18 Settembre 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT MESE DI AGOSTO 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Agosto 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Agosto 2017 è pari a 1,822532 e l’indice Istat è 101,40.

 

LA SOGLIA DI PUNIBILITA' RELATIVA ALLE OMESSE RITENUTE PREVIDENZIALI ATTUALMENTE FISSATA IN EURO ##10.000,00## DEVE ESSERE VERIFICATA CONSIDERANDO ANCHE EVENTUALI MENSILITA' PRESCRITTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 39882 DEL 4 SETTEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 39882 del 4 settembre 2017, ha statuito che, al fine di quantificare correttamente le somme dovute a titolo di ritenute previdenziali, per verificare l'eventuale superamento della soglia di punibilità, attualmente fissata in euro ##10.000,00##, è necessario far riferimento all'anno civile considerando anche le mensilità che, nelle more, dovessero risultare prescritte.

Nel caso de quo, un datore di lavoro veniva condannato, sia in I° grado che in Appello, per aver omesso di versare, nel corso dell'anno 2009, somme a titolo di ritenute previdenziali per euro ##11.200,00## circa.

Inevitabile il ricorso in Cassazione poiché le omissioni relative al periodo gennaio-marzo 2009 erano già estinte alla data della pronuncia di appello essendo decorso il termine prescrizionale.

Orbene gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, hanno evidenziato che nell'attuale quadro normativo la consumazione del reato appare coincidere con il superamento della soglia di euro ##10.000,00## considerando le mensilità a partire da gennaio senza dover attendere il mese di dicembre. Il reato si consuma al momento del superamento della soglia ed ulteriori “sforamenti” sono idonei a costituire autonome fattispecie di reato. Inoltre la nuova struttura del reato impone di tener conto, sempre al fine di verificare il superamento della soglia, di tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno e, conseguentemente, anche quelle eventualmente prescritte.

Pertanto, atteso che nel caso de quo il datore di lavoro non aveva versato ritenute previdenziali per oltre ##11.200,00## euro, i Giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso confermando la condanna penale già sancita nei gradi di merito.

 

LA VIOLAZIONE DELLE REGOLE INERENTI AI TURNI DI LAVORO E' ININFLUENTE AI FINI DELLA VALUTAZIONE SULLA RESPONSABILITA' PER GLI INFORTUNI OCCORSI AL DIPENDENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE –  SENTENZA N. 40706 DEL 7 SETTEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione – IV Sezione Penale -, sentenza n° 40706 del 7 settembre 2017, ha statuito, in tema di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni occorsi sul luogo di lavoro, che non può qualificarsi atto abnorme la condotta del lavoratore che si rechi, fuori dell'orario di lavoro, in un'area aziendale esponendosi ai rischi specifici.

Nel caso in esame, la Corte d'appello, ribaltando il giudizio di primo grado, aveva dichiarato la responsabilità penale di un datore di lavoro in relazione all'infortunio occorso ad un lavoratore che, prima dell'inizio del proprio turno di lavoro, si era recato all'interno del capannone aziendale esclusivamente per invitare un collega a consumare un caffè. Il lavoratore, durante la sua permanenza, inavvertitamente era stato investito da un muletto in movimento, durante una manovra in retromarcia.

Il datore di lavoro ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sull'assunto di un comportamento abnorme del dipendente che, all'orario in cui si era verificato l'infortunio, non avrebbe neanche dovuto essere presente sul luogo di lavoro, poiché il suo turno non era ancora iniziato.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha riconfermato la sentenza della Corte d'Appello specificando, in primis, che, laddove si verifichi un infortunio sul lavoro, l'interruzione del nesso causale è ravvisabile esclusivamente qualora il dipendente ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche.

Nel caso in specie, hanno argomentato gli Ermellini, il datore di lavoro ha omesso di procedere ad una corretta valutazione dei rischi specifici, nel settore della viabilità, nonché di apporre in loco idonea segnaletica. Compito del datore di lavoro è quello, infatti, di evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio dell'attività lavorativa, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele.

Non può pertanto ascriversi al lavoratore, hanno concluso gli Ermellini, la responsabilità dell'accaduto sulla base del rilievo che nell'ora dell'infortunio non avrebbe dovuto essere presente. La violazione delle regole inerenti ai turni di lavoro è infatti del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni relative all'infortunio verificatosi. Le regole dettate in tema di ripartizioni dei turni di lavoro non sono certamente volte ad evitare gli infortuni sul lavoro, non avendo neanche natura cautelare ma semplicemente organizzativa.

 

E’ ILLEGITTIMO L’AVVISO DI ACCERTAMENTO EMESSO SENZA TENERE IN CONSIDERAZIONE LO STATO DI MALATTIA DEL CONTRIBUENTE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 20505 DEL 29 AGOSTO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 20505 del 29 agosto 2017, ha statuito che è illegittimo l’accertamento fondato sugli studi di settore che non abbia tenuto in considerazione lo stato di malattia del contribuente, causa principale della contrazione dei ricavi.

IL FATTO

L’Agenzia delle Entrate emetteva a carico di un contribuente un avviso di accertamento perché i ricavi dichiarati risultavano non congrui rispetto al risultato di Gerico.

