22 Luglio 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI GIUGNO 2019

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Giugno 2019. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Giugno 2019 è pari a 1,190744 e l’indice Istat è 102,70.

 

IL LAVORATORE CHE IMPUGNI IL LICENZIAMENTO INTIMATO IN FORMA ORALE HA L'ONERE DI PROVARE CHE LA RISOLUZIONE SIA ASCRIVIBILE ALLA VOLONTA' DEL DATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18402 DEL 9 LUGLIO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n°18402 del 9 luglio 2019, ha confermato che il licenziamento intimato in forma orale, invocato dal lavoratore al fine della reintegra nel posto di lavoro, deve essere supportato dalla prova che la risoluzione sia ascrivibile alla sola volontà della parte datoriale.  

Nella vicenda in esame, la Corte di Appello di Genova, in riforma della statuizione impugnata, aveva accolto il reclamo di un lavoratore che aveva invocato l'inefficacia del licenziamento intimato in quanto privo della forma scritta. I Giudici di merito, in particolare, avevano dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti in causa e, conseguentemente, statuito l'inefficacia del licenziamento verbale intimato, condannando il datore di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro.

La Corte di merito aveva altresì affermato che "la cd. estromissione del lavoratore dal posto di lavoro inverte l'onere probatorio, ponendo a carico del datore l'onere di provare un fatto estintivo del rapporto diverso dal licenziamento. Pertanto, per il lavoratore era sufficiente dimostrare l'intervenuta cessazione del rapporto di lavoro mentre era onere del datore di lavoro dimostrare che il rapporto era venuto meno per ragioni diverse". Nel caso in esame, considerato che la società non aveva in alcun modo dimostrato che il rapporto fosse cessato per ragioni diverse dal licenziamento, la Corte di merito aveva ritenuto che il lavoratore fosse stato licenziato oralmente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società soccombente contestando la ingiustificata inversione dell'onere della prova operata dai Giudici di merito.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso sulla scorta del seguente principio di diritto: "Il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l'osservanza della forma prescritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell'esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. Ove il datore di lavoro eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il Giudice sarà chiamato a ricostruire i fatti con indagine rigorosa – anche avvalendosi dell'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio ex articolo 421 c.p.c. – e solo nel caso perduri l'incertezza probatoria farà applicazione della regola residuale desumibile dall'art. 2697 c.c., comma 1, rigettando la domanda del lavoratore che non ha provato il fatto costitutivo della sua pretesa".

Nella specie, hanno concluso gli Ermellini, la Corte territoriale non ha applicato la richiamata regula iuris affermando, erroneamente, che per il lavoratore sia sufficiente dimostrare l'intervenuta cessazione del rapporto di lavoro.

 

LE SCRITTURE CONTABILI, TENUTE CON SISTEMI MECCANOGRAFICI, RISULTANO IRREGOLARI SE NON STAMPATE IN CONTEMPORANEA ALLA RICHIESTA DEI VERIFICATORI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 16253 DEL 18 GIUGNO 2019

La Corte di cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 16253 del 18 giugno 2019, ha statuito che le scritture contabili e i relativi registri devono essere tenuti nella sede del contribuente, salvo le deroghe espressamente previste dalla legge, e se tenue con sistemi meccanografici devono essere stampate in contemporanea alla richiesta dei verificatori.

Nel caso in specie l’Agenzia delle Entrate provvedeva a notificare a carico di una società un atto di contestazione, con cui irrogava sanzioni per mancata registrazione di fatture emesse nell’apposito registro I.V.A., in quanto nel corso di una verifica fiscale, a fronte della richiesta dei funzionari finalizzata ad accertare la trascrizione su supporto magnetico delle operazioni attive e a visionare i dati memorizzati sul computer, la società aveva dichiarato la propria impossibilità a stampare il tutto. Ciò in quanto le scritture contabili erano tenute in luogo diverso alla sede legale dove l’accesso era stato eseguito, senza che tale circostanza fosse stata previamente comunicata all’Ufficio ovvero fosse accompagnata dall’attestazione del terzo depositario ai sensi dell’art. 35, decimo comma, D.P.R. n. 633/72.

Il suddetto atto veniva prontamente impugnato innanzi alla C.T.P. che accoglieva le doglianze della società ricorrente. La decisione veniva poi confermata anche dai Giudici di Appello, i quali rilevavano che i dati relativi alle operazioni in esame erano memorizzati su appositi supporti informatici, non presenti nella sede di verifica, per cui i dati rilevanti potevano essere stampati in un secondo momento. Si trattava quindi di mere irregolarità formali.

Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione per ottenerne l’annullamento, deducendo la violazione e falsa applicazione degli articoli 10, 23, 35 e 52, quinto comma, del D.P.R. n. 633/72.

Orbene, con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, nel ritenere che la decisione del Giudice d’appello non era corretta, hanno accolto in toto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate evidenziando che l'articolo 7, comma 4-ter, del D.L. n. 357/94, stabilisce che, “a tutti gli effetti di legge, la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all'esercizio corrente allorquando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”.

Inoltre, hanno proseguito gli Ermellini, la tenuta delle scritture contabili di regola deve essere effettuata presso la sede del contribuente; tuttavia è consentita una dislocazione delle stesse presso altri soggetti, così come previsto dall’art. 35 del D.P.R. 633/72, in base al quale nella dichiarazione di inizio dell’attività i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione devono essere indicati, tra gli altri elementi, il luogo o i luoghi in cui sono tenuti e conservati i libri, i registri, le scritture e i documenti prescritti. Inoltre, il successivo art. 52, co. 10, dà facoltà al contribuente di dichiarare, in sede di accesso, che le scritture contabili si trovano presso altri soggetti, previa relativa specifica attestazione da parte di questi ultimi.


