8 Aprile 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….


LA CODATORIALITA' TRA IMPRESE NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE INTEGRA LA SUSSISTENZA DI UN REGIME DI SOLIDARIETA' PER LE OBBLIGAZIONI DERIVANTI DAL RAPPORTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3899 DELL'11 FEBBRAIO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3899 dell'11 febbraio 2019, ha ritenuto legittimo il regime di solidarietà tra imprese per le obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro che si instaura allorquando viga un sistema di codatorialità per cui il lavoratore, formalmente assunto da un soggetto, svolga l'attività anche a favore di altre imprese.

Nel caso in esame, una lavoratrice era stata licenziata in relazione alla cessazione dell'attività della società datrice, posta in stato di liquidazione. Invero, la lavoratrice aveva svolto mansioni amministrative, contabili e di segreteria sulla base di direttive impartite sia dalla società datrice che da ulteriori società, socie della formale datrice.  Nello specifico, anche il rappresentante legale delle società in questione risultava essere, al contempo, amministratore delle società socie e liquidatore della società s.a.s. in liquidazione.

La Corte di Appello di Roma, in accoglimento del reclamo proposto dalla lavoratrice, aveva dichiarato nullo il licenziamento, ordinando alle società reclamate di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro, condannandole, in solido tra loro, al pagamento di un'indennità risarcitoria parametrata alle retribuzioni globali di fatto tra la data del licenziamento e l'effettiva reintegra, oltre che al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali ed alle spese di tutte le fasi del processo.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso le società obbligate in solido, eccependo l'erronea valutazione della Corte di merito in ordine al concetto di unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro e richiedendo, altresì, l'accertamento dell'inesistenza di un gruppo societario.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e, avallando il giudizio della Corte territoriale, ha osservato che nella specie, al di là della prova dell'esistenza di un vero e proprio gruppo societario, che si caratterizza per l'esistenza di un'unica struttura organizzativa e produttiva e dall'integrazione delle attività' esercitate dalle diverse imprese, si era verificata una situazione di c.d. codatorialità.

In particolare, hanno evidenziato gli Ermellini, si ha unicità del rapporto di lavoro qualora uno stesso lavoratore presti contemporaneamente servizio per due datori di lavoro e la sua opera sia tale che in essa non possa distinguersi quale parte sia svolta nell'interesse di un datore di lavoro e quale nell'interesse dell'altro, con la conseguenza che entrambi i fruitori di siffatta attività devono essere considerati solidalmente responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, ai sensi dell'articolo 1294 c.c., che stabilisce una presunzione di solidarietà in caso di obbligazione con pluralità di debitori, ove dalla legge o dal titolo non risulti diversamente.

In sostanza, qualora uno stesso dipendente presti servizio contemporaneamente a favore di diversi datori di lavoro, titolari di distinte imprese, e l'attività sia svolta in modo indifferenziato, così che in essa non possa distinguersi quale parte sia stata svolta nell'interesse di un datore e quale nell'interesse degli altri è configurabile l'unicità del rapporto di lavoro e tutti i fruitori dell'attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti.

Nella specie, hanno concluso gli Ermellini, la cessazione dell'attività dell'impresa era riferibile solo e soltanto alla formale datrice di lavoro e non anche alle altre società che, per quanto accertato, erano risultate parimenti datrici di lavoro.

 

LA CONSEGUENZA DELLA ILLEGITTIMA REITERAZIONE DI CONTRATTI A TERMINE NON DETERMINA MAI LA CONVERSIONE A TEMPO INDETERMINATO DEL RAPPORTO DI LAVORO, ANCHE NEL CASO IN CUI IL LAVORATORE SIA STATO ASSUNTO CON UNA GRADUATORIA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 8671 DEL 28 MARZO 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 8671 del 28 marzo 2019, ha (ri)statuito le regole applicabili alla fattispecie di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e cioè che in materia di pubblico impiego contrattualizzato vige la regola del concorso pubblico prevista dall’art. 97 della Costituzione e dalle procedure di reclutamento del personale del T.U. sul pubblico impiego.

