27 Luglio 2020

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

PER LA LEGITTIMA FRUIZIONE DEI PERMESSI EX LEGGE 104/92 E' SUFFICIENTE SVOLGERE ATTIVITA' A VANTAGGIO DELLA PERSONA DA ASSISTERE ESCLUDENDO LA NECESSARIA PRESENZA PRESSO L'ABITAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 12032 DEL 19 GIUGNO 2020.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 12032 del 19 giugno 2020, ha statuito, in tema di legittimità della fruizione dei permessi ex legge 104/92, che soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Bologna, confermando la decisione del Tribunale locale, aveva respinto il reclamo avverso l'ordinanza che aveva ritenuto l'insufficienza della prova circa l'addebito disciplinare comminato ad una lavoratrice per la fruizione abusiva dei permessi previsti dalla L. n°104 del 1992, art.33, comma 3; la Corte aveva, quindi, disposto la reintegrazione nel posto di lavoro della dipendente e la corresponsione di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. In particolare, il Giudice di secondo grado aveva ritenuto che la relazione dell'agenzia investigativa da cui l'azienda aveva evinto che la lavoratrice non aveva prestato effettiva assistenza alla madre disabile durante il periodo di fruizione dei permessi, fornisse un quadro assolutamente lacunoso delle attività svolte, talché non poteva reputarsi dimostrato che la dipendente avesse svolto attività incompatibili con l'assistenza.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice contestando il comportamento della lavoratrice che, invero, aveva dichiarato di essere sempre rimasta "a disposizione della madre", pur senza attendere alla assistenza diretta.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando, in tema di congedo straordinario ex art. 42, comma 5 del D.Lgs. n°151 del 2001, che l'assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui alla L. n°104 del 1992, art. 3, comma 3, un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale. Soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, hanno continuato gli Ermellini, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente.

Nel caso in specie, hanno perciò concluso gli Ermellini, l'atteggiamento della lavoratrice non era stato quello di profittare del permesso per attendere ad attività di proprio esclusivo interesse non sussistendo la "prova diretta o indiretta dell'assenza di assistenza e/o dello svolgimento da parte dell'utilizzatore dei permessi di attività incompatibili con la prestazione della stessa".

 

PARZIALMENTE IMPONIBILI LE INDENNITÀ DI TRASFERTA EROGATE DAL DATORE DI LAVORO AI DIPENDENTI CHE ABITUALMENTE ESPLETANO L’ATTIVITÀ LAVORATIVA IN LUOGO DIVERSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 14047 DEL 7 LUGLIO 2020

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 14047 del 7 luglio 2020, nell’accogliere il ricorso del fisco avverso un’azienda di manutenzione e ristrutturazione che non aveva versato per intero le imposte sull’indennità di trasferta e sul rimborso chilometrico per i dipendenti, ha statuito
che l’agevolazione fiscale prevista per tali indennità (art. 51, comma 5° del TUIR) si applica soltanto quando il mutamento fra il luogo di assunzione e quello in cui viene eseguita la prestazione è temporaneo.

Nel caso in specie, l'Agenzia delle Entrate aveva contestato ad un’azienda l'omessa esecuzione delle ritenute su parte delle retribuzioni corrisposte ai propri lavoratori dipendenti che sistematicamente svolgevano attività lavorativa in trasferta. In sostanza, secondo l'Amministrazione finanziaria, ai fini della corretta applicazione dell'articolo 51, comma 5, del Tuir e delle relative agevolazioni, occorreva che la trasferta fosse caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa.

La società contribuente ricorreva alla giustizia tributaria avverso gli atti impositivi, risultando vittoriosa sia in primo grado che in secondo. In particolare i Giudici di Appello, tenuto conto del tipo di attività della società in questione, lavori di ristrutturazione e manutenzione presso aziende clienti dislocate in varie località, avevano ritenuto che l’indennità di trasferta riconosciuta ai lavoratori avesse natura risarcitoria e quindi esclusa dall’imponibile fiscale.

L’Amministrazione finanziaria proponeva, avverso la sentenza della CTR, ricorso in Cassazione.

