3 Settembre 2018

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI LUGLIO 2018

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Luglio 2018. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Luglio 2018 è pari a 1,913576 e l’indice Istat è 102,50.

IL PROFESSIONISTA INCARICATO ALLA TENUTA DELLA CONTABITA' RISPONDE ANCHE DEL DANNO EVENTUALMENTE CAGIONATO DAI PROPRI COLLABORATORI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 19148 DEL 19 LUGLIO 2018.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 19148 del 19 luglio 2018, ha statuito, in tema di responsabilità professionale e organizzazione interna dello studio fiscale e/o di consulenza del lavoro, che la responsabilità per eventuali omissioni ricade in ogni caso sul soggetto che abbia stipulato il contratto di consulenza con il cliente.

Nel caso de quo, un imprenditore siciliano aveva adito il Tribunale di Catania chiedendo la condanna del ragioniere incaricato alla consulenza fiscale e del lavoro al pagamento dei danni economici causati dallo svolgimento dell'attività di consulente del lavoro in relazione alla mancata comunicazione di assunzione di un apprendista, contestata dall'Ispettorato locale con relativa sanzione. Alla mancanza, era conseguita la perdita dei benefici concessi dalla Regione Sicilia per l'assunzione dell'apprendista, quantificata, mercé una puntuale CTU, in € 19.506,77.

Soccombente in entrambi i primi gradi di giudizio, il ragioniere incaricato ha adito la Suprema Corte per la cassazione della sentenza di appello, rappresentando di aver svolto unicamente l'attività di consulente fiscale, avendo demandato la consulenza del lavoro ad una professionista che collaborava con il proprio studio.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ribadendo le ragioni già motivate dal Giudice di primo grado. Nella fattispecie, infatti, hanno specificato gli Ermellini, delle funzioni di Consulente del lavoro, pur se delegate ad altra professionista, era tenuto a rispondere unicamente il ragioniere incaricato, stante che il rapporto tra questi e il terzo professionista assumeva rilevanza meramente interna, non opponibile al cliente. La circostanza resta dimostrata dal fatto che il rapporto economico (id: contratto d'opera) era regolato unicamente tra il ragioniere ed il cliente, in relazione all'incarico di consulenza fiscale e del lavoro, derivando, pertanto, dall'unico mandato la sua piena responsabilità, ex art. 1176 del codice civile, anche per la parte di adempimenti eventualmente affidati a terzi in qualità di propri collaboratori.

 

IL PROFESSIONISTA PUO’ SCOMPUTARE LE RITENUTE D’ACCONTO SUBITE ANCHE IN MANCANZA DI CERTIFICAZIONE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 18910 DEL 17 LUGLIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 18910 del 17 luglio 2018, ha statuito che il professionista può scomputare le ritenute d’acconto subite anche quando il sostituto di imposta non abbia fornito la relativa certificazione attestante l’erogazione del compenso al netto della ritenuta, a patto che sia in grado di documentare il netto effettivamente percepito.

Nel caso in specie ad un contribuente, esercente l’attività di avvocato, veniva notificata una cartella di pagamento ex art. 36-ter D.P.R. n. 600/73 con cui veniva chiesto il versamento di una maggior somma a titolo di IRPEF, a causa disconoscimento di ritenute d’acconto subite.

La C.T.P. accoglieva il ricorso del professionista, mentre la C.T.R. ribaltava il verdetto a favore dell’Amministrazione finanziaria sull’assunto che il contribuente non potesse provare le ritenute alla fonte in modo diverso dall’esibizione della certificazione del sostituto d’imposta, per cui in assenza della certificazione prevista dalla legge il contribuente non poteva provare con altri mezzi (atto notorio, fatture, bonifici, assegni) di aver subito alla fonte la ritenuta di cui per legge.

Da qui il ricorso per Cassazione da parte del professionista.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, uniformandosi a costante giurisprudenza di legittimità esistente in materia, hanno accolto il ricorso del professionista, ricordando che ”l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cass. n. 7251/1994). Ancora il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco (Cass.n. 3725/1979), in considerazione che la normativa vigente, art. 22 D.P.R. 917/86, dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto, ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state operate.

Ancora, i Giudici delle Leggi, hanno rilevato come “un fatto storico (decurtazione del corrispettivo), che, seppur viene provato tipicamente mediante la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato con mezzi equivalenti da chi la ritenuta ha subito”, così come riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 68/E del 19/03/2009, dove la stessa Agenzia, relativamente ai c.d. controlli formali articolo 36-ter, D.P.R. n. 600/73, aveva sostenuto che è possibile scomputare le ritenute d’acconto anche in assenza di certificazioni, purché il contribuente comprovi l’importo effettivamente percepito (ovvero dimostri di aver subito la ritenuta d’acconto) attraverso l’esibizione di documentazione, quale la copia della fattura, ricevuta di pagamento della Banca, ecc..

In nuce, hanno concluso gli Ermellini, “la norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere integrata secondo i principi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici possono escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, l’art. 36-ter d.p.r. 600/1973 deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) «possono» apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti” (Cass. sent. n. 14138/2017).

 

GRAVA SULL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PROVARE CHE I PRELEVAMENTI DAL CONTO CORRENTE DEL PROFESSIONISTA SIANO UTILIZZATI PER ACQUISTI IN NERO E, PERTANTO, IMPUTATI AI RICAVI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 19564 DEL 24 LUGLIO 2018

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 19564 del 24 luglio 2018, ha statuito che in caso di accertamento tributario a carico di un professionista, in presenza di prelevamenti bancari non giustificati spetta all’Ufficio fiscale provare che gli stessi siano stati utilizzati per acquisti in nero finalizzati alla produzione di ricavi per il professionista stesso, non operando alcuna presunzione in favore dell’Amministrazione finanziaria.

