7 Marzo 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

L’AMMINISTRATORE DI UNA SOCIETA’ PUO’ RISULTARE AL CONTEMPO DIPENDENTE DELLA STESSA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2487 DEL 27 GENNAIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 2487 del 27 gennaio 2022, ha ribadito la possibilità di cumulare la carica di amministratore e l'attività di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, purché sussistano contestualmente mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo dell'organo dell'amministrazione della società.

Il caso esaminato si riferiva a due lavoratori subordinati, entrambi membri del C.d.A. della società (di cui ciascuno dei due era socio al 50%), sia pure con riserva, nella delibera di loro nomina, della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali. L’INPS aveva contestato la natura subordinata del rapporto di lavoro, rilevando che ostava alla costituzione di un vincolo di subordinazione alla società amministrata la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale.

La Suprema Corte ha respinto le pretese dell’Istituto previdenziale riaffermando il principio secondo cui, sebbene la carica di amministratore unico di una società sia incompatibile con la subordinazione, il singolo componente del consiglio può essere lavoratore subordinato se ricorrono in fatto, al di fuori dell’esercizio della carica, i consueti parametri connotanti la stessa. In particolare, è necessario che sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e che sussista l'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società. Quest’ultima circostanza ricorre qualora sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente/amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno.

In tal caso, risulterebbe provata la soggezione al potere direttivo e disciplinare di altri organi della società e l'assenza di autonomi poteri decisionali, in ragione del fatto che le più importanti decisioni, comprese quelle relative al personale, richiedono statutariamente il voto congiunto di ambedue che viene a profilarsi come un diverso centro decisionale di "amministrazione congiunta sovrapersonale".


IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO È NULLO ANCHE SE ALLA BASE DEL RECESSO C’È UNA MOTIVAZIONE LEGITTIMA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 2414 DEL 27 GENNAIO 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n. 2414 del 27 gennaio 2022, afferma che il motivo legittimo posto alla base del licenziamento intimato al lavoratore, non esclude la nullità dell’atto di recesso, se viene accertata la presenza di un’ulteriore motivazione discriminatoria.

Nel caso de quo un lavoratore impugnava il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, deducendo che la malattia era causalmente da collegare all’illegittima condotta datoriale e che l’atto di recesso era invece motivato dalla volontà discriminatoria del datore di lavoro, per l'attività sindacale prestata dal dipendente. Sia in primo, che in secondo grado, la sua domanda veniva rigettata.

Il lavoratore ricorreva dunque in Cassazione. La Suprema Corte afferma che, l’accertamento sul carattere ritorsivo o discriminatorio del licenziamento non è necessariamente escluso in presenza di una legittima causa di recesso dal rapporto di lavoro, come, nel caso in oggetto, il superamento del periodo di comporto.

Secondo un orientamento già precisato in precedenti pronunce della Corte, infatti, nei casi cui venga provato dal lavoratore il carattere ritorsivo del licenziamento, volto ad accertare la nullità dell’atto di recesso per motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro venga riconosciuto come determinante, ossia costituisca l’unica ragione del recesso dal rapporto di lavoro.

Viceversa, l’unicità della motivazione alla base del recesso non assume rilevanza, in caso di licenziamento discriminatorio, che si può accompagnare anche ad un’altra motivazione ritenuta legittima. In questo caso, infatti, la presenza di un motivo legittimo non esclude la nullità del licenziamento, laddove venga accertata la natura discriminatoria dello stesso.

 

LA CASSAZIONE CHIARISCE CHE IL CLIENTE FRODATO PUÒ ESSERE ASSOLTO DALL’EVASIONE FISCALE PER INDEBITA COMPENSAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.4464 DEL 9 FEBBRAIO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.4464 del 09/02/2022, ha statuito che il contribuente può essere assolto dall’accusa di indebita compensazione ex art. 10 – quater, c. 2, D.lgs. 74/2000, per aver utilizzato crediti IVA inesistenti, quando dimostra di essere stato frodato dal commercialista al quale ha affidato il denaro per il pagamento delle imposte.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, hanno accolto le doglianze di un amministratore delegato di una SRL, accusato di indebita compensazione dei crediti IVA inesistenti, che però aveva già denunciato il professionista per appropriazione indebita, citando nella fattispecie anche una testimonianza circa la consegna del denaro al commercialista, per il pagamento delle imposte oltre che per la falsità delle ricevute di pagamento ricevute, attestanti l'assolvimento di tali oneri.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini hanno spiegato che l'elemento soggettivo del reato ex art. 10-quater del D.lgs. N.74/2000 è il dolo generico, come infatti è affermato in tema di reato di indebita compensazione di crediti e, pertanto l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti non spettanti, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa.

Nel caso in commento, i Giudici di Legittimità, hanno anche messo in risalto che, ai fini della valutazione della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, non risulta essere stato dato alcun valore probatorio alle dichiarazioni di una dipendente del professionista sulla falsità delle ricevute di pagamento inviate, e tale omissione ha inciso sulla ratio decidendi perché volta a dimostrare che la società inviò delle somme per il pagamento delle imposte, ancorché non effettuato.

In nuce, per la S.C., l'omessa valutazione di tale testimonianza rende la motivazione illogica nella parte in cui ha escluso l'interesse del professionista a far apparire nella dichiarazione IVA la compensazione con i crediti inesistenti, in quanto, se le somme erano già state versate dalla società, l'unico modo per non versarle e quindi di poterle trattenere, era dichiarare il saldo zero, mediante un’indebita compensazione.

