25 Aprile 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. MARZO 2022

Il 15 Aprile scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Marzo 2022 (id: licenziamenti dal 15 marzo al 14 aprile 2022) determinandoli in 2,987994 e 109,9.

 

L’AMMINISTRATORE CONDOMINIALE PUÒ NEGARE IL CORRISPETTIVO SE L’IMPRESA ADDETTA ALLE PULIZIE NON HA FORNITO IL DURC.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.4079 DEL 9 FEBBRAIO 2022

La Corte di Cassazione, con la sentenza 4079 del 09/02/2022, ha statuito che l'amministratore condominiale è legittimato a rifiutarsi di pagare il corrispettivo se l'impresa appaltatrice non ha fornito il Durc (id: Documento unico di regolarità contributiva), in quanto questa condotta rappresenta, di fatto, un inadempimento contrattuale e consente quindi all'appaltante di rifiutare a sua volta la prestazione contrattualmente dovuta, come previsto dall'art. 1460 cc.

Il caso di specie, riguarda le doglianze di un’impresa titolare di un appalto per il servizio di pulizie delle parti comuni di un edificio condominiale, che notificava al condominio stesso un decreto ingiuntivo per non aver ricevuto il compenso contrattualmente dovuto. L'amministratore condominiale aveva proposto tempestiva opposizione, sostenendo, in particolare, che il contratto di appalto intercorrente tra le parti doveva considerarsi affetto da nullità, poiché l'appaltatrice non aveva consegnato il Durc, che ha lo scopo di certificare la regolarità contributiva e assicurativa delle imprese e dei lavoratori autonomi ed è necessario in tutti casi in cui l'impresa stipula un contratto di servizio con enti pubblici o privati.

Gli Ermellini, con la sentenza de qua, confermando in toto le decisioni dei Giudici Territoriali, hanno ribadito che in mancanza del suddetto documento, stante il carattere sinallagmatico del rapporto contrattuale, per cui le prestazioni alle quali sono tenuti i contraenti dipendono l'una dall'altra, risulta pienamente applicabile l'art. 1460 cc, in base al quale ciascuna parte del contratto può legittimamente rifiutarsi di adempiere alla propria prestazione se l'altra parte non adempie. Ergo, per i Giudici di piazza Cavour, poiché nel contratto di appalto la prestazione del committente, ossia quella di pagare il corrispettivo pattuito per i lavori la fornitura del servizio, è strettamente collegata alla regolare esecuzione della prestazione cui è tenuto l'appaltatore, la disposizione or ora citata consente a ciascuna parte di rifiutare legittimamente l'adempimento della propria prestazione ove al contempo la controparte sia inadempiente alla propria.

In nuce, per la S.C., a fronte della mancata o, comunque, inesatta esecuzione dell'obbligo di consegna di un Durc regolare da parte dell'impresa appaltatrice e, quindi, dell'esposizione del condominio committente al rischio di dover provvedere, quale responsabile in solido, al versamento degli oneri previdenziali e contributivi nei confronti dei lavoratori impiegati dalla prima, l'amministratore è ampiamente legittimato a sospendere il pagamento delle somme contrattualmente dovute.

 

L'INDENNITÀ RISARCITORIA PER LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO VA COMMISURATA IN BASE ALLA RETRIBUZIONE CHE IL LAVORATORE AVREBBE PERCEPITO, SE AVESSE EFFETTIVAMENTE LAVORATO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 6744 DEL 1° MARZO 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n° 6744 del 1° marzo 2022, è tornata a pronunciarsi sulla determinazione dell’indennità risarcitoria da licenziamento illegittimo.

Questa volta la pronuncia trae origine dal mancato riconoscimento di somme a titolo di incrementi retributivi, premi aziendali ed incentivi economici maturati dal giorno del licenziamento dichiarato nullo, in via giudiziale, con ordine di reintegra; tali importi sarebbero stati virtualmente maturati sino al giorno della intervenuta reintegrazione, in aggiunta alla somma individuata quale ultima retribuzione globale di fatto e considerata come parametro ai fini risarcitori.

La Corte d'appello aveva rigettato le pretese del dipendente ritenendo che, in virtù dei principi di corrispettività ed effettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, la retribuzione globale di fatto andasse individuata in quella percepita al momento del recesso, non rilevando in alcun modo la sua dinamica economica, al pari degli altri dipendenti rimasti in servizio, per effetto della successiva contrattazione.

A ribaltare il decisum è intervenuta la Corte di Cassazione che richiamando, sulla tematica, l'evoluzione giurisprudenziale subita dal pregresso orientamento di legittimità, ha rammentato la variazione che negli anni ha interessato il concetto di retribuzione globale di fatto e, specularmente, anche quello di indennità risarcitoria da licenziamento illegittimo.