In particolare, tra i propri motivi di gravame, l’Agenzia delle Entrate poneva in evidenza che la trasferta doveva essere caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo della prestazione lavorativa, ai fini della corretta applicazione dell’art.51 comma 5 del D.P.R. 917/86, per cui la sede di assunzione del dipendente doveva costituire il luogo in cui il lavoratore è chiamato normalmente a svolgere la propria attività lavorativa. Se, invece, il dipendente svolgeva normalmente la propria attività in altro luogo, e la sede di assunzione rappresentava solo il riferimento per la gestione amministrativa del rapporto di lavoro, le somme corrisposte al dipendente, a titolo di indennità di trasferta risultavano imponibili e non potevano beneficiare dell’esenzione prevista dalla normativa di riferimento.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua nel censurare in toto la sentenza della C.t.r., in quanto la stessa si basava su “una nozione arcaica di retribuzione quale corrispettivo della mera prestazione lavorativa, sicché tutto ciò che non è mirato direttamente a tale compenso risulterebbe fuori dal sinallagma contrattuale”, hanno ribadito che, sia dottrina che giurisprudenza di legittimità  da tempo hanno chiarito che “il nesso di corrispettività esistente tra l’obbligazione di prestare la propria attività lavorativa e quella relativa alla retribuzione assume una connotazione particolare, rispetto alla corrispettività propria dei contratti di scambio, in quanto deve tenersi conto dell’implicazione della persona del lavoratore nell’adempimento dell’obbligazione di lavorare e della funzione che, di conseguenza, la retribuzione assolve quale mezzo di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. Pertanto, la retribuzione non costituisce quindi soltanto il corrispettivo della effettiva prestazione di lavoro ma, piuttosto, dell’impegno complessivo e personale assunto da chi si obbliga a lavorare alle dipendenze e nell’interesse altrui. Inoltre la retribuzione deve essere commisurata non solo al risultato produttivo ed al tempo impiegato, ma altresì alle condizioni soggettive ed oggettive in cui tale risultato si consegue”.

Infine, gli Ermellini, per quanto riguarda la prestazione lavorativa in situazione di trasferta, hanno ricordato come la giurisprudenza di legittimità sia ferma nel ritenere che normalmente “essa comporta un maggior disagio, che deve essere appositamente compensato, sicché la relativa indennità generalmente ha una duplice funzione, risarcitoria o meglio restitutoria delle maggiori spese sopportate nell’interesse del datore di lavoro, e retributiva del maggior disagio” (Cass. n. 5592/98; Cass. n. 6939/87; Cass. 7940/1985; Cass. 5542/1985; Cass. 6508/1985).

In sostanza, nel ragionamento della Cassazione chi lavora sempre fuori sede, come i lavoratori dell’azienda ricorrente, non può beneficiare dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 51 TUIR, mancando l’elemento della temporaneità dell’attività lavorativa all’esterno della normale sede di lavoro, anche se è pur vero che parte della retribuzione compensa anche il disagio provocato al lavoratore dalle trasferte, ma è prevalente, il fatto che il corrispettivo della prestazione retribuisce anche questi aspetti (id: disagio), quando il lavoro viene svolto normalmente al di fuori della sede della società datrice.

 

LA BUSTA PAGA TIMBRATA O FIRMATA PROVA IL RAPPORTO DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 13781 DEL 6 LUGLIO 2020

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 13781 del 6 luglio 2020, ha statuito che le copie delle buste paga firmate, siglate o timbrate dal datore di lavoro provano il credito che il dipendente ha intenzione di far valere nella procedura fallimentare dell’azienda.

Il caso di specie riguarda l'opposizione di una lavoratrice, esclusa dal passivo della SpA di cui era stata dipendente, che aveva prodotto in giudizio le buste paga, la lettera di assunzione e il CUD sottoscritto dalla procedura fallimentare, ancorché la stessa avesse fatto parte del consiglio di amministrazione della società, in quanto tale circostanza non si pone in contrasto con l'esistenza di un rapporto di lavoro.

Con l’ordinanza de qua, i Giudici di Piazza Cavour, rigettando in toto le doglianze del datore di lavoro, incentrate sul fatto che si fosse ritenuto sussistente il rapporto di lavoro esclusivamente sulla base dei documenti prodotti dalla lavoratrice senza verificare in concreto le modalità di svolgimento della prestazione, hanno ribadito che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, "le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite dei requisiti previsti dall'art. 1, comma 2, Legge n. 4/1953, in pratica, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest'ultimo, hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il suo datore di lavoro."

In nuce, per la S.C., il valore probatorio deriva dal combinato disposto degli artt. 39 del D.L. n.112 del 2008 e artt. 1, 2 e 5 della Legge n. 4 del 1953, in quanto il contenuto delle buste paga è obbligatorio e oggi sanzionato in via amministrativa "e, come tale, è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore" a condizione che il libro unico del lavoro sia tenuto in modo regolare e completo. Pertanto, il rapporto di lavoro deve considerarsi provato laddove le buste paga trovino corrispondenza nel libro unico del lavoro, e spetta sempre al datore l'onere di contraddire la validità dei documenti prodotti dal lavoratore, dimostrando la loro divergenza rispetto alle scritture a cui è obbligato.

