15 Luglio 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL QUADRO DIRETTIVO CHE NON VIGILI SULL'OPERATO DI UN PRORPIO SOTTOPOSTO FAVORENDONE L'ATTIVITA' FRAUDOLENTA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 15168 DEL 4 GIUGNO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 15168 del 4 giugno 2019, ha confermato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato ad un dirigente in relazione alla omessa vigilanza su un proprio sottoposto così contravvenendo ai propri doveri di diligenza professionale generica.

Nella vicenda in esame il Tribunale di Parma aveva annullato il licenziamento intimato ad un dirigente di un istituto di credito, ritenendo non sussistente la condotta ascritta o, comunque, che la stessa fosse priva di rilevanza disciplinare. In particolare, il Giudice aveva ritenuto insussistenti una serie di omissioni contestate, che avevano favorito l'operatività fraudolenta di un dipendente (gestore family presso la stessa filiale), di cui il quadro direttivo era responsabile.

In sede di merito, la Corte d'appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado ribadendo la illegittimità del licenziamento in quanto le omissioni contestate non avevano configurato alcun inadempimento contrattuale e non erano riconducibili a compiti di controllo esplicitamente affidati dalla banca al dirigente.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'istituto di credito duolendosi dell'operato dei giudici di merito, che avevano omesso di applicare alla fattispecie occorsa il prioritario parametro della diligenza professionale generica, ex art. 2104 c.c., basata sulla natura della prestazione e sull'interesse dell'impresa.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso ribadendo che la diligenza del prestatore di lavoro si articola su due livelli, di cui il primo è quello della diligenza professionale generica, trattata dall'art. 2104 c.c., comma 1 ed il secondo è quello del livello di diligenza professionale specifica, la cui operatività è eventuale in quanto dettata da possibili disposizioni datoriali aggiuntive rispetto all'obbligo di diligenza generica. All'uopo, la Corte ha mostrato di avere preso in considerazione solo il secondo e secondario dei due profili, mancando di applicare il prioritario parametro della diligenza professionale generica, basata sulla natura della prestazione e sull'interesse dell'impresa.

La valutazione operata con riferimento al parametro della diligenza professionale generica di cui all'articolo 2104 c.c., comma 1, hanno continuato gli Ermellini, ovvero, "Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale" non è stata condotta in conformità alla previsione di cui all'articolo 2119 c.c. (id: recesso per giusta causa).

La sentenza impugnata, hanno concluso gli Ermellini, non ha preso in considerazione il disvalore sociale comunque espresso della condotta ascritta al lavoratore, sul piano dei doveri generali di diligenza nell'esecuzione della prestazione dovuta. E' stata omessa ogni considerazione della notevole entità dell'importo (euro 900.000,00) che si asserisce essere stato sottratto, con condotta fraudolenta, dal gestore family, attraverso la forzosa estinzione di libretti di risparmio e la dotazione irregolare di tessere bancomat, operazioni sulle quale è pacifico che il dirigente dovesse comunque vigilare in ragione del ruolo ricoperto nella filiale. In definitiva, la condotta omissiva del dirigente ha leso e vulnerato, in maniera irreparabile, il peculiare vincolo di fiducia con la banca, che si fonda sull'interesse datoriale all'esatto e puntuale adempimento futuro della prestazione da parte del lavoratore.

 

NON E’ SOGGETTO ALL’IRAP IL MEDICO CHE EROGA COMPENSI OCCASIONALI A TERZI PER PRESTAZIONI DI MERA SOSTITUZIONE DURANTE I PERIODI FERIALI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 14533 DEL 28 MAGGIO 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 14533 del 28 maggio 2019, ha statuito che non risulta essere assoggettato all’IRAP il medico di medicina generale che, nell’esercizio della propria attività professionale, eroghi compensi a terzi correlati a prestazioni di mero ausilio dell'attività professionale o di mera sostituzione durante i periodi feriali.

Nel caso in specie, un medico di medicina generale ricorreva alla giustizia tributaria per richiedere l’annullamento di una cartella di pagamento per l’IRAP, relativa all’anno di imposta 2005. Il medico risultava però soccombente in entrambi i gradi di giudizio di merito, in particolare la C.T.R. confermava la cartella in questione, sulla base degli elementi di fatto desumibili dall'esame del quadro RE e dalle fatture allegate a specificazione del contenuto del quadro RE 11, del Modello Unico per il 2006, dove si evincevano compensi corrisposti a terzi.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte del medico.

All’uopo si reputa opportuno ricordare che il presupposto impositivo dell’IRAP – secondo la previsione dell'articolo 2 del D.Lgs. n. 446/1997è l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.

Il requisito dell'autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo "l'id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (tra le altre, Cass. S.U. n. 9451/2016 e prima ancora Cass. S.U. n. 2111/2009).

Orbene, con la sentenza de qua, i Giudici del Palazzaccio, uniformandosi al consolidato orientamento di legittimità esistente in materia, hanno accolto in toto il ricorso del medico chiarendo che nel caso di specienon sussiste il requisito dell'autonoma organizzazione, in quanto i beni in dotazione e le spese attribuibili al contribuente ("quote di ammortamento", "canoni di locazione finanziaria" "compensi corrisposti a terzi" per un importo complessivo di euro 23.265,00) corrispondono al minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale espletata (medico titolare di sede di medicina generale), in relazione, anche, ai compensi dallo stesso conseguiti nel periodo d'imposta (euro 87.145,00), ove si consideri che l'importo per compensi dovuti a terzi (euro 4238,00) risulta correlato a prestazioni di mero ausilio dell'attività professionale (commercialisti) o di mera sostituzione dell'attività professionale (compensi corrisposti a colleghi per la sostituzione durante i periodi feriali) tutti elementi inidonei, quindi, a rappresentare un incremento significativo della base imponibile.