 

LA FATTISPECIE DI OMESSA DICHIARAZIONE E' RELATIVA ALLE IPOTESI DI ASSOLUTA INESISTENZA DEL DOCUMENTO O DI MANCATA TRASMISSIONE ALL'UFFICIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. PENALE – SENTENZA N.5141 DEL 14 FEBBRAIO 2022.

La Corte di Cassazione – sez. penale – sentenza n°5141 del 14 febbraio 2022 – ha statuito, in ordine alle ipotesi previste ex art. 5, D.lgs. n°74/2002, che la mancanza di un quadro della dichiarazione dei redditi non integra il reato di omessa dichiarazione bensì il diverso reato di dichiarazione infedele.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, aveva condannato un contribuente per il reato ex art. 5, D.lgs. n°74/2002 in relazione alla omessa dichiarazione dei redditi e Iva per l'anno di imposta 2011. In particolare, la condotta omissiva era stata ritenuta integrata sulla base del fatto che la dichiarazione, pur tempestivamente trasmessa, era risultata carente del quadro "RS" e quindi equiparata a dichiarazione "in bianco".

Orbene, la Suprema Corte, investita del caso, ha accolto il ricorso del contribuente senza rinvio delle sentenze di merito, con trasmissione degli atti al Pubblico Ministero. Gli Ermellini hanno infatti ricordato il contenuto dell'art. 5, D.lgs. n°74/2002 che contempla il reato di omessa dichiarazione commesso da "chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte…". La medesima condotta omissiva, è altresì contemplata per la dichiarazione dei sostituti di imposta, dal successivo comma 1bis. La fattispecie evidenziata consegue pertanto all'obbligo di mettere l'Amministrazione finanziaria al corrente delle informazioni necessaria per accertare la consistenza dell'obbligazione tributaria.

Sul punto, hanno argomentato gli Ermellini, l'equiparazione operata in sede di merito, tra omessa dichiarazione e presentazione incompleta, non può essere condivisa in quanto, l'omissione invocata attiene a condotte esaustivamente e rigorosamente individuate dalla norma e come tali non suscettibili di alcuna estensione. Si è infatti valorizzato (Cfr. art. 1, comma 2, DPR n°600/73) a conforto della necessaria distinzione tra i casi di "assoluta omessa dichiarazione" e "mancata dichiarazione di redditi imponibili" che il contenuto della dichiarazione dei redditi debba contenere l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili e che i redditi per i quali manca l'indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell'accertamento e delle sanzioni. All'uopo, laddove la mancata indicazione sia stata solo parziale, come nel caso in specie, la dichiarazione si deve ritenere validamente presentata.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, la fattispecie di omessa dichiarazione deve essere riservata solo alle ipotesi più radicali, quali l'assoluta inesistenza del documento o la mancata trasmissione all'Ufficio giacché lo stesso tenore dell'art. 1, comma 2, DPR n°600/73 consente di reputare esistente la dichiarazione pur se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, laddove contempla che i redditi non indicati si considerano non dichiarati.

Dal ché, nell'ipotesi in cui il contribuente non ometta la dichiarazione, ma provveda ad inviarla indicando un valore diverso rispetto a quanto dovuto, incorre in errore, ovvero nel reato di dichiarazione infedele, ex art. 4, D.lgs. n°74/2002, qualora l'errore sia voluto.

 

LITISCONSORZIO NECESSARIO – ACCERTAMENTO REDDITI DA SOCIETA’ DI PERSONE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 5008 DEL 16 FEBBRAIO 2022

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di ricorso di un socio accomandante avverso la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria di rideterminazione del reddito della società di persone di cui il contribuente detenga quota di partecipazione, tale ricorso è da considerarsi nullo se non viene attuato il litisconsorzio necessario, pur se gli altri litisconsorti non vengano pregiudicati dall’esito del giudizio.

Il caso nasce da una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che in primo grado, nel giudicare il ricorso di un contribuente che aveva impugnato un accertamento di maggior reddito di partecipazione derivante da corrispondente accertamento nei confronti della società di cui deteneva quote di partecipazione, non aveva considerato gli esiti del giudizio concluso nei confronti della società, favorevole all’Amministrazione Finanziaria e nel quale il contribuente non si era costituito: in effetti la CTP non aveva considerato gli esiti di tale distinto procedimento favorevole all’Amministrazione Finanziaria, ed aveva giudicato autonomamente, e tale decisione non era stata riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che pure aveva rigettato le doglianze dell’A.F. Tale procedimento era quindi del tutto autonomo rispetto al corrispondente procedimento innanzi la Giustizia Tributaria intentato dalla società.

Interviene quindi la Corte di Cassazione, che accoglie le osservazioni dell’Agenzia delle Entrate: in effetti, osservano gli Ermellini, "in materia tributaria, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi”, pur se l’Amministrazione Finanziaria aveva segnalato, nel caso concreto, la circostanza.

Tale statuizione, non adeguatamente considerata dai Giudici di prime cure né da quelli del gravame, ha comportato che “conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 D.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio" (Cass. S.U. sent. n. 14815/2008)

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglieva le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria e rinviava alla Commissione Tributaria Provinciale per una nuova trattazione della questione, che tenga conto dell’unitarietà delle questioni.

Ad maiora
IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 7 Marzo 2022