3 Giugno 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LEGITTIMA LA RICHIESTA DI FRUIZIONE DELLE FERIE DA PARTE DEL DIPENDENTE ALLO SCOPO DI INTERROMPERE IL PERIODO DI COMPORTO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 10725 DEL 17 APRILE 2019.
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 10725 del 17 aprile 2019, ha statuito che nell'imminenza del superamento del periodo di comporto è esclusa l'incompatibilità tra ferie e malattia.Nella vicenda in esame, la Corte d'appello di Milano rigettava l'appello proposto da una società datrice avverso la sentenza del Tribunale di Pavia che aveva accertato l'illegittimità del licenziamento intimato ad una lavoratrice, per violazione del periodo di comporto e condannato la società datrice al pagamento, tra le altre, di una somma per indennità da licenziamento illegittimo.
In particolare, la società datrice aveva disatteso, senza specifica motivazione, la richiesta della lavoratrice, a ridosso della maturazione del periodo di comporto per malattia, tesa alla fruizione di un periodo di ferie che, di fatto, avrebbe scongiurato il pericolo del licenziamento puntualmente intimato.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice eccependo l'erronea interpretazione della normativa enunciata dalla Corte territoriale, in contrasto con il principio della tendenziale non convertibilità della malattia in ferie.
Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso. All'uopo, gli Ermellini hanno evidenziato che secondo consolidati principi di diritto, il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa: in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede; è tuttavia necessario che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive e che il lavoratore debba comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro gli possa concedere di beneficiarne durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro. In particolare, hanno continuato gli Ermellini, la richiesta deve contenere l'indicazione del momento a decorrere dal quale egli intende ottenere la conversione del titolo dell'assenza, che deve precedere la scadenza del periodo di comporto, dato che al momento di detta scadenza il datore di lavoro acquisisce il diritto di recedere ai sensi dell'articolo 2110 c.c..
In tali casi, hanno concluso gli Ermellini, si deve escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia, perché non sarebbe costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento, posto che si renderebbe altrimenti impossibile l'effettiva fruizione delle ferie.


IL LAVORATORE PUÒ ESSERE REINTEGRATO SE IL FATTO MATERIALE NON È GRAVE E, QUINDI, NON HA RILEVANZA DISCIPLINARE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12174 DELL’8 MAGGIO 2019
La Corte di Cassazione, sentenza n° 12174 dell’8 maggio 2019, si è pronunciata sull’interpretazione del “fatto materiale” che causa il licenziamento disciplinare del lavoratore, ex art. 3, co. 2, D.lgs. n. 23/2015.
In particolare, il Tribunale di Genova dichiarava illegittimo il licenziamento di una lavoratrice che si era allontanata senza autorizzazione dal posto di lavoro e, applicando il D.lgs. n. 23/2015, condannava il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria.
La lavoratrice impugnava la sentenza chiedendo la reintegra nel posto di lavoro per l’insussistenza del fatto contestato, ma la Corte d’appello confermava la decisione di primo grado, dichiarando, conformemente all’art. 3, D.lgs. n. 23/2015, che il fatto materiale si era effettivamente verificato ma non era di una gravità tale da giustificare il licenziamento.
Da qui il ricorso della lavoratrice alla Corte di cassazione.
Giova ricordate che il D.lgs. n. 23/2015, nel modificare l’originaria formulazione della disciplina di cui all’art. 18 comma 4 della legge n. 300/1970, ha previsto che il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro qualora venga dichiarata l’insussistenza del fatto “materiale” contestato, ovvero un fatto che si sia materialmente verificato.
Gli Ermellini, interpretando la predetta norma, hanno dichiarato che un fatto, pur materialmente accaduto, può essere considerato come insussistente qualora non abbia rilievo disciplinare e, pertanto, hanno cassato la sentenza rinviandola alla Corte di appello enunciando il seguente principio di diritto: "Ai fini della pronuncia di cui all'art. 3, co. 2, D.lgs. n. 23/2015, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, non comprende soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare".

LE RINUNCE AVENTI AD OGGETTO DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO CONTENUTE IN VERBALI DI CONCILIAZIONE CONCLUSI IN SEDE SINDACALE, NON SONO IMPUGNABILI A CONDIZIONE CHE L’ASSISTENZA PRESTATA DAI RAPPRESENTANTI SINDACALI SIA STATA EFFETTIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 9006 DEL 1° APRILE 2019
La Corte di Cassazione, sentenza n° 9006 del  1° aprile 2019 ha statuito che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva.
Nel caso in specie un lavoratore (un agente di commercio) aveva citato in giudizio il proprio datore di lavoro al fine di ottenere la declaratoria di nullità o l’annullamento del verbale sottoscritto in sede sindacale, lamentando fosse affetto da vizi.
In primo grado, il Tribunale respingeva la domanda ritenendo che l'accordo transattivo fosse esente da vizi sia dal punto di vista della rituale partecipazione del rappresentante sindacale, sia sul piano della asserita violenza morale che il datore di lavoro avrebbe esercitato minacciando il recesso dal contratto di agenzia. Anche in secondo grado la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado, ritenendo che l'accordo stipulato tra le parti rispondesse in tutto e per tutto ai requisiti di validità ed efficacia dettati dalla figura tipica del negozio transattivo.
Da qui il ricorso per Cassazione da parte del lavoratore.
Orbene, con la sentenza de qua gli Ermellini nel ritenere infondate le deduzioni del ricorrente, hanno confermato la sentenza di merito chiarendo, rifacendosi ad una precedente pronuncia di legittimità (Cass. n. 24024/2013), che “le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali – della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale – sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 cod. civ.”.
Infine i Giudici di Piazza Cavour nell’esporre le motivazioni dell’infondatezza dei motivi proposti dal ricorrente hanno ricordato, che “l'art. 1970 c.c. prevede che la transazione non possa essere rescissa per causa di lesione in quanto la determinazione dei reciproci sacrifici e dei vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, poiché è rimessa all'autonomia negoziale delle parti. Il giudice, pertanto, deve accertare la reale volontà negoziale delle parti e non valutarne la congruità delle determinazioni rispetto alle reciproche concessioni”.
Per le suddette motivazioni i Giudici delle Leggi hanno affermato che l’accordo conciliativo è da considerarsi esente da vizi quando il verbale, sottoscritto in sede sindacale, contiene tutti gli elementi essenziali richiesti dalla legge ed è stata accertata e verificata la comune volontà negoziale delle parti. Di conseguenza se il rappresentante dei lavoratori in sede di conciliazione sindacale illustra i diritti a cui il lavoratore sta rinunciando e le perdite che ne potranno derivare e quindi il lavoratore è pienamente conscio di ciò che sta firmando, la conciliazione è efficace e non può essere impugnata ed a nulla rileva se c’è una sproporzione tra le concessioni reciprocamente fatte tra le parti.