 

VALIDO L’ACCERTAMENTO FATTO PRIMA DEI SESSANTA GIORNI DALLA FINE DELL’ISPEZIONE QUANDO LE INDAGINI PENALI SONO CONCATENATE A QUELLE FISCALI.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 17488 DEL 28 GIUGNO 2019

La Corte di Cassazione, ordinanza n°17488 del 28 giugno 2019, ha statuito che è legittimo l'accertamento fatto prima dei sessanta giorni dalla fine dell'ispezione quando le indagini penali si sono concatenate a quelle fiscali.

Nel caso di specie, un imprenditore si era visto notificare un avviso di accertamento senza che fosse rispettato il termine dei 60 giorni previsto dallo Statuto del contribuente per la difesa dello stesso, in quanto durante l’ispezione l’Amministrazione Finanziaria aveva acquisito solo i dati che aveva già avuto in precedenza, a seguito degli incontri avvenuti presso l’Ufficio e dai quali erano emerse delle fatture false.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di piazza Cavour, respingendo in toto le doglianze del contribuente, hanno chiarito, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall'Amministrazione Finanziaria, consentono l'inosservanza del termine dilatorio di cui alla legge n.212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell'ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità.

Ad abundantiam gli Ermellini hanno aggiunto che in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall'art. 43 del D.P.R. n.600 del 1973 per l'Irpef e dall'art. 57 del D.P.R. n.633 del 1972 per l'IVA, come modificati dall'art. 37 del D.L. n.223 del 2006, convertito in Legge n.248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l'obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall'art. 1, commi da 130 a 132, della Legge n.208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l'applicazione dell'art. 2 del Dlgs n.128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati.

 

IN   CASO DI ANNULLAMENTO DELLE DIMISSIONI PER TEMPORANEA INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE, CON RIPRISTINO DEL RAPPORTO DI LAVORO, SONO DOVUTE LE RETRIBUZIONI ARRETRATE DAL MOMENTO DELLA DOMANDA GIUDIZIALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 16998 DEL 25 GIUGNO 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16998 del 25 giugno 2019, ha statuito che in caso di annullamento delle dimissioni per temporanea incapacità di intendere e volere, con ripristino del rapporto di lavoro, sono dovute le retribuzioni arretrate dal momento della domanda giudiziale “in ragione del principio generale per il quale la durata del processo non deve mai andare a detrimento della parte vincitrice”.

Il caso

Un dipendente di un Ente di sviluppo ricorreva in Appello per richiedere l’annullamento delle dimissioni per temporanea incapacità di intendere e di volere che il Tribunale di primo grado gli aveva negato.

La Corte territoriale accoglieva la domanda del lavoratore condannando l’Ente a pagare una somma pari alla differenza tra il trattamento pensionistico dallo stesso percepito e la retribuzione mensile che gli sarebbe spettata in base all’inquadramento applicato al rapporto.

La decisione

Di qui la richiesta del parere della Corte Suprema, la quale ha rigettato, con la sentenza in commento, il ricorso dell’Ente con conseguente ripristino del rapporto di lavoro, ritenendo dovute le retribuzioni arretrate dal momento della domanda giudiziale sostenendo che limitare l’ammontare dalla data della sentenza, così come sostenuto da altro orientamento giurisprudenziale, “Sarebbe del tutto iniqua per il lavoratore che si veda riconoscere il diritto all’annullamento delle dimissioni. Significherebbe, in altri termini, far pesare sulla parte che, a ragione, domanda giustizia, i tempi della risposta giudiziaria – tra l’altro in violazione del principio costituzionale (art. 111 Cost.) del cosiddetto giusto processo».

 

LA BUSTA PAGA HA RILEVANZA PROBATORIA QUANTO ALLE INDENNITA’ SOSTITUTIVE DI FERIE, PERMESSI E FESTIVITA’.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA   N. 16656 DEL 21 GIUGNO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 16656 del 21 giugno 2019, ha statuito che la busta paga ha rilevanza probatoria in caso di mancato godimento delle ferie e dei permessi.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma del Tribunale di Catanzaro, condannava la società al pagamento di € 9.984,32 a titolo di indennità sostitutiva per ferie, permessi e festività soppresse non goduti, tra il 5 febbraio 2001 ed il 15 gennaio 2014, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.

La Corte ha ritenuto valida ai fini probatori l’esibizione del cedolino da cui si evincevano i mancati godimenti.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno confermato il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, ritenendo valida ai fini probatori la prova fornita attraverso le buste paga del suddetto periodo.

In particolare, il principio di relatività del valore probatorio dei cedolini, invocato del datore di lavoro, non poteva trovare accoglimento, così come, ex adverso, possibile laddove sia il lavoratore a contestare le risultanze in esso evidenziate. Infatti, detto principio è stato erroneamente invocato dal datore di lavoro perché proveniente dal medesimo soggetto che lo ha emesso, non potendo assumere come prova contraria rispetto a quanto affermato dal dichiarante.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

    Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 15 Luglio 2019