28 Febbraio 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. GENNAIO 2022

Il 22 febbraio scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Gennaio 2022 (id: licenziamenti dal 15 gennaio al 14 febbraio 2022) determinandoli in 1,184322 e 107,7. Il 23 febbraio l’informativa è stata trasmessa agli iscritti con newletter.
 

LA CORTE DI CASSAZIONE CHIARISCE A QUALE GIUDICE DEVE ESSERE PRESENTATA L’OPPOSIZIONE AD UNA CARTELLA DI PAGAMENTO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – ORDINANZA N.1394 DEL 18 GENNAIO 2022

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.1394 del 18/01/2022, ha statuito che la sottile linea di confine fra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione tributaria è costituita dalla notifica della cartella esattoriale sicché le questioni insorgenti fino a tale momento restano devolute alla giurisdizione tributaria, tonando così a precisare quali sono i termini della questione relativa al discrimine fra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria.

Il caso di specie riguarda un contribuente che si era rivolto al Tribunale Ordinario per promuovere opposizione avverso una cartella di pagamento notificatagli dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione in relazione a pretese tributarie a titolo di IVA e IRPEF, deducendo l'intervenuta prescrizione dei crediti e la nullità della cartella per la mancanza della firma digitale e della certificazione di autenticità e conformità della notifica effettuata a mezzo PEC. Il Tribunale adito aveva declinato la propria giurisdizione in favore del Giudice Amministrativo, innanzi al quale l'opponente aveva tempestivamente riassunto il giudizio, e che a sua volta, sollevava un conflitto negativo di giurisdizione innanzi alle Sezioni Unite, sospendendo il giudizio in attesa della decisione nonché asserendo la giurisdizione del giudice tributario.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di piazza Cavour hanno risolto il predetto conflitto, richiamando la disciplina di cui al combinato disposto del D.lgs. n. 546/1992, art. 2 e del DPR n. 602/1973, artt. 49 e segg., ed in particolare dell'art. 57 di quest'ultimo, come emendato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018, nonché gli ultimi principi giurisprudenziali delle stesse Sezioni Unite in materia.

Per gli Ermellini, spetta alla giurisdizione tributaria la cognizione di ogni questione con cui si reagisce di fronte all'atto esecutivo adducendo fatti incidenti sulla pretesa tributaria che si assumano verificati e, dunque, rilevanti sul piano normativo, fino alla notificazione della cartella esattoriale ovvero dell'intimazione di pagamento, ancorché validamente avvenute, o fino al momento dell'atto esecutivo, nel caso che la notificazione sia mancata, sia avvenuta in modo inesistente o sia avvenuta in modo nullo. Ex adverso, spetta alla giurisdizione ordinaria la cognizione delle questioni inerenti alla forma e, quindi, alla legittimità formale dell'atto esecutivo come tale, sia se esso sia conseguito a una valida notifica della cartella o dell'intimazione, nonché dei fatti incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria azionata in executivis successivi al momento della valida notifica della cartella o dell'intimazione.

In nuce, per la S.C., nel caso specificamente esaminato, la doglianza avanzata dal contribuente concerneva, indiscutibilmente, la legittimità e validità della cartella di pagamento, questioni riconducibili all'esistenza stessa della pretesa fiscale, riservata alla cognizione del Giudice Tributario, come anche la questione relativa alla prescrizione del credito tributario IVA e IRPEF maturate anteriormente all'emissione della cartella.


LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE CHE DEFINISCE INQUALIFICABILE IL COMPORTAMENTO DEL DATORE LEDENDO IL VINCOLO FIDUCIARIO

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2246 DEL 26 GENNAIO 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2246 del 26 gennaio, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificatezza di un dirigente che aveva espresso pesanti critiche nei confronti dell’azienda datrice di lavoro, stabilendo il mancato diritto all’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva.

