17 Giugno 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

IN TEMA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA QUANDO SIANO CONTESTATI VARI EPISODI SUL PIANO DISCIPLINARE, OCCORRE VALUTARE COMPLESSIVAMENTE LA LORO INCIDENZA SUL RAPPORTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13024 DEL 15 MAGGIO 2019.
La Corte di Cassazione, sentenza n° 13024 del 15 maggio 2019, ha (ri)affermato che, in tema di licenziamento per giusta causa, comminato a seguito di una pluralità di episodi oggetto di contestazione disciplinare, la valutazione debba contemplare la complessità dei fatti addebitati escludendo ogni possibile parcellizzazione degli stessi.
Nel caso in esame, una Casa di Cura intimava un provvedimento di licenziamento disciplinare ad un dirigente medico in servizio presso il Reparto di otorinolaringoiatria relativamente alle condotte professionali, caratterizzate da gravi forme di negligenza, commissive ed omissive, attuate durante la gestione operativa e post-operatoria di un paziente.
In particolare, con due contestazioni disciplinari era stato incolpato, in sintesi, di avere dato corso all'intervento chirurgico oltre il suo orario di lavoro, impegnando la sala operatoria senza ottenere in proposito autorizzazioni; di avere omesso l'immediato avvio ad una TAC finalizzata a verificare gli effetti di una complicanza verificatasi durante l'intervento; di non avere adeguatamente dettagliato l'evento verificatosi sia al medico subentratogli per il presidio notturno che al proprio responsabile di turno.
Il Tribunale di Milano rigettava la domanda volta alla declaratoria di illegittimità del recesso.
La Corte di appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, annullava il licenziamento e condannava la Casa di Cura alla immediata reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro ricoperto al momento del recesso e alla corresponsione di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la società datrice contestando l'operato della Corte d'appello che aveva esaminato in modo parcellizzato i singoli episodi, svalutandone in tal modo oggettivamente il giudizio di gravità.
Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo che in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, quando vengono contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice del merito non deve esaminarli atomisticamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma deve valutare complessivamente la loro incidenza sul rapporto di lavoro.
Nel caso in esame, hanno rimarcato gli Ermellini, il modus procedendi della Corte territoriale è da ritenersi corretto. Invero, i giudici di seconde cure hanno proceduto ad una disamina progressiva, sotto il profilo cronologico, della condotta, desumendo una rilevanza astrattamente disciplinare solo per la omessa dovuta informativa alla superiore figura professionale del responsabile, sebbene ne abbiano poi escluso l'antigiuridicità per mancanza di volontà colpevole.
La valutazione, pertanto, non è stata atomistica ma sommatoria e complessiva di singole entità che non tutte, però, si sono rivelate disciplinarmente rilevanti e, comunque, considerate unitariamente, inidonee a rendere sussistente la condotta incolpata e a ledere il vincolo fiduciario.

 

LA PARTECIPAZIONE DEL PARTNER CONFIGURA UNA PICCOLA IMPRESA FAMILIARE E DUNQUE UN’AUTONOMA ORGANIZZAZIONE SOGGETTA ALL’IRAP.

CORTE DI CASSAZIONE  –  SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA  N. 15217 DEL 4 GIUGNO 2019
La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 15217 del 4 giugno 2019, ha statuito che è tenuto al versamento dell'Irap l'autonomo che riceve supporto dal coniuge per la sua attività in quanto tale partecipazione del partner configura una piccola impresa familiare e dunque un'autonoma organizzazione.
Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, ribaltando in toto il verdetto della Commissione tributaria regionale di Bologna, hanno accolto il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate contro un agente di commercio aiutato nella sua attività dalla moglie che svolgeva il ruolo di segretaria, un elemento, questo, ritenuto irrilevante per i Giudici Territoriali ai fini dell'autonoma organizzazione.
Ex adverso, con l’ordinanza de qua, il Collegio di Legittimità ha ricordato come in tema di IRAP, afferendo essa allo svolgimento di un'attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi, ne è soggetto passivo anche l'imprenditore familiare, mentre non lo sono i familiari collaboratori, cui viene imputato, a determinate condizioni e proporzionalmente alla rispettive quote di partecipazione, il reddito derivante dall'impresa familiare, colpendo tale imposta il valore della produzione netta dell'impresa ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.
In nuce, la S.C. ritenendo così configurata l’autonoma organizzazione, ha accolto nel merito il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria precludendo il rimborso richiesto dall'agente di commercio, che oltre a non incassare l'IRAP già versata, dovrà anche sostenere per intero le spese del giudizio di fronte al Collegio di Legittimità e per metà quelle del procedimento di merito.

