosi orientamenti giurisprudenziali precedenti, nonché con la Convenzione ONU e le direttive comunitarie relative a questa materia, si deduce che il diritto di scelta della sede o il trasferimento del lavoratore, se derivante dall’iniziativa del datore di lavoro non può avvenire senza il consenso del dipendente. Nel caso esaminato, a parere dei Giudici di Piazza Cavour, nel giudizio di secondo grado c’era stata una erronea interpretazione della norma; infatti, i Giudici avevano ritenuto non essenziale il consenso del lavoratore, in base alla valutazione della circostanza che la nuova sede di lavoro fosse effettivamente più vicina al domicilio del disabile da assistere, considerando quindi la questione solo sotto il profilo della distanza spaziale.

Al contrario, il consenso del lavoratore è comunque sempre necessario per legittimare il trasferimento al fine di tendere sempre al bilanciamento degli interessi in gioco, ad eccezione dei casi in cui vengano provate esigenze urgenti ed effettive del datore di lavoro, che non potrebbero essere diversamente soddisfatte.

Sulla base di tali motivazioni, la Suprema Corte, riformando la sentenza della Corte distrettuale, ha accolto il ricorso del lavoratore.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giusi Acampora, Pietro Di Nono, Fabio Triunfo e Michela Sequino.

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Modificato: 25 Gennaio 2021