Nel caso di specie, alcuni dipendenti assunti a termine presso l’Asl di Foggia hanno ricevuto poi due proroghe del contratto, scadute le quali, hanno fatto ricorso sostenendo l’illegittimità della seconda proroga e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato.

I Giudici della Cassazione hanno confermato che l’arbitraria fissazione di un termine nei rapporti di lavoro pubblici non può mai comportare la conversione del rapporto da tempo determinato a indeterminato perché è obbligatoria la regola del concorso pubblico.

Ai lavoratori, hanno statuito gli Ermellini, dovrà essere riconosciuto il risarcimento del danno, derivante dalla perdita di opportunità di un posto di lavoro alternativo migliore, valutato con un’indennità economica compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in linea con l’art. 28 del D.lgs 81/2015.

 

PER IL RIMBORSO IVA E’ SUFFICIENTE LA COMPILAZIONE DEL QUADRO RX QUALE MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ DI OTTENERE IL RIMBORSO, ANCHE SENZA PRESENTAZIONE DELL’APPOSITO MODELLO VR.

CORTE DI CASSAZIONE –  SEZIONE TRIBUTARIA –  SENTENZA N. 5938 DEL 28 FEBBRAIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 5938 del 28 febbraio 2019, ha statuito che in materia di IVA, la corretta indicazione del credito d’imposta nella dichiarazione annuale nell’apposito quadro RX manifesta la volontà di chiedere il rimborso, anche senza la presentazione materiale dell’apposito modello VR.

Nel caso in specie, un contribuente impugnava un provvedimento di diniego sull’istanza di rimborso IVA, relativa a un credito esposto in dichiarazione dei redditi per l’anno 2004 negli appositi quadri “VL” ed “RX”. 

L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che il contribuente fosse decaduto dal diritto al rimborso avendo presentato la richiesta per la prima volta oltre il termine di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno 2004.

Il contribuente ricorreva alla giustizia tributaria per vedersi riconosciuto il suo diritto al rimborso, uscendone vittorioso in entrambi i gradi di giudizio di merito. In particolare la C.T.R. affermava che alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione, una volta manifestata con la dichiarazione IVA la volontà di recuperare il credito, il diritto al rimborso non fosse più assoggettabile al termine biennale di decadenza, bensì a quello ordinario di prescrizione decennale ai sensi dell’art. 2946 c.c., pur in assenza di una ulteriore domanda preordinata a dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso.

Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38 bis del DPR n. 633/72 e del D.Lgs. n. 546/92, in quanto la richiesta di un rimborso Iva, ai fini della esclusione del termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1996, deve essere inserita nella dichiarazione IVA, mediante compilazione del pertinente campo e quadro RX4 della dichiarazione annuale e nel modello VR.

Di diverso avviso i Giudici di Piazza Cavour, che con la sentenza de qua nel respingere in toto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di rimborsi dell’Iva, la compilazione del quadro Rx del modello di dichiarazione unica, nel campo attinente al credito di cui si chiede il rimborso, e legittimamente considerata alla stregua di manifestazione di volontà di ottenere il rimborso; tale manifestazione di volontà identifica, invero, ai sensi del DP.R. 633/72, articolo 38 bis, la domanda di rimborso fatta nella dichiarazione, e, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello Vr ai fini della determinazione dell’importo richiesto a rimborso nella dichiarazione IVA, sottrae la fattispecie al termine biennale di decadenza sancito, in via residuale, dal decreto legislativo 546/92 articolo 21”.

