7 Maggio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

IL SOCIO ACCOMANDATARIO E' TENUTO A VERSARE LA CONTRIBUZIONE INPS SOLO NEL CASO IN CUI ESERCITI L'ATTIVITA' IN MODO ABITUALE E PREVALENTE.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 10087 DEL 24 APRILE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 10087 del 24 aprile 2018, ha statuito che la contribuzione obbligatoria INPS inerente la Gestione “Commercianti” è dovuta dal socio accomandatario solo qualora lo stesso eserciti l'attività oggetto di assicurazione in modo abituale e prevalente.

Nel caso de quo, il socio accomandatario di un s.a.s. veniva iscritto dal nostro maggiore Istituto di previdenza nella apposita Gestione “Commercianti” ed allo stesso venivano richiesti, conseguentemente, i relativi contributi previdenziali.

I Giudici di I° grado, aditi dal contribuente, annullavano l'iscrizione e la richiesta di pagamento della relativa contribuzione.

La Corte territoriale, chiamata dall'INPS per dirimere la querelle, ribaltava il deliberato di prime cure affermando che il socio accomandatario delle società in accomandita semplice, essendo l'unico soggetto abilitato a compiere atti in nome della società stessa, va considerato abitualmente e prevalentemente dedito alla gestione della s.a.s..

Inevitabile il ricorso in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare nuovamente il decisum, hanno evidenziato che affinché il socio accomandatario di una società in accomandita semplice possa essere legittimamente iscritto alla Gestione “Commercianti” istituita presso l’INPS è necessario che lo stesso svolga realmente attività in modo abituale e prevalente per la società stessa dovendosi escludere, aprioristicamente, una presunzione assoluta in tal senso.

Pertanto, atteso che nel caso di specie l'INPS non aveva fornito prova dello svolgimento in modo abituale e prevalente di attività commerciale da parte del socio accomandatario, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo deliberato in subiecta materia.

 

LA VALUTAZIONE SULLA LEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA RICHIEDE UN NECESSARIO GIUDIZIO DI COMPARAZIONE DELLE CONDOTTE DEL DATORE DI LAVORO E DEL LAVORATORE ALLA STREGUA DEI CANONI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9339 DEL 16 APRILE 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 9339 del 16 aprile 2018, in tema di licenziamento per giusta causa per assenza ingiustificata, ha osservato che non è sufficiente applicare le fattispecie sanzionatorie contenute in seno al Ccnl, ma è compito del giudice considerare l'incidenza, sotto il profilo del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, della condotta datoriale.

Nel caso in specie, un lavoratore aveva avanzato domanda di ferie per tre giorni, motivata da gravi esigenze familiari cui aveva fatto seguito, dopo qualche giorno, il decesso del proprio padre; nel silenzio del datore di lavoro il dipendente si era assentato senza specifica autorizzazione e pertanto era stato licenziato per giusta causa, determinata da assenza ingiustificata protrattasi per oltre tre giorni.

La Corte d’appello di Palermo aveva confermato la validità del licenziamento, sul presupposto che il lavoratore avesse superato i tre giorni di assenza ingiustificata previsti dal Ccnl per l’intimazione della sanzione espulsiva. 

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso,  stabilendo che le clausole della contrattazione collettiva che prevedono per specifiche inadempienze del lavoratore la sanzione del licenziamento per giusta causa, non esimono il giudice dall'obbligo di accertare in concreto la reale entità e gravità delle infrazioni addebitate al dipendente, nonché il rapporto di proporzionalità tra sanzione e infrazione, tenendo conto delle circostanze del caso concreto e della portata oggettiva della condotta.

Pertanto, hanno continuato gli Ermellini, nel caso in specie, il giudice di appello ha omesso di valutare l'incidenza, sotto il profilo del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, della condotta di parte datoriale. Quest'ultima, infatti, aveva omesso dapprima di fornire riscontro alla richiesta avanzata dal dipendente di un periodo di ferie e, successivamente, aveva proceduto alla formalizzazione del licenziamento proprio allo scadere dell'assenza ritenuta ingiustificata senza, per altro, farla precedere da alcun richiamo (anche volto a rendere edotto il lavoratore), sebbene fosse a conoscenza del grave lutto cui il lavoratore era stato colpito.

 

LA PRESENZA DI COMPENSI A COLLABORATORI ESTERNI, PER PRESTAZIONI INERENTI L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE, NON OBBLIGA IL PROFESSIONISTA AL VERSAMENTO DELL’IRAP.
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 9431 DEL 17 APRILE 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 9431 del 17 aprile 2018, ha statuito che non è soggetto passivo IRAP il professionista che, nell’esercizio della propria attività professionale, si avvalga della collaborazione di collaboratori esterni il cui apporto lavorativo non risulti determinante ai fini dello svolgimento dell’attività professionale, tale da poter far desumere la sussistenza del presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione.

Nel caso in specie, l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto ad emettere a carico di un professionista avvisi di accertamento per mancato pagamento IRAP per alcuni anni d’imposta.