Nel caso preso in esame, infatti, un dirigente, ritenendo illegittimo il licenziamento comminatogli per giusta causa, adiva il Tribunale per la declaratoria di illegittimità e l’ottenimento di un risarcimento economico per demansionamento e mobbing, oltre che il riconoscimento, essendo Dirigente, del diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e all’indennità supplementare. I Giudici di prime cure accoglievano il ricorso limitatamente alla mancanza di giusta causa rigettando le domande risarcitorie. Il Dirigente, non soddisfatto, ricorreva in Appello e la Corte, confermando il giudizio di primo grado, rilevava che le pesanti critiche rivolte nei confronti della società datrice e, precisamente “voi avete tradito la mia fiducia e buona fede e non so quanto potrò andare avanti a sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile, sebbene non integrassero giusta causa di licenziamento, configuravano la nozione di giustificatezza di fonte pattizia collettiva, atteso il ruolo di elevata responsabilità e la conseguente intensità del vincolo fiduciario. L’indennità supplementare, pertanto non era dovuta.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione del CCNL Dirigenti industria, artt. 19 e 22, in relazione alla nozione di giustificatezza del licenziamento di dirigente sostenendo che la Corte avesse ricondotto alla nozione di giustificatezza del licenziamento un unico episodio di intemperanza. Gli Ermellini ribadivano che ai fini della "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, che è un criterio più ampio della giusta causa ex art. 2119 c.c atteso che da essa sono esclusi unicamente il licenziamento discriminatorio e quello arbitrario, è sufficiente una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso, G dalla quale emerga un “qualsiasi motivo che sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, il recesso” (Cass. civ., n. 6110/2014).

La Suprema Corte, non discostandosi dall’orientamento consolidato, riteneva che nel caso specifico fosse ravvisabile una motivazione congrua circa la ritenuta giustificatezza del motivo, “idonea a escludere l'arbitrarietà del recesso in ragione della rilevanza del fatto contestato in termini di turbamento del vincolo fiduciario tanto più intenso quanto più è elevato il ruolo (dirigenziale) del dipendente”: da qui, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


L’ASSOLUZIONE DEL LAVORATORE IN SEDE PENALE NON ESCLUDE LA VALUTAZIONE DELLA SUA CONDOTTA AI FINI DELLA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2871 DEL 31 GENNAIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 2871 del 31 gennaio 2022, afferma che la sentenza di assoluzione del lavoratore dipendente intervenuta in sede penale non è vincolante rispetto alla valutazione della sua responsabilità dal punto di vista disciplinare.

Nel caso in oggetto, un lavoratore veniva licenziato per giusta causa in seguito alla contestazione disciplinare per manomissione di contatore e conseguente abusivo utilizzo di energia elettrica.

La condotta tenuta dal lavoratore era stata soggetta anche a procedura giudiziale, al termine della quale però era stato assolto. Sulla base di questa premessa, il lavoratore proponeva reclamo al Tribunale, per chiedere la declaratoria di nullità del licenziamento. Sia in primo, che in secondo grado il ricorso veniva rigettato, in quanto, a parere dei Giudici di merito, nella determinazione della sanzione erogabile era stato adeguatamente dimostrato il fatto addebitato al lavoratore. Quest’ultimo ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte evidenzia che, secondo la giurisprudenza di legittimità. la contestazione disciplinare a carico del lavoratore non è assimilabile alla formulazione dell'accusa nel processo penale, avendo la sola funzione di consentire l’esercizio del diritto di difesa, ed è pertanto autonoma rispetto ad eventuali imputazioni in sede penale. Da questa premessa deriva che anche nell’eventualità in cui il lavoratore sia stato assolto con sentenza dibattimentale dichiarata irrevocabile, i fatti in essa accertati, possano mantenere la loro rilevanza ai fini del rapporto di lavoro, non escludendo pertanto la cognizione della domanda da parte del giudice civile, a meno che nel corso del giudizio non venga accertata l’insussistenza del fatto o la mancata partecipazione del lavoratore all’illecito. Nel caso de quo, invece, il lavoratore era stato assolto per l'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto, tale circostanza non rappresenta un vincolo per il Giudice che può utilizzare gli elementi probatori a sua disposizione per formulare il giudizio relativo alla responsabilità del lavoratore, il quale con la sua condotta ha leso gravemente il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.

Per le ragioni esposte, la Corte di Cassazione, confermando la sentenza dei Giudici di merito, rigetta il ricorso del lavoratore.


IL MANCATO PAGAMENTO DELLE IMPOSTE CONSEGUENTE ALLA CONDOTTA DEL PROFESSIONISTA NON RILEVA AI FINI DELLA RESPONSABILITA' DEL CONTRIBUENTE NEI CONFRONTI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 3557 DEL 4 FEBBRAIO 2022.

La Corte di Cassazione – ordinanza n°3557 del 4 febbraio 2022 – ha statuito, in tema di sanzioni tributarie e cause di non punibilità, ex art. 6, comma 3, D.lgs. 472/1997, che la responsabilità del contribuente è esclusa purché abbia adempiuto all'obbligo di denuncia alla autorità giudiziaria.

Nel caso de quo, la Commissione tributaria regionale della Sicilia aveva accolto parzialmente il ricorso di un contribuente avverso la decisione contraria della CTP. In particolare, la CTR aveva annullato le sanzioni irrogate con Avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate ai fini Iva, sul rilievo che la mancata trasmissione delle dichiarazioni di rito erano dipese dalla condotta infedele  del consulente al quale il contribuente si era affidato.