LE SANZIONI TRIBUTARIE IRROGATE AD UNA SRL UNIPERSONALE POSSONO ESSERE RICHIESTE DIRETTAMENTE ALL’AMMINISTRATORE E SOCIO UNICO, IL QUALE RISPONDE PERSONALMENTE E ILLIMITATAMENTE

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 12334 DEL 9 MAGGIO 2019
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 12334 del 9 maggio 2019, ha statuito che in una SRL unipersonale, in cui unico socio e amministratore siano la stessa persona, le sanzioni tributarie irrogate alla società possono essere richieste direttamente all'amministratore e socio unico, che ne risponde personalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio.
Il caso di specie riguarda il ricorso di un contribuente avverso alcuni avvisi di accertamento notificatigli, in qualità di legale rappresentante e socio unico di una srl unipersonale, aventi ad oggetto dei recuperi fiscali per Ires, Irap e Iva degli anni d'imposta 2004 e 2005. L'Agenzia delle Entrate, nell’atto de quo, individuava la persona fisica come responsabile in solido con la società per le sanzioni tributarie, qualificando il soggetto destinatario dell’accertamento come autore materiale delle violazioni.
Le doglianze del contribuente vertevano principalmente sulla richiesta personale vantata nei suoi confronti quale socio unico e amministratore, invocando la disciplina recata dall'art. 7 del DL n.269/2003, in base alla quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno inteso disapplicare la regola speciale, secondo cui le sanzioni tributarie irrogate a carico di società sono esclusivamente a carico della persona giuridica, ed a ripristinare la regola generale prevista dall’art.2 del Dlgs n.472/1997, la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione, nel caso in cui gli interessi della società coincidano, di fatto, con quelli della persona fisica che sia socio unico e amministratore della unipersonale.
In nuce, per la S.C., deve avvenire una valutazione sostanziale sull'effettivo beneficiario delle violazioni commesse, solo così vi può essere l'applicazione della norma di eccezione introdotta dal citato art.7, il quale presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell'interesse ed a beneficio della società rappresentata o amministrata e la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l'autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico. Ex adverso, nel caso in cui il beneficio effettivo delle violazioni possa individuarsi in capo alla persona fisica che abbia materialmente agito, cosa abbastanza evidente nel caso di società unipersonale con identico amministratore e socio unico, deve disapplicarsi la regola portata dall'art.7 in parola, ripristinando la disciplina generale prevista nel Testo Unico che regola le sanzioni tributarie e riportata nell’art. 2, c.2, del Dlgs n.472/1997, secondo cui la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione.

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO, ANCORCHE’ RICLASSIFICATO PER GIUSTIFICATO MOTIVO, DEL LAVORATORE CHE NON RISPETTA LE PROCEDURE AZIENDALI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA   N. 13023 DEL 15 MAGGIO 2019.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 13023 del 15 maggio 2019, ha statuito che è legittimo il licenziamento basato sul mancato rispetto di procedure aziendali i cui provvedimenti discendono da disposizioni del CCNL di riferimento.
La Corte d’Appello di Roma, a parziale riforma del Tribunale di Roma, derubricava il licenziamento per giusta causa, del ricorrente, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo con diritto al preavviso. I fatti in commento riguardavano un dipendente che non si era attenuto alle disposizioni aziendali (non effettuazione cambio contatore e manutenzione su condotta inesistente), le cui conseguenze avevano portato al suo licenziamento come previsto dalle misure espulsive del contratto di riferimento.
Orbene, gli Ermellini, nel confermare il ragionamento logico giuridico dei giudici di merito, hanno precisato che i giudici dell’appello hanno correttamente ricondotto il fatto a quella fattispecie che prevede il licenziamento con preavviso. Inoltre, la società aveva dimostrato di aver regolarmente assolto al proprio obbligo di “pubblicità” del codice disciplinare, tramite internet, benché nessun obbligo sussistesse nella fattispecie atteso che le condotte accertate si ponevano in violazione di obblighi di Legge.
In conclusione, verificata la sussistenza del fatto contestato nonché la sussunzione della condotta accertata alla fattispecie sanzionata, i Supremi Giudici hanno confermato il provvedimento di recesso con diritto all’indennità di mancato preavviso. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.
Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio,  Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.
Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 3 Giugno 2019