16 Luglio 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

LA CLASSIFICAZIONE AI FINI INAIL DEVE TENER CONTO DEL PROCESSO PRODUTTIVO E NON DEL PRODOTTO FINALE REALIZZATO DALL’AZIENDA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16942 DEL 27 GIUGNO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16942 del 27 giugno 2018, ha statuito che la corretta attribuzione delle voci di tariffa utili per il calcolo del premio dovuto all’INAIL deve essere effettuata valutando attentamente il procedimento produttivo posto in essere dall’azienda ed i macchinari utilizzati avendo rilevanza soltanto residuale la tipologia di prodotto realizzata dal datore di lavoro.

Nel caso in commento, un’azienda operante nel settore della realizzazione delle porte di sicurezza adiva la Magistratura per contestare la voce di tariffa 6215 (inerente l’attività di costruzione di casseforti e serrature) attribuita dall’INAIL in luogo della 6212 (taglio, piegatura e saldatura di laminati).

L’Istituto assicuratore resisteva sostenendo che il prodotto finito realizzato (porte di sicurezza) faceva propendere per la classificazione alla voce di tariffa 6215 (costruzioni di casseforti e serrature).

Soccombente in I° grado, l’azienda ricorreva in Appello trovando pieno soddisfo alle proprie richieste.

L’INAIL ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nell’avallare in toto il decisum della Corte territoriale, hanno evidenziato che la corretta classificazione INAIL, anche al fine di applicare le congrue voci di tariffa ed i relativi tassi, deve essere effettuata attraverso una attenta valutazione dell’attività produttiva posta in essere dall’azienda con particolare riferimento ai processi produttivi ed agli eventuali macchinari utilizzati. Il prodotto realizzato dall’azienda può essere valutato al solo fine di “completare” la suddetta analisi.

Pertanto, atteso che nel caso l’attività aziendale era assimilabile maggiormente alla voce di tariffa 6212 (taglio, piegatura e saldatura di laminati), i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso confermando il deliberato della Corte di Appello che aveva accolto le doglianze datoriali.

  

LA PAVENTATA RITORSIVITA’ DEL LICENZIAMENTO NON ESONERA IL DATORE DI LAVORO DAL DIMOSTRARE LE MOTIVAZIONI POSTE A FONDAMENTO DELL’ATTO DI RECESSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 17522 DEL 4 LUGLIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 17522 del 4 luglio 2018, ha affermato che il datore di lavoro deve fornire dimostrazione delle motivazioni addotte per il licenziamento per giusta causa anche nel caso in cui il prestatore adduca che l’atto di recesso è fondato su ragioni di carattere ritorsivo. Affinché il licenziamento possa essere ritenuto legittimo non è sufficiente dimostrare l’insussistenza di un intento punitivo da parte del datore ma deve essere fornita prova (anche) delle ragioni soggettive od oggettive che sorreggono l’azione datoriale.

Nel caso in commento, in base alla ricostruzione effettuata dal dipendente nel ricorso giudiziale, il datore di lavoro, quale reazione ad alcune denunce effettuate dai prestatori stessi, ed indirizzate alle OO.SS. territoriali, costituiva un nuovo soggetto giuridico trasferendo, nello stesso, tutti i lavoratori ad eccezione di quelli che avevano inoltrato le denunce. Successivamente i dipendenti “residui” venivano licenziati per cessazione dell’attività aziendale.

Soccombente in entrambi i gradi di merito per non aver dimostrato la paventata ritorsività del comportamento datoriale, il prestatore in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare il decisum dei gradi di merito, hanno evidenziato che l’onere di dimostrare le motivazioni poste a fondamento dell’atto di recesso datoriale grava sempre sul datore di lavoro. Nel caso in cui il dipendente ritenga di essere stato oggetto di un atto ritorsivo ha l’onere di dimostrare la sussistenza del (presunto) comportamento illecito del datore di lavoro ma questo non esonera l’azienda dal fornire prova delle ragioni oggettive o soggettive che hanno generato “l’espulsione” del prestatore.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il datore di lavoro aveva respinto fermamente la paventata ritorsività del licenziamento ma non aveva fornito prova delle ragioni soggettive od oggettive poste a suo fondamento, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno accolto il ricorso inviando gli atti alla Corte territoriale per un nuovo deliberato in subiecta materia.

 

NELL'AMBITO DELLA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO IL TERMINE PER L'INOLTRO DELLA COMUNICAZIONE FINALE EX ART. 4 LEGGE 223/91 ASSUME CARATTERE  ESSENZIALE E COGENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16144 DEL 19 GIUGNO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16144 del 19 giugno 2018, ha ribadito, in tema di procedure per il licenziamento collettivo dei lavoratori, che la comunicazione alle OO.SS. e agli organismi amministrativi, prevista dall'art. 4, comma 9, Legge n°223/91, deve essere effettuata entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi.

Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Napoli aveva respinto l’appello di una società in liquidazione confermando la decisione di primo grado che aveva dichiarato la illegittimità di un licenziamento intimato ad una lavoratrice all’esito di una procedura di mobilità. In particolare, la società datrice aveva effettuato la comunicazione di rito alle OO.SS. e agli organismi amministrativi con due mesi di ritardo rispetto al termine previsto di sette giorni dal recesso.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società sostenendo che, in presenza di un licenziamento collettivo per cessazione dell’attività produttiva ed azzeramento dell’intero organico, il mero superamento del termine di sette giorni per l’inoltro delle comunicazioni non fosse idoneo ad inficiare la validità dei recessi intimati ai lavoratori.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso in ragione del carattere essenziale del termine imposto dall'art. 4, comma 9, Legge n°223/91 e ha dichiarato incoerente, con la funzione di garanzia attribuita alle comunicazioni de quibus, ogni altra interpretazione.

