20 Maggio 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI APRILE 2019

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Aprile 2019. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Aprile 2019 è pari a 0,867287 e l’indice Istat è 102,60.

 

LE DIFFICOLTA' ESPRESSE DAL LAVORATORE NELL'ASSUNZIONE DI UN NUOVO INCARICO NON INTEGRANO LA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 11539 DEL 2 MAGGIO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 11539 del 2 maggio 2019, ha statuito che l'invio di una comunicazione ai propri superiori con la quale si esprimono le difficoltà insite in un nuovo incarico, senza l'utilizzo di espressioni irriverenti, non può costituire giusta causa di licenziamento.

Nel caso de quo, il Tribunale di Milano aveva respinto il gravame presentato da una società datrice in ordine alla sentenza del Tribunale della stessa città che, accogliendo il ricorso di un lavoratore, quadro direttivo, aveva escluso la sussistenza di fatti contestatigli ed accertato la illegittimità del licenziamento disciplinare comminato.

Per la Corte di merito, gli addebiti rivolti al lavoratore, consistenti nell'invio di una polemica e irrispettosa lettera a cinque superiori prima della formalizzazione del nuovo incarico affidato per un progetto da svolgere in Ungheria, nonché nelle doglianze espresse durante tutta la fase preliminare della missione, non potevano ritenersi sussistenti tanto in termini di giusta causa che di giustificato motivo soggettivo.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice duolendosi dell'operato della Corte territoriale che aveva errato nel parcellizzare i fatti addebitati i quali, se considerati nella loro unitarietà, avrebbero denotato un persistente ostruzionismo e la mancanza di volontà alla collaborazione da parte del lavoratore.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Gli Ermellini hanno evidenziato che diversamente da quanto denunciato dalla società ricorrente, la sentenza impugnata non ha effettuato una parcellizzazione dei vari addebiti mossi al ricorrente, così da sottrarsi ad una valutazione necessariamente anche complessiva della loro rilevanza disciplinare.

Deve invero preliminarmente rilevarsi, hanno continuato gli Ermellini, che nell'ipotesi in cui il licenziamento per giusta causa venga intimato a fronte di più condotte inadempienti addebitate, non necessariamente l'esistenza della giusta causa deve essere ritenuta solo con riferimento al complesso dei fatti contestati, potendo ciascuno di essi essere idoneo a giustificare la massima sanzione espulsiva. E allo stesso tempo il Giudice, sebbene debba esaminare le condotte contestate non "atomisticamente" ma con riferimento anche alla concatenazione tra tutte, ha altresì l'obbligo di valutare la valenza disciplinare di ogni singola inadempienza sia pure nel contesto complessivo della contestazione.

Tale operazione ha effettuato la Corte di merito, hanno concluso gli Ermellini, esaminando come era suo onere tutti i comportamenti addebitati e valutandoli successivamente nel contesto consequenziale di cui alla lettera di contestazione. Pertanto, la Corte territoriale ha correttamente osservato che i comportamenti contestati non avessero alcun carattere di grave inadempimento, tale da giustificare l'adozione della massima sanzione espulsiva.

 

NON E’ SOGGETTO AL VERSAMENTO DELL’IRAP IL PROFESSIONISTA CHE PER L’ESERCIZIO DELLA PROPRIA ATTIVITA’PROFESSIONALE EROGA ELEVATI COMPENSI A TERZI PER PRESTAZIONI NON FUNZIONALI ALL’ATTIVITA’ PROFESSIONALE PROPRIA.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 10977 DEL 18 APRILE 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 10977 del 18 aprile 2019, ha statuito che non è soggetto all’ Irap il geometra che corrisponde elevati compensi a terzi se questi non abbiano attinenza diretta con l’attività professionale propria.

Nel caso in specie, un geometra aveva fatto ricorso alla giustizia tributaria contro il diniego alla propria istanza di rimborso IRAP per gli anni di imposta dal 2009 al 2012, risultando però soccombente in entrambi i gradi di giudizio di merito, da qui il ricorso per Cassazione.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour in premessa ricordano il principio giurisprudenziale secondo il quale “in tema di IRAP, l'impiego non occasionale di lavoro altrui, rende configurabile l’esistenza dell’autonoma organizzazione, solo se il professionista eroga elevati compensi a terzi per prestazioni afferenti l'esercizio della propria attività, restando indifferente il mezzo giuridico utilizzato”. 

Ne consegue, hanno proseguito gli Ermellini, che quella dei compensi erogati a terzi è indice di assoggettamento ad IRAP del professionista solo ove risulti accertato che quelli siano serviti per compensare attività strettamente connesse a quella oggetto della professione svolta dal contribuente, e comunque tale da potenziarne ed accrescerne l'attività produttiva (che, ad esempio, nel caso in specie, potrebbe configurarsi là dove si accertasse l'erogazione di compensi a studi tecnici esterni per la realizzazione degli incarichi affidati dai clienti al geometra), non invece quando dette spese, ancorché elevate, siano state sostenute per compensare terzi per attività afferenti ad altri ambiti (ad esempio, quelle corrisposte per consulenze professionali di commercialisti ed avvocati, per attività meramente materiali di copie di disegni tecnici, ecc.), non funzionali allo sviluppo della produttività e non correlato all'implementazione dell'aspetto organizzativo (Cass n. 23557/2016).

Per le suddette considerazioni i Giudici nomofilattici hanno accolto il ricorso, ritenendo la sentenza d’appello della C.T.R. inadeguata e incompleta per il fatto di non aver compiuto un'analisi critica della consistenza di elementi idonei a comprovare l'utilizzo di una organizzazione autonoma, cioè valutato, in base ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, che le spese elevate per compensi a terzi avessero o meno attinenza con l’attività professionale del ricorrente.