 

LA PRESUNZIONE DI GRATUITÀ DEI TRASFERIMENTI DI IMMOBILI O DI PARTECIPAZIONI SOCIALI TRA PARENTI IN LINEA RETTA È APPLICABILE PER L’IMPOSTA DI REGISTRO E PER TUTTI GLI ALTRI TRIBUTI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 5566 DEL 26 FEBBRAIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 5566 del 26 febbraio 2019, ha statuito che nell'ambito dell'accertamento sull'onerosità o meno degli atti di trasferimento, la presunzione di gratuità dei trasferimenti di immobili o di partecipazioni sociali tra parenti in linea retta, oltre che per l'imposta di registro, può trovare applicazione anche per gli altri tributi.

Nel caso di specie, gli Ermellini, ribaltando la sentenza dei Giudici Territoriali, hanno accolto le doglianze di una contribuente che aveva proposto ricorso avverso un avviso di accertamento, con il quale l'Amministrazione Finanziaria aveva determinato sinteticamente il suo reddito, denunciando, tra le altre, la violazione dell'art. 26 del D.P.R. n.131/86 per avere ignorato, nella valutazione della prova contraria, la presunzione di liberalità posta dal suddetto art. 26 riguardo ai trasferimenti di immobili o di partecipazioni sociali tra parenti in linea retta.

Infatti, la ricorrente deduceva che non era stata sufficientemente valutata la documentazione bancaria prodotta e la copia di atto notorio, che confermavano che la cessione delle quote societarie e la vendita di un piccolo immobile erano avvenuti senza il versamento del corrispettivo, ancorché indicato nell'atto.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di piazza Cavour, hanno evidenziato che il preteso pagamento del corrispettivo era dichiarato come già avvenuto prima della stipula degli atti da parte del notaio, e non essendo il pagamento avvenuto dinanzi al pubblico ufficiale stipulante, l’Agenzia delle Entrate in primis e i Giudici di merito poi, avrebbero dovuto effettivamente vagliare l'ulteriore documentazione prodotta, bancaria e non, utile a dimostrare che gli assegni per mezzo dei quali sarebbe dovuto avvenire il pagamento non erano stati in realtà mai posti all'incasso.

In nuce, la S.C., ha ritenuto errato ritenere decisivo, ai fini della qualificazione della causa degli atti come onerosa, l'indicazione, in ciascuna delle compravendite citate, della sola previsione di un prezzo.

 

PER IL SOCIO – AMMINISTRATORE DI SOCIETA’ COMMERCIALE IL DOPPIO ONERE CONTRIBUTIVO NON E’ AUTOMATICO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 7311   DEL 14 MARZO 2019

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 7311 del 14 marzo 2019, ha (ri)statuito che, nello svolgimento di attività commerciale, la doppia contribuzione del soggetto, socio ed amministratore di s.r.l., non si applica in automatico, in quanto l’effettiva partecipazione deve essere provata.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Bologna, a conferma del Tribunale di Modena, accoglieva le opposizioni proposte dalla società contro due cartelle esattoriali con le quali l’Inps chiedeva i contributi della Gestione Commercianti per gli anni dal 2000 al 2003.

Dalle verifiche effettuate dalla Corte di merito, il socio, benché amministratore, non svolgeva alcuna attività con carattere di abitualità e prevalenza e quindi non derivava alcun obbligo di iscrizione alla gestione commercianti dello stesso. L’Inps ricorreva per Cassazione con un solo motivo, invocando la falsa applicazione del Decreto Legge n. 78/2010 (interpretazione autentica), circa il criterio di prevalenza e di espressa esclusione di coloro che sono iscritti alla gestione separata.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno precisato che l’interpretazione autentica del Legislatore circa la doppia contribuzione non può prescindere dalla necessità di fornire l’effettiva prova della coesistenza concreta dei due ruoli, dovendo  emergere con chiarezza che le attività siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il proprio lavoro e dei familiari, che il soggetto abbia piena responsabilità d’impresa, che il soggetto partecipi personalmente con carattere di abitualità e prevalenza e che non sia in possesso, ove previsto, di licenze o autorizzazioni e/o sia iscritto ad albi, registri e ruoli.

Quindi, l’Inps è sempre onerato di dare la puntuale prova circa l’effettiva partecipazione del socio. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 8 Aprile 2019