Nel caso in specie a carico di un professionista l’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento con il quale veniva rideterminato un maggior reddito sulla base di alcuni prelevamenti di denaro ingiustificati dal proprio conto corrente.

Il professionista provvedeva prontamente ad impugnare il suddetto avviso dinanzi alla giustizia tributaria, risultando soccombente in primo grado in quanto la C.T.P. considerava corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria. Successivamente la C.T.R. accoglieva solo parzialmente il ricorso del professionista escludendo dall’accertamento alcuni prelevamenti, e confermando per il resto la sentenza impugnata, ivi inclusa la imputazione dei prelievi residui quali ricavi dell’attività professionale.

Da qui il ricorso per Cassazione del professionista.

Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, dopo aver preliminarmente ricordato l’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/73, nella formulazione vigente al momento della decisione di secondo grado, stabiliva che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, “sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”, hanno evidenziato che con sentenza del 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione in esame limitatamente alle parole “o compensi”», ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, è venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività, non essendo più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale operata, ai fini della presunzione posta dall’art. 32 suddetto, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori (Cass. n. 16697/2016 e Cass. n. 23041/2015), per cui, dunque, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, non potendosi avvalere della presunzione invocata.

Per le motivazioni suddette il ricorso è stato accolto con cassazione della sentenza d’appello.

 

SANZIONABILE L'INTERMEDIARIO CHE INVIA LA DICHIARAZIONE IN RITARDO A CAUSA DI ERRORI BLOCCANTI O DI MALATTIA DI UN DIPENDENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 19381 DEL 20 LUGLIO 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 19381 del 20 luglio 2018, ha statuito che è sottoposto a sanzione per invio ritardato della dichiarazione, l'intermediario che non trasmette nei termini il documento per errori bloccanti nel sistema o per malattia di un suo collaboratore che ha inserito i dati.

Il caso di specie, è relativo al ricorso avverso una sanzione amministrativa inflitta ad un soggetto abilitato alla trasmissione telematica delle dichiarazioni per invio oltre il termine prescritto, imputabile alla presenza di disguidi tecnici (id: errori bloccanti).

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, ribadendo un principio di diritto già precedentemente esposto, hanno respinto le doglianze del professionista, in quanto gli “errori bloccanti” che impediscono l’invio della dichiarazione, rientrano fisiologicamente nella sfera di quegli inconvenienti che possono essere efficacemente superati per mezzo delle conoscenze tecniche attinenti a tale professione.

Nello specifico, in tema di sanzioni amministrative comminate, per tardiva trasmissione telematica delle dichiarazioni dei contribuenti, ad un soggetto che svolga professionalmente tale compito, grava sempre su quest'ultimo, per poter andare esente da responsabilità, l'onere della prova di aver esercitato un’adeguata diligenza la quale, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, C.C., deve essere caratterizzata dalla perizia, che implica che egli non possa addurre quali scusanti né disguidi tecnici, né la malattia, l'infortunio o comunque l'indisposizione di un dipendente o di un qualsiasi collaboratore, in quanto circostanze ampiamente prevedibili che possono essere efficacemente prevenute con l'anticipata individuazione di un eventuale sostituto.

Pertanto, per la S.C., le conseguenti sanzioni amministrative non possono essere considerate risposta a delle violazioni meramente formali, e quindi in contrasto con l'art. 10 dello Statuto dei contribuenti, perché il rispetto dei termini per la trasmissione all'Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni dei contribuenti risponde all'esigenza, costituzionalmente rilevante, di permettere un efficace e reale controllo su di esse, in conformità al principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione e funzionale sia al rispetto del principio dell'equilibrio del bilancio che di quello, a tutela dello stesso contribuente, della capacità contributiva, ossia a che non siano fatti errori circa il quantum delle imposte dovute.

 

RESPONSABILITA’ AZIENDALE IN CASO DI INFORTUNIO SUL LAVORO CAUSATO DA UNA ROTTURA DELLO PNEUMATICO DELL’AUTO AZIENDALE 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 19513 DEL 23 LUGLIO 2018

La Corte di Cassazione, sentenza n° 19513 del 23 luglio 2018, ha statuito che l’azienda è sempre tenuta a verificare che gli interventi di riparazione sulle autovetture societaria siano fatti a norma di Legge.

Nel caso in commento, la Corte d’Appello di Venezia, a conferma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di regresso dell’Inail nei confronti della società datrice. Confermava inoltre la domanda di manleva da parte dell’azienda datrice nei confronti di Allianz e negava invece l’azione di Allianz verso la società che si è occupata della sostituzione degli pneumatici.

Nei fatti veniva accertato che erano stati sostituiti soltanto i pneumatici e non anche le valvole, nonostante il libretto di uso e manutenzione lo prescrivesse chiaramente.

Dunque, per l’infortunio accorso alla lavoratrice, in seguito alla rottura dello pneumatico, l’azienda non poteva esimersi dal controllare che il lavoro eseguito dal gommista fosse corretto.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con il ragionamento logico giuridico dei Giudici di merito, hanno ribadito che la norma UNI, così come richiamata nelle istruzioni della casa costruttrice di pneumatici, prevede la contestuale sostituzione di pneumatici e valvole. Però, il datore di lavoro non è stato in grado di dimostrare la richiesta di sostituzione delle valvole e nemmeno di aver verificato che il lavoro fosse stato effettivamente eseguito.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

 

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

 

 

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 3 Settembre 2018