I PRINCIPI DI COLLABORAZIONE, LEALTÀ E BUONA FEDE NON RIGUARDANO SOLO IL CONTRIBUENTE MA ANCHE L’OPERATO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 16725 DEL 21 GIUGNO 2019

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 16725 del 21 giugno 2019, ha statuito che le attestazioni sui dividendi percepiti, non prodotti in fase amministrativa, possono essere depositati in sede contenziosa, in quanto i principi di collaborazione, lealtà e buona fede non riguardano solo il contribuente ma anche l'operato dell'Amministrazione Finanziaria che, se vuole contestare la produzione tardiva dei documenti, deve dimostrare di averli espressamente richiesti in fase amministrativa con l'ammonimento circa le conseguenze negative per il contribuente nell'ipotesi di mancata produzione degli stessi.

Nel caso di specie, i Giudici di piazza Cavour, ribaltando le decisioni dei precedenti gradi di giudizio, hanno accolto il ricorso di un contribuente ritenendo legittimamente utilizzabile la documentazione depositata dal contribuente in sede contenziosa, per contrastate un accertamento sintetico emesso nei suoi confronti dall'Agenzia delle Entrate.

Con l’ordinanza de qua, gli Ermellini hanno confermato che l'omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa, non determina l'inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa per il mero verificarsi di detta omessa esibizione, ma in presenza del peculiare presupposto, la cui prova incombe sull'Ufficio Finanziario, costituito dall'invito specifico e puntuale all'esibizione, accompagnato dall'avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza.

In nuce, per la S.C., così come il contribuente, anche l’operato dell’Agenzia delle Entrate deve conformarsi pedissequamente ai principi di collaborazione e buona fede, espressamente enunciati dall'art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.

 

L’ENTITÀ DEL RISARCIMENTO, IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO, DEVE RIENTRARE NEL LIMITE DELLA PREVEDIBILITÀ DEL PREGIUDIZIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18282 DELL’8 LUGLIO 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n° 18282 dell’8 luglio 2019, ha statuito che il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo deve tener conto della prevedibilità del pregiudizio.

Nel caso in esame, la Corte di Appello aveva confermato il giudizio di primo grado relativo all’illegittimità di un licenziamento e ridotto il risarcimento del danno ad una somma commisurata alle retribuzioni calcolate dal giorno del recesso ai successivi quattro anni.

Secondo i Giudici della Suprema Corte, la motivazione della Corte di Appello è corretta in relazione alla valutazione delle conseguenze dell’inadempimento del datore di lavoro perché in linea con i principi di responsabilità contrattuale.

Questa genera sicuramente una presunzione di imputabilità al debitore ma non ne determina una responsabilità per danni oltre quelli prevedibili dal punto di vista della sussistenza di un nesso casuale secondo un criterio di ragionevole derivazione dal comportamento inadempiente.

Infatti, in ordine alla riduzione della somma liquidata a titolo di risarcimento per l'illegittimità del licenziamento (avvenuto il 15 gennaio 2007), la Corte aveva valutato che il ricorrente si era iscritto in data 19 gennaio 2007 nelle liste di disoccupazione e in data 20 aprile 2009 nelle liste di collocamento provinciali per le categorie protette, essendo stato riconosciuto invalido civile, con riduzione della capacità lavorativa in misura dell'80%. Dovendosi stimare in circa due anni il tempo medio necessario ad un invalido civile iscritto nelle apposite liste per essere avviato al lavoro e in mancanza di dati ulteriori quanto alle eventuali offerte di avviamento, il danno prevedibile è quello determinabile nei quattro anni successivi alla risoluzione del rapporto di lavoro

A tale riguardo, i Giudici nomofilattici hanno precisato che non è giusto parlare di riduzione della misura risarcitoria di legge ma più opportunamente di determinazione delle conseguenze pregiudizievoli connesse all’illegittimità del licenziamento, sicuramente sussistenti in relazione al perdurante stato di disoccupazione, ma in misura congruamente determinata nei limiti dei 4 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

 

IL COMPORTAMENTO E’ DETERMINANTE AI FINI DELLA CONGRUITA’ DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 18195 DEL 5 LUGLIO 2019.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 18195 del 5 luglio 2019, ha statuito che la nozione di giusta causa deve sempre tener conto della gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, a prescindere dalle disposizioni contrattuali.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Roma, a conferma della sentenza del Tribunale di Cassino, dichiarava illegittimo il licenziamento in quanto il fatto contestato non integrava, nell’ambito del contratto collettivo, l’ipotesi del licenziamento; pertanto, la Corte distrettuale applicava la sola sanzione conservativa, sulla base proprio della previsione contrattuale.

Nei fatti, una portalettere veniva licenziata per aver distrutto 20 chili di materiale pubblicitario che non era riuscita a consegnare in tempo a causa delle condizioni meteo avverse. Tale distruzione di materiale vietata dal contratto collettivo di riferimento.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno bacchettato i Giudici di merito, precisando che il Giudice di merito, a cui spetta la valutazione sulla congruità della sanzione espulsiva, non può basarsi su una valutazione astratta del fatto contestato ma deve sempre valutare il fatto in tutta la sua interezza, e quindi la gravità, rispetto ad una possibile prosecuzione del rapporto di lavoro, ciò a prescindere dalla sussunzione in specifiche ipotesi contrattuali dato che la giusta causa è una definizione legale, art. 2119 c.c..

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 22 Luglio 2019