Il professionista ricorreva prontamente alla giustizia tributaria, risultando soccombente in entrambi i giudizi di merito. In particolare la C.t.r. respingeva l’appello del professionista ritenendo sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, per la presenza in contabilità di costi e compensi per prestazioni fornite da collaboratori esterni.

Da qui il ricorso per Cassazione del professionista che tra i motivi di gravame deduceva violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/97, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avevano ritenuto sussistere il requisito dell’autonoma organizzazione, dall’ammontare dei costi (anche in rapporto all’ammontare dei compensi) e dalla presenza di prestazioni fornite da terzi senza verificarne in concreto natura e finalità.  

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour con la sentenza de qua hanno accolto in toto il ricorso del professionista ricordando i seguenti principi di legittimità:

Ø  il requisito della autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all'esercizio dell'attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l'impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Cass. Sez. U. n. 5491/2016);

Ø  l'elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese non è indice di autonoma organizzazione ai fini dell’IRAP (Cass. n. 23557/2016), come neppure le spese per beni strumentali (Cass. n. 23552/2016, Cass. n. 25831/2016).

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, i Giudici d’appello hanno erroneamente ritenuto determinante la presenza e l’ammontare dei compensi a terzi per prestazioni inerenti all’attività professionale del contribuente, senza un esame del concreto apporto di tali prestazioni all’effettivo svolgimento dell’attività del contribuente, senza cioè, verificare se il coinvolgimento di tali professionalità, fosse o meno estraneo al bagaglio professionale del contribuente (Cass. ord. n. 1820/2017); inoltre, i medesimi giudici d’appello non hanno indicato da dove avessero tratto il convincimento che tali apporti fossero non occasionali.

 

L’ISCRIZIONE A RUOLO DEL BOLLO AUTO NON MUTA IL TERMINE ORIGINALE DI PRESCRIZIONE
CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA –  ORDINANZA N. 20415 DEL 25 AGOSTO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 20415 del 25 agosto 2017, ribadendo ancora una volta il proprio principio sancito nel 2016, ha statuito che la prescrizione del bollo auto si realizza alla fine del terzo anno successivo a quello in cui era dovuto il pagamento, ancorché a seguito di notifica di cartella di pagamento da parte di Equitalia, in quanto l'atto che non comporta automaticamente la trasformazione del termine breve di tre anni a quello ordinario di 10 anni, pur se non viene impugnato dal contribuente.

Nel caso di specie, gli Ermellini, hanno rigettato in toto le doglianze di Equitalia Sud Spa avallando le ragioni di una contribuente destinataria di un avviso di intimazione di pagamento per la tassa automobilistica relativa all'anno 2001, ritenendo prescritto il diritto alla riscossione del tributo richiesto.

Nello specifico, la controversia verteva sulla determinazione del termine di prescrizione del tributo, la cui disciplina è contenuta nell’art. 5, c. 51, DL 30 dicembre 1982, n. 953, che, in seguito alle modifiche apportate dall’art. 3, DL 6 gennaio 1986, n. 2, prevede che il diritto al pagamento del tributo si prescriva con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento.

I Giudici di Piazza Cavour, con l’ordinanza de qua, sulla scorta di quanto sancito dalle Sezioni Unite della stessa Corte, hanno riaffermato che il termine prescrizionale della tassa automobilistica ha una durata triennale che decorre da quando il pagamento sarebbe dovuto essere effettuato e che l’iscrizione a ruolo susseguente del tributo non è atto idoneo a mutare il termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 C.C., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.

In nuce, per la S.C., “il principio di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la cosiddetta conversione del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi del citato art. 2953 c.c.”

 

UN PRECEDENTE LICENZIAMENTO VIZIATO NON PREGIUDICA LA POSSIBILITA’ DI UN NUOVO LICENZIAMENTO
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9902 DEL 20 APRILE 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 9902 del 20 aprile 2018, ha confermato il secondo licenziamento disciplinare comminato al lavoratore, ritenendo il lasso di tempo trascorso tra il primo ed il secondo non inficiante l’efficacia del provvedimento di espulsione.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Roma, in riforma del Tribunale di Roma, dichiarava legittimo il recesso datoriale. I Giudici dell’appello ritenevano, infatti, il lasso di tempo fra il primo ed il secondo licenziamento -pari a soli due mesi e mezzo- sufficiente ad escludere una implicita rinuncia datoriale all’azione, ritenendo dunque il secondo provvedimento non viziato. 

Nei fatti, la società comminava un licenziamento, sulla base di un rapporto informativo dell’agenzia investigativa, ritenuto viziato e pertanto provvedeva alla reintegra del lavoratore. Ma in base alle prove testimoniali raccolte, era emerso che l’informatore scientifico in due giorni in cui aveva dichiarato di svolgere attività presso i medici in realtà non si era mai allontanato da casa.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei giudici di merito, si sono soffermati sul principio di tempestività della contestazione, chiarendo che pur in presenza di un reiterato licenziamento non sussiste alcuna concreta tardività, ritenendo due mesi e mezzo un tempo limitato, e di converso non sufficiente ad incidere negativamente sull’esito del provvedimento.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 7 Maggio 2018