Infatti, la Suprema Corte ha precisato che l'indennità risarcitoria va commisurata non più in base ad una media delle retribuzioni percepite prima della illegittima estromissione, ma in base alla retribuzione che il prestatore avrebbe percepito se avesse effettivamente lavorato, "dovendosi ricomprendere nel suo complesso anche ogni compenso avente carattere continuativo che si ricolleghi a particolari modalità di prestazione in atto al momento del licenziamento, in quanto, ove si provvedesse in senso contrario, si addosserebbero al lavoratore conseguenze negative derivanti da un comportamento illegittimo tenuto dal datore di lavoro".

Del resto – ha concluso la Sezione Lavoro della Corte – la funzione dell'indennità ex art. 18 è quella di ripristinare lo status quo ante al licenziamento illegittimo ed è proprio in ragione di ciò che la sua commisurazione deve essere calcolata in base alla retribuzione che il lavoratore avrebbe concretamente percepito ove non fosse stato illegittimamente estromesso dall'azienda

 

IN CASO DI CESSIONE DEL RAMO D’AZIENDA L’ART. 2112 C.C. TROVA APPLICAZIONE NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI CHE AL MOMENTO DEL TRASFERIMENTO SONO ALLA DIPENDENZE DELLA CEDENTE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 8039/2022 DEL 11 MARZO 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8039 dell’11 marzo 2022, ha ribadito che la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’art. 2112 c.c., per i lavoratori che sono dipendenti dalla cedente (o della retrocedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro.

Nel caso in trattazione, una società a responsabilità limitata aveva dato in gestione ad un'altra società il reparto di produzione e vendita al minuto di prodotti di pizzeria, rosticceria e friggitoria, in cui erano impiegati due lavoratore, con un contratto di cessione che prevedeva il passaggio dei lavoratori dalla cedente alla cessionaria con obbligo della prima, in caso di risoluzione dell’affidamento per qualsiasi causa, di ricostituire i rapporti di lavoro.  Le due società, con una scrittura privata, avevano risolto il contratto di affidamento ed i due lavoratori ceduti, licenziati per giustificato motivo dalla società cessionaria, avevano agito contro la srl cedente che non aveva provveduto a ricostituire i due rapporti di lavoro.

In primo grado il Tribunale accoglieva il ricorso e condannava la società a proseguire i rapporti di lavoro con i ricorrenti, sulla base del contratto concluso tra le due società che prevedeva la continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti senza soluzione di continuità, ai sensi dell'art. 2112 c.c., e la ricostituzione del rapporto in capo alla cedente in caso di risoluzione del contratto di affidamento, per qualsiasi causa. I Giudici, inoltre, escludevano che la mancata impugnativa dei licenziamenti potesse essere di ostacolo alla ricostituzione dei rapporti di lavoro in capo alla cedente. Anche la Corte d’Appello, adita dalla società datrice, confermava la decisone statuendo che l'effetto ripristinatorio dei rapporti di lavoro presso la originaria cedente trovava copertura normativa nell’art. 2112 c.c, applicabile anche alla fattispecie di retrocessione, come nel caso in esame.

Avverso quest'ultima pronuncia, la società ricorrente, proponeva ricorso in Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 6. Il Collegio, proprio riguardo alla fattispecie del trasferimento di azienda, regolato dall'art. 2112 c.c., ricordava che esso ricorre tutte le volte in cui, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato. Infatti, la Corte di Cassazione specificava che “ad integrare le condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, è sufficiente il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso dei beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima. L'impiego del medesimo personale e l'utilizzo dei medesimi beni aziendali costituiscono un indice probatorio di tale continuità” (Cass. n. 26808/2018 e n. 12771/2012).

Secondo gli Ermellini la Corte di merito aveva correttamente trovato il fondamento normativo del diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della originaria cedente, poi retrocessionaria, nell'art. 2112 c.c. ma aveva errato nella ricostruzione dei rapporti in quanto era da escludersi che potesse "continuare" un rapporto di lavoro non più esistente all'epoca del trasferimento, cioè definitivamente cessato in fatto e anche de iure, per la mancata impugnativa dell'atto di recesso. Nell'ipotesi in cui, come accade nella fattispecie in esame, in epoca anteriore al trasferimento, sia stato intimato il licenziamento, la norma di cui all'art. 2112 c.c. può operare solo a condizione che sia dichiarata la nullità o l'illegittimità del licenziamento, con le conseguenze a ciò connesse in termini di ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della cedente. Solo la declaratoria di nullità o l'annullamento dell'atto di recesso avrebbero consentito di considerare il lavoratore dipendente della cedente al momento della cessione, con trasferimento e continuazione del suo rapporto di lavoro in capo alla cessionaria.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione, sottolineando che “la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell'art. 2112 c.c., per i lavoratori che sono dipendenti dalla cedente (o della retrocedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell'annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro” accoglieva il ricorso.