All’uopo, hanno precisato gli Ermellini, la scelta dell’imprenditore di cessare l’attività, costituisce esercizio incensurabile della libertà di impresa, sancito dall’art. 41 Cost., con la conseguenza che le procedure per il licenziamento dei lavoratori che ne derivano, ex artt. 4 e 24 della legge n°223/91, ed in particolare l’obbligo di comunicare entro sette giorni i criteri di scelta, hanno la funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività della scelta medesima, allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo concernenti i diritti dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto nel caso in cui la cessazione dell’attività dissimuli la cessione dell’azienda o la ripresa dell’attività sotto diversa denominazione.

Parimenti, hanno concluso gli Ermellini, il requisito della contestualità (id: sette giorni) delle comunicazioni ai lavoratori ed alle OO.SS. deve essere inteso in modo rigido al fine di garantire la possibilità di revocare tempestivamente il licenziamento se eseguito in violazione dei criteri imposti dalla legge.

 

INTERESSI DI MORA NON DOVUTI SULLA RATEIZZAZIONE DELLE SANZIONI TRIBUTARIE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 16553 DEL 22 GIUGNO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 16553 del 22 giugno 2018, ha statuito il principio secondo il quale in caso di rateizzazione delle somme irrogate a titolo di sanzione, l’Agente per la Riscossione non può applicare interessi di mora.

IL FATTO

Una Società provvedeva ad impugnare dinanzi alla giustizia tributaria il provvedimento di rateazione relativo ad una cartella di pagamento, ex art. 19 D.lgs. n. 602/73, eccependone l’illegittimità per errata determinazione degli interessi di mora, in particolare, per quanto riguarda quelli applicati sulle sanzioni. A tal riguardo, la ricorrente eccepiva violazione dell’articolo 2, comma 2, del D.lgs. n. 472/97.

La C.T.P. dichiarava l’impugnazione della Società inammissibile, sull’assunto che il provvedimento di rateazione non rientrasse tra gli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19, D.lgs. n. 546/92. Di diverso avviso invece la C.T.R. che riconosceva la giurisdizione del Giudice Tributario in materia d’interessi relativi al tributo e alle sanzioni, dichiarando l’illegittimità del calcolo degli interessi di mora sulle sanzioni tributarie.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour dopo aver ricordato che, ai sensi dell'art. 19, D.P.R. 602/73, “l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente che dichiara di versare in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, concede la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, con esclusione dei diritti di notifica, fino ad un massimo di settantadue rate mensili. Nel caso in cui le somme iscritte a ruolo sono di importo superiore a 60.000 euro, la dilazione può essere concessa se il contribuente documenta la temporanea situazione di obiettiva difficoltà”, ed ai sensi l’art. 21 dello stesso D.P.R., “sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell'articolo 19, comma 1, si applicano gli interessi al tasso del sei per cento annuo”, hanno evidenziato che il suddetto combinato disposto normativo viene superato dalla regola speciale di cui all’art. 2, comma 3, D.lgs. 472/1997.

Orbene ciò premesso, gli Ermellini hanno concluso affermando come il suddetto art. 2, comma 3, del D.lgs. n. 472/97, che stabilisce testualmente: “La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi”, debba considerarsi norma "eccezionale" che prevale sulla regola generale, ("lex specialis derogat generalis"), di conseguenza anche in caso di rateizzazione della cartella di pagamento, sulle sanzioni non sono dovuti gli interessi di mora.

Per quanto sopra, i Giudici delle Leggi hanno rigettato il ricorso dell’Agente della riscossione, compensando le spese del giudizio di legittimità tra le parti.

 

IL LICENZIAMENTO COMPROVATO DA UNA GIUSTA CAUSA RENDE SUPERFLUO L’ACCERTAMENTO SULLA SUSSISTENZA DI UN EVENTUALE MOTIVO RITORSIVO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 14197 DEL 4 GIUGNO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 14197 del 4 giugno 2018, ha statuito che l’esistenza di una giusta causa di licenziamento è di per sè idonea a giustificare il licenziamento stesso, senza che possano rilevare motivi illeciti concorrenti.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Milano, a conferma del Giudice di primo grado, rigettava il reclamo proposto dal dipendente che riteneva il licenziamento per giusta causa avvenuto per ragioni ritorsive. Nei fatti, anche con le testimonianze raccolte da altri dipendenti presenti nella stanza attigua, il lavoratore, fratello dell’amministratore, usava toni violenti ed epiteti fortemente ingiuriosi nei confronti di quest’ultimo.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, nel rigettare il ricorso e confermare il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno inteso in particolare chiarire che una volta accertata la sussistenza della giusta causa di licenziamento, e quindi la legittimità del licenziamento per giusta causa, l’eventuale esistenza di motivi illeciti è irrilevante. Ciò in quanto, il motivo illecito determina la nullità del licenziamento nel solo caso in cui il provvedimento espulsivo sia generato esclusivamente dal motivo. Quindi, la nullità è sempre esclusa quando la motivazione è concorrente nella determinazione del licenziamento. 

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 16 Luglio 2018