Non dello stesso avviso l'Agenzia delle Entrate che ha proposto ricorso per cassazione duolendosi della violazione e falsa applicazione ex art. 6, D.lgs. 472/1997 in relazione alle cause di non punibilità.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ritenendo il motivo fondato. Giova ricordare, hanno indicato gli Ermellini, che l'esimente di cui all'art. 6, comma 3 del D.lgs. 472 del 18 dicembre 1997, presuppone l'elemento soggettivo ex art. 5, comma 1 in ordine alla colpevolezza: "Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa" e delimita la condotta sanzionabile in conseguenza di obblighi tributari non formali.

L'applicazione della particolare esimente di cui alla disposizione richiamata implica pertanto:

a) l'inadempimento degli obblighi riconnessi al mancato pagamento del tributo esclusi gli obblighi solo formali;

b) l'imputabilità di tale inadempimento ad un soggetto terzo (id: il professionista intermediario), estraneo alla compagine sociale del contribuente;

c) l'adempimento da parte del contribuente di un obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria nei confronti dell'intermediario, cui è stato attribuito l'incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell'effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di effettuare i pagamenti;

d) l'insussistenza del dolo o della negligenza del contribuente nell'inadempimento, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando, dovendo l'inadempimento medesimo essere imputabile in via esclusiva all'intermediario.

Nel caso in specie, hanno concluso gli Ermellini annullando la sentenza impugnata, non risultava provata né l'avvenuta presentazione della denuncia all'autorità giudiziaria e né il conferimento dell'incarico relativo alla presentazione delle dichiarazioni e dei pagamenti.


IL CONTRIBUENTE DEVE, CON ORDINARIA DILIGENZA, VALUTARE LA CORRETTEZZA DELL’OPERATO DEI PROPRI FORNITORI.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA 4244 del 10/02/2022

La Corte di Cassazione, nell’analizzare un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, chiarisce che l’imprenditore che non adotti la normale diligenza nel condurre la propria azienda, con particolare riferimento alle condotte che possano astrattamente far pensare ad una conduzione fraudolenta, tendente all’evasione delle imposte, legittima le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate di effettuazione di operazioni soggettivamente inesistenti.

Un’impresa molisana aveva visto, a seguito di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, venir meno il diritto alla detrazione dell’IVA relativamente ad operazioni di acquisto autovetture, per le quali aveva ricevuto fattura emesse da un’azienda che l’Agenzia delle Entrate aveva poi accertato essere totalmente mancante di una struttura organizzativa, come poi confermato dal proprio legale rappresentante. Proponeva quindi ricorso avverso l’atto accertativo ribadendo la correttezza del proprio operato. L’Amministrazione Finanziaria faceva da subito notare che la ditta cedente non possedeva né un parco autovetture né una struttura di vendita, e quindi era chiaro l’intento evasivo delle operazioni poste in essere.

I Giudici di prime cure della CTP di Campobasso, e poi la Commissione Tributaria Regionale del Molise avevano accolto il ricorso dell’azienda oggetto di accertamento, motivando la loro decisione con il riscontro di regolari pagamenti effettuati alla ditta che aveva emesso fattura, e con le dichiarazioni del legale rappresentante dell’impresa accertata circa l’estraneità alle vicende della ditta cedente, dalla quale si limitava ad acquistare autovetture.

L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per Cassazione, giacché nei precedenti giudizi non si era tenuto in debito conto la risultanza delle conclusioni dell’Agenzia delle Entrate, ovvero la circostanza secondo la quale tali operazioni, stante la dichiarata mancanza di organizzazioni e struttura dell’impresa che aveva emesso le fatture, erano chiaramente volte all’evasione dell’imposta, nella compravendita di autovetture di provenienza intracomunitaria: nel caso particolare era utilizzata una società cartiera che non aveva mai versato l'Iva e che agiva solo come intermediario verso le ditte (come quella accertata) che poi commercializzavano le vetture sul mercato nazionale, il cui debito d’imposta rimaneva quindi a carico della ditta cedente.

La Corte di cassazione risolve la questione a favore dell’Agenzia delle Entrate: è infatti orientamento costante che “la prova della consapevolezza dell'evasione … non richiede che l'Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all'accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, …  e che incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” e ancora che “la società cessionaria sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, nonché agli ulteriori elementi di prova presuntiva sopra indicati, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che la stessa disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglieva le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria e rinviava alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 28 Febbraio 2022