 

CONFIGURA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO LA MALAFEDE DELLA LAVORATRICE CHE, AVENDO LE COMPETENZE PER COMPRENDERE L’IRREGOLARITA’ DELLA SUA CONDOTTA, PERCEPISCE UN ABNORME NUMERO DI ANTICIPAZIONI DEL TFR IN ASSENZA DELLA NECESSARIA DOCUMENTAZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 14968 DEL 14 LUGLIO 2020

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 14968 del 14 luglio 2020, ha statuito che la reiterata percezione di un abnorme numero (21 n.d.r.) di anticipazioni del t.f.r., in assenza sia delle apposite richieste della lavoratrice che delle conseguenti concessioni datoriali, ed altresì in difetto delle evidenze contabili delle avvenute elargizioni, integra gli estremi della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.

Nel caso preso in esame, infatti, una lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione avverso una sentenza della Corte di Appello che dichiarava legittimo il licenziamento intimatole per giusta causa non solo per aver percepito numerose anticipazione sul t.f.r., ma anche per averle ottenute illegittimamente, senza che fosse rinvenuta nella sua cartella personale tutta la documentazione relativa al procedimento. Le anticipazioni corrisposte, inoltre, non risultavano essere state mai contabilizzate e neppure indicate nella documentazione fiscale. Secondo gli Ermellini, la malafede della dipendente era evidente alla luce del profilo professionale posseduto e delle attività ad essa delegate in quanto, nella sua qualità di Consulente di Lavoro, era in grado di comprendere l’irregolarità delle anticipazioni ottenute in mancanza della documentazione giustificativa. Alla lavoratrice era stato altresì contestato di aver goduto dei permessi retribuiti ex L. 104/1992 e di aver percepito, nei giorni di permesso goduti, anche la normale retribuzione poiché era solita recarsi al lavoro anche nei giorni in cui, ufficialmente, godeva dei permessi per l’assistenza ad un familiare disabile. Comportamento, questo, truffaldino di cui la dipendente non poteva non conoscere anche la rilevanza penale.

In conclusione, l’emersa malafede della lavoratrice, unitamente alle irregolarità commesse nelle procedure e nella tenuta delle scritture contabili, nonché il comportamento fraudolento avevano cagionato l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario tale da non consentire, neanche in via provvisoria, la prosecuzione del rapporto di lavoro, soprattutto in considerazione delle delicate mansioni svolte, integrando tutti gli estremi della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.
 

L’INDENNITÀ DI TRASFERTA NON SPETTA AL LAVORATORE CHE ESPLICA LA PROPRIA ATTIVITÀ, IN MANIERA FISSA E CONTINUATIVA, PRESSO UNA DETERMINATA LOCALITÀ, ANCHE SE LA SEDE DI SERVIZIO RISULTA FORMALMENTE FISSATA IN LUOGO DIVERSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 14380 DELL’8 LUGLIO 2020

La Corte di Cassazione, sentenza n° 14380 dell’8 luglio 2020, ha ribadito che, a differenza del trasferimento, la trasferta si caratterizza per la temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale; pertanto, la relativa indennità non spetta a chi esplica in maniera fissa e continuativa la propria attività presso una determinata località, anche se la sede di servizio risulti formalmente fissata in luogo diverso.

Nel caso preso in esame dalla sentenza in commento, infatti, l’INPS proponeva ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, in riforma della sentenza di 1° grado, applicava il regime contributivo agevolato proprio della trasferta agli emolumenti versati ai lavoratori, sebbene vi fosse coincidenza fra il luogo dell’assunzione e quello della prestazione lavorativa. I dipendenti, infatti, residenti in Campania, erano stati assunti da una ditta con sede legale a Napoli presso un cantiere sito a Bologna ed in quel cantiere avevano sempre effettuato la loro prestazione lavorativa. La Suprema Corte ha chiarito che “la trasferta è emolumento corrisposto al lavoratore in relazione alla prestazione effettuata per un limitato periodo di tempo e nell’interesse del datore di lavoro al di fuori dell’ordinaria sede di lavoro, volto proprio a compensare al lavoratore i disagi derivanti dall’espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto”. Tale istituto si distingue dal trasferimento per l’essere caratterizzato dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale, con la conseguenza che al lavoratore che esplichi la propria attività in maniera fissa e continuativa presso una determinata località diversa da quella abituale non spetta l’indennità di trasferta.

Nel caso specifico, essendovi coincidenza tra il luogo di assunzione ed il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, non avendo quindi i lavoratori eseguito la prestazione al di fuori della sede lavorativa, non si era verificata alcuna trasferta e, pertanto, tutte le somme pagate ai lavoratori dovevano considerarsi retribuzione da assoggettare a contribuzione, a nulla rilevando la loro residenza o la sede legale della società.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

La pubblicazione di questa Rubrica riprenderà Lunedi 31 Agosto 2020. La Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale augura ai Colleghi buone ferie.

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

    Hanno collaborato alla redazione i Colleghi Giusi Acampora e Michela Sequino

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Modificato: 27 Luglio 2020