 

LA LACUNOSITÀ DELLA COMUNICAZIONE EX ART. 4 COMMA 9 DELLA LEGGE N. 223/1991 COMPORTA LA REINTEGRA DEL LAVORATORE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9800 DEL 25 MARZO 2022

La Corte di Cassazione, sentenza n. 9800 del 25 marzo 2022, statuisce che nelle ipotesi di licenziamento collettivo, l’assenza dell’indicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta concordati per la valutazione dei lavoratori da licenziare, comporta l’annullamento del licenziamento e la reintegra dei lavoratori coinvolti.

Nel caso in esame, alcuni lavoratori impugnavano il licenziamento collettivo intimato dal datore di lavoro.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza dei Giudici di prime cure, dichiarava illegittimo il licenziamento collettivo, in quanto affetto da vizio formale, giacché nella comunicazione di licenziamento ex art. 4 comma 9 della Legge n. 223/1991 non era stata data chiara indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore e dei dati relativi ai carichi di famiglia, nonché dei dati relativi all'anzianità di servizio, criteri di scelta utilizzati nella valutazione dei lavoratori da licenziare.

Tuttavia, poiché la Corte di Cassazione, pur ritenendo illegittimo il licenziamento, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro, condannando il datore di lavoro al solo pagamento dell’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, una parte dei lavoratori interessati dal licenziamento ricorreva in Cassazione.

Secondo i Giudici di legittimità le disposizioni della Legge n. 223/1991 rappresentano una garanzia di natura procedimentale volta ad assicurare al lavoratore l’individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell'esercizio del potere privato del datore di lavoro, controllando la correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti. La comunicazione ex art. 4 comma 9 della Legge n. 223/1991 ha, inoltre, l’importante compito di cristallizzare  le ragioni del recesso. Nel caso in oggetto, la generica indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ha impedito una piena verifica della coerenza tra i stessi e la loro concreta applicazione. Orbene, in merito alla tutela risarcitoria, la Suprema Corte afferma che la lacunosità della comunicazione inviata al lavoratore si è di fatto tradotta in una illegittima applicazione dei criteri di scelta, che comporta l’annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro. Per le ragioni esposte, la Suprema Corte cassa la sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

 

GLI AMMINISTRATORI SONO SOLIDALMENTE RESPONSABILI VERSO LA SOCIETA' A MENO CHE GLI ATTI COMPIUTI NON RIENTRINO NELLE ATTRIBUZIONI DELEGATE AL COMITATO ESECUTIVO O SOLO AD ALCUNI DI ESSI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZ. PENALE – SENTENZA N.11087 DEL 28 MARZO 2022.

La Corte di Cassazione – Sezione Penale – sentenza n°11087 del 28 marzo 2022 – ha (ri)confermato, in tema di reato ex art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n°74, che  in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione, deve ritenersi gravante su tutti i consiglieri la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati.

Nel caso de quo, il tribunale del riesame di Firenze aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale della stessa città, a carico di un amministratore, in concorso con gli altri membri del CdA, in quanto indagato per il reato cui all'articolo 110 c.p. (id: Concorso di persone nel reato), Decreto Legislativo n°74 del 2000, articolo 2 (id: Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o  altri  documenti per operazioni inesistenti).

Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto ricorso per cassazione rimarcando la propria condizione soggettiva di titolare della carica di consigliere senza deleghe, evidenziando la non corretta applicazione dell'art. 2392 C.c. (id: Responsabilità verso la società).

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso  ricordando che l'art. 2392 C.c., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all'interno delle S.p.A., dispone che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l'art. 2381 C.c., comma 2.

Occorre perciò distinguere, hanno continuato gli Ermellini, l'ipotesi in cui il CdA operi con o senza deleghe;  deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l'atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondono degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.

Ebbene, nella fattispecie in esame, a nessuno dei consiglieri era stata attribuita alcuna delega.

Per completezza, occorre altresì considerare:

  • che resta in ogni caso salvo il meccanismo di esonero contemplato dal medesimo art. 2392 C.c., comma 3, che prevede l'esternazione e l'annotazione dell'opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa;
  • che permane la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega,  in ordine all'andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative che pone su costoro, in presenza di segnali di allarme, l'onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell'atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
     Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 25 Aprile 2022