Nel corso del contraddittorio, il contribuente presentava memorie difensive allegando numerosi documenti che dimostravano problemi di salute sia propri sia dei suoi più stretti congiunti che avrebbero compromesso il normale svolgimento dell’attività di impresa e causato una forte contrazione dei ricavi.

Il contribuente presentava prontamente ricorso dinanzi alla giustizia tributaria risultando soccombente però in entrambi i giudizi di merito, da qui il ricorso per Cassazione.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, hanno sconfessato in toto il giudizio dei Giudici di merito dichiarando l’illegittimità dell’avviso di accertamento per le seguenti motivazioni:

  • l’Agenzia delle Entrate aveva operato e basato il proprio accertamento esclusivamente su valutazioni reddituali standardizzate, per aver tenuto conto della valenza probatoria di meri indizi o di presunzioni semplici, senza considerare in alcun modo la documentazione, attestante lo stato di malattia del contribuente e dei suoi cari, esibita in contraddittorio dal contribuente;
  • la C.T.R. in fase di appello aveva illegittimamente ignorato le motivazioni del contribuente per giustificare i risultati economici e reddituali negativi dell’attività da ella svolta, nell’anno oggetto di accertamento, trascurando del tutto, quindi, la questione dello stato di malattia del contribuente e dei suoi cari, sollevata fin dal primo grado dal contribuente, e il fatto che l’avviso di accertamento non avesse fatto menzione della documentazione esibita in contraddittorio attestante lo stato di malattia.

Per le motivazioni suddette la Corte Suprema ha rimandato nuovamente la causa alla CTR, in diversa composizione.

La decisione di legittimità in esame è molto importante in quanto conferma l’importanza che gli standard statistici utilizzati dagli studi di settore devono di volta in volta essere adattati al caso concreto, cioè vanno sempre analizzati e presi in considerazione fattori esterni che possono aver interessato il periodo di imposta e, conseguentemente, aver influenzato i ricavi dichiarati. 

 

LEGITTIMA LA PRESUNZIONE DI REDDITO NON DICHIARATO PER I VERSAMENTI EFFETTUATI SUL CONTO CORRENTE DEL LAVORATORE AUTONOMO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 19806 DEL 9 AGOSTO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 19806 del 9 agosto 2017, ha statuito che in caso di accertamento nei confronti di lavoratori autonomi, le presunzioni legali di cui all’ex art. 32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973, vengono meno esclusivamente per i prelevamenti, ex adverso per i versamenti effettuati su conto corrente è sempre onere del lavoratore autonomo provare analiticamente l’estraneità e la non imponibilità dei singoli movimenti al proprio reddito.

Il caso di specie riguarda il ricorso di un avvocato contro un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione sia dei versamenti che dei prelevamenti non giustificati, considerati presuntivamente come ricavi, in seguito della verifica dei movimenti effettuati sui propri conti correnti, contrariamente a quanto previsto dalla Corte Costituzionale in tema di presunzione sui prelevamenti dei lavoratori autonomi, che ha sancito la contrarietà della stessa al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva, ritenendo “arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”, e dichiarato, pertanto, l’illegittimità costituzionale della sopra riportata disposizione “limitatamente alle parole «o compensi»”.

I Giudici di piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno pertanto parzialmente accolto le doglianze del contribuente ricorrente, ma ribadendo che “in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del DPR n. 600/1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti”.

In nuce, gli Ermellini hanno cassato con rinvio la sentenza dei Giudici Territoriali, che deve essere riformulata conformemente al giudizio di legittimità.

 

NEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA/GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO IL GIUDICE NON E’ VINCOLATO ALLE TIPIZZAZIONI PREVISTE DAI CCNL.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 21062 DELL’11 SETTEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 21062 dell’11 settembre 2017, ha statuito che in caso di licenziamento per giusta causa il Giudice non è vincolato alle ipotesi disciplinari previste dai contratti collettivi.  

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Campobasso, a conferma della pronuncia di primo grado, rigettava l’appello proposto dal lavoratore licenziato per giusta causa in seguito ad una comunicazione di assenza per malattia del figlio, rilevatasi poi una scusa per recarsi presso lo stabilimento al fine di partecipare ad un referendum indetto dai sindacati.

I motivi posti a base del ricorso del lavoratore concernevano il difetto di proporzionalità, non essendo prevista nel CCNL metalmeccanici la misura espulsiva per tale fattispecie.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini hanno chiarito che il licenziamento per giusta causa deve riguardare la violazione degli elementi essenziali dal rapporto di lavoro, con particolare riguardo al vincolo fiduciario. Concretamente, la valutazione dei fatti addebitati investono l’aspetto soggettivo ed oggettivo dei fatti medesimi, le circostanze nelle quali sono stati commessi e l’intensità del profilo intenzionale, bilanciata nel contempo dalla proporzionalità fra fatti commessi e sanzionati, il tutto al fine di stabilire se la lesione del vincolo fiduciario nei fatti giustifichi il licenziamento. Inoltre, le stesse tipizzazioni contrattuali non vincolano in alcun modo il Giudice nel proprio operato valutativo. 

Ciò detto, i Supremi Giudici, pur ritenendo il comportamento del lavoratore non corretto, hanno comunque inteso rinviare alla corte territoriale ritenendo che la stessa non abbia svolto correttamente il giudizio di proporzionalità, proprio in considerazione del fatto nella sua componente oggettiva e soggettiva.

Ad maiora

L PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

   Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 18 Settembre 2017