 

LE SPESE DI RISTRUTTURAZIONE DELLO STUDIO PROFESSIONALE SONO DEDUCIBILI ANCHE QUANDO L’IMMOBILE NON È DI PROPRIETA’ MA E’ IN COMODATO O IN LOCAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 11907 DEL 7 MAGGIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 11907 del 7 maggio 2019, ha statuito che le spese di ristrutturazione dello studio professionale sono sempre deducibili anche quando l’immobile non è di proprietà ma è in comodato o in locazione.

Nel caso in specie a carico di una professionista l’Agenzia delle Entrate emetteva avviso d’accertamento procedendo a recuperare a tassazione l’importo del costo dedotto per spese di ristrutturazione del proprio studio professionale, che deteneva in comodato gratuito essendo di proprietà del coniuge.

La professionista provvedeva prontamene ad impugnare l’atto dinanzi alla giustizia tributaria risultando però soccombente in entrambi i gradi di giudizio di merito. In particolare la C.T.R. nel confermare il verdetto della C.T.P., riteneva che fosse circostanza impeditiva al riconoscimento della deducibilità del costo il fatto che l’immobile in questione fosse di proprietà del coniuge e non della contribuente, che lo deteneva in comodato d’uso.

Da qui il ricorso in Cassazione da parte della professionista.

Orbene, con la sentenza de qua i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto in toto il ricorso ricordando che “in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 75 (ora art. 109) del DPR n. 917/1986, sono deducibili le spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile utilizzato per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e ad essa strumentale, senza che possa essere considerata ragione ostativa la circostanza che il predetto cespite non sia di proprietà dell’impresa, ma da essa condotto in locazione, e dunque rilevando che i costi per la ristrutturazione siano sostenuti al fine della realizzazione del miglior esercizio dell’attività imprenditoriale e dell’aumento della redditività e risultino dalla documentazione contabile” (cfr. Cass n. 1788/2017).

In nuce, gli Ermellini hanno esteso questo principio generale anche all'attività professionale e non solo in caso di locazione ma pure in caso di comodato.

 

LEGITTIMO L’ACCERTAMENTO QUANDO GLI ACQUISTI CONTENUTI IN UN ATTO NOTARILE SONO SPROPORZIONATI RISPETTO AL REDDITO DICHIARATO, A MENO CHE IL CONTRIBUENTE NON RIESCA A DIMOSTRARE CHE L’INVESTIMENTO È SOLO SIMULATO.

CORTE DI CASSAZIONE –  SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 11675 DEL 3 MAGGIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 11675 del 3 maggio 2019, ha statuito che è pienamente legittimo l'accertamento basato sugli acquisti contenuti in un atto notarile sproporzionati rispetto al reddito dichiarato, a meno che il contribuente non riesca a dimostrare che l'investimento è solo simulato.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, ribaltando il verdetto dei Giudici Territoriali, hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate nei confronti di una contribuente alla quale era stato notificato un atto impositivo per la maggiore Irpef in quanto risultava da un atto notarile l'acquisto di quote di una SRL sproporzionato rispetto al reddito dichiarato. La difesa della contribuente era incentrata sul fatto che la compravendita era solo simulata, per cui la spesa non era mai stata sostenuta, e che la scrittura cui esso si riferiva era stata redatta per neutralizzare gli effetti di altra scrittura precedente di cessione di tali quote da parte della contribuente, anch’essa simulata, in vista di un’operazione di finanziamento presso una banca, poi non perfezionatasi.

In nuce, con l’ordinanza de qua, la S.C. ha ribadito che la simulazione dev'essere sempre provata, infatti in materia di accertamento dell'imposta sui redditi e al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, la sottoscrizione di un atto notarile contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all'applicazione di presunzioni semplici, che l'ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l'accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l'atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente.

 

L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PUÒ CONSIDERARE RICAVI IN NERO I BONIFICI DALL’ESTERO SUL CONTO CORRENTE BANCARIO DEL CONTRIBUENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA N. 11810 DEL 6 MAGGIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 11810 del 6 maggio 2019, ha statuito che il fisco può considerare ricavi in nero i bonifici dall'estero sul conto corrente bancario del contribuente, e spetta poi a quest'ultimo giustificare l'elargizione in denaro ricevuta.

Nel caso di specie, gli Ermellini, ribaltando in toto il decisum dei Giudici Territoriali, hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate per un accertamento nei confronti di una cittadina straniera che aveva ricevuto bonifici dall'estero con la causale “investimenti in beni e diritti immobiliari” senza poterli giustificare, e che sosteneva spettasse all'Amministrazione Finanziaria l’onere di provare come i bonifici fossero ricavi in nero.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di piazza Cavour hanno ricordato che “qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente”, ed inoltre, la presunzione di cui all'art. 32, D.P.R. n.600/1973 ha natura legale e, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c., previsti, invece, per le presunzioni semplici.

In nuce, per la S.C., l'Agenzia delle Entrate, fornendo la prova che sul conto corrente della straniera erano affluite ingenti somme per accreditamenti bancari dall'estero, aveva già dimostrato, in via presuntiva, la disponibilità in capo alla contribuente di maggiori redditi tassabili, per cui spettava a quest'ultima, sulla base di una prova, non generica ma analitica per ogni versamento bancario, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non erano riferibili a operazioni imponibili e, pertanto, privi di rilevanza fiscale.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 20 Maggio 2019