 

LA REINTEGRAZIONE VA APPLICATA SOLO SE IL FATTO COMMESSO RIENTRA TRA LE FATTISPECIE PER LE QUALI E’ APPLICABILE UNA SOLA SANZIONE CONSERVATIVA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12786   DEL 14 MAGGIO 2019.
La Corte di cassazione, ordinanza n° 12786 del 14 maggio 2019, ha statuito che la reintegra nel posto di lavoro è prevista nelle sole ipotesi in cui il fatto contestato sia contemplato dal contratto di riferimento fra le ipotesi di sanzioni conservative.Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore e condannava la società alla reintegra nel posto di lavoro con annessa indennità risarcitoria commisurata e relativo versamento contributivo.
I fatti avvenuti riguardavano una guardia giurata che durante l’orario di lavoro, ed in presenza di terzi, attesa la delicatezza del compito rivestito, dopo diversi tentativi di mettersi in contatto con la sede centrale senza alcuna effettiva urgenza inveiva contro il collega che aveva risposto al telefono ed aggiungeva dichiarazioni ingiuriose nei confronti dell’azienda, il tutto perché aveva smarrito la C.U. e necessitava di una copia.
Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini hanno precisato che la frase pronunciata dal lavoratore, pur se di indubbia volgarità, non è tale da arrecare pregiudizio alla società essendo priva di attribuzioni specifiche e manifestamente disonorevoli, dunque, il licenziamento a parere della suprema corte è da ritenersi sproporzionato, pur sussistendo il fatto materiale. La reintegra nel posto di lavoro è infatti prevista in via residuale nelle ipotesi in cui la condotta sia punita con misura conservativa dal contratto collettivo di riferimento, in mancanza di ciò pur sussistendo una sproporzione nella sanzione il licenziamento deve essere solo oggetto di risarcimento.

 

LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO DIFFERENZIALE DEVE AVVENIRE APPLICANDO IL CRITERIO PER VOCI DISTINTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 13645 DEL 21 MAGGIO 2019
La Corte di cassazione, sentenza n° 13645 del 21 maggio 2019, ha statuito che nella liquidazione del danno differenziale non può essere sottratto quanto corrisposto dall’Inail a titolo di invalidità giornaliera.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, a cui aveva fatto ricorso un lavoratore, riconosceva, in favore del danneggiato, il risarcimento delle lesioni riportate durante l’esecuzione di alcuni lavori in una galleria in costruzione.
Anche in appello la sentenza trovava conferma, specie nella parte in cui accertava la responsabilità della società per mancanza di adeguate protezioni, avuto riguardo alla situazione dei luoghi.
In ordine, poi, alla liquidazione del c.d. danno differenziale, la Corte di Appello aveva proceduto prendendo a parametro di riferimento le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, in uso su tutto il territorio nazionale.
Il lavoratore, tuttavia, si rivolgeva alla Cassazione lamentando l’errata applicazione della legge in ordine al calcolo del cd. danno differenziale in quanto la Corte territoriale aveva detratto dall’ammontare del risarcimento complessivamente calcolato, anche l’importo versato dall’INAIL a titolo di indennizzo giornaliero per invalidità temporanea.
I giudici della Suprema Corte, con la sentenza in commento, hanno accolto la tesi sostenuta dal ricorrente, avallando il decisum del merito che testualmente aveva deliberato come di seguito: “….una volta stabilito che, in relazione all’evento lesivo, ricorrono le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124 del 1965, ai fini della determinazione del risarcimento del danno, in sede giudiziale occorrerà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell’applicabilità dell’art. 10, del decreto citato, ossia all’individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (c.d. “danni complementari”), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile. Ove poi siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, il giudice potrà pervenire alla determinazione dell’eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall’INAIL, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo stesso» (Cass. n. 9166 del 2017).
 

IL COMMERCIALISTA CHE ABBIA PRESTATO LA PROPRIA CONSULENZA PROFESSIONALE RISPONDE DEI DANNI AL CLIENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 14387 DEL 27 MAGGIO 2019.
La Corte di Cassazione, ordinanza n° 14387 del 27 maggio 2019, ha statuito che è responsabile il commercialista che, a fronte della richiesta del cliente di indicargli la modalità fiscalmente più vantaggiosa per effettuare un’operazione, gli propone un’unica soluzione, che si rivela poi essere molto più costosa di quanto prospettato.
Nel caso di specie, il sig. M. S. si era avvalso della consulenza di un commercialista per avere un parere sulla maniera fiscalmente più conveniente per uscire da una società. Il costo finale dell’operazione, anziché essere di 83 mila euro così come stimato dal professionista, era stato di 199 mila euro. Pertanto, il cliente aveva chiamato a giudizio il consulente imputandogli di aver subito un danno a causa di una valutazione sbagliata.
Il Tribunale aveva accolto la domanda mentre la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 2224/2017, in riforma della decisione in primo grado, aveva ritenuto che non vi fossero le condizioni atte ad individuare alcuna responsabilità in capo al professionista.
Da qui il ricorso per Cassazione da parte del cliente.
Orbene, gli Ermellini hanno statuito che, quale che sia l’oggetto specifico della prestazione, il professionista ha l’obbligo di completa informazione al cliente e quindi deve prospettargli sia le soluzioni praticabili che quelle di maggior difficoltà di attuazione, così da porlo nelle condizioni di scegliere secondo il suo migliore interesse. Dagli atti, era emerso che l’unica strada suggerita era stata quella del recesso senza considerare l’alternativa della cessione della quota societaria.
I Giudici di Piazza Cavour hanno aggiunto che, trattandosi di un’ipotesi di responsabilità contrattuale ex art. 1218 del c.c., il creditore (cliente) deve solo allegare l’inadempimento, mentre sarà il debitore (consulente), che vuole difendersi, a dover provare che l’inadempimento non c’è stato o che non era a lui imputabile. Nel caso sottoposto alla Cassazione, a fronte dell’allegata divergenza tra carico fiscale stimato dal professionista e somma richiesta dall’Agenzia delle Entrate, il professionista non aveva fornito alcuna prova liberatoria.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio,  Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.
Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Natalia Andreozzi e Francesco Pierro

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Modificato: 17 Giugno 2019