2 Ottobre 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE TRATTIENE DELLE SOMME DI DENARO INCASSATE E LE CONSEGNA AL PROPRIO DATORE SOLO A DISTANZA DI ALCUNI GIORNI.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 22171 DEL 22 SETTEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione, sentenza n° 22171 del 22 settembre 2017, ha statuito che il licenziamento del dipendente che, dopo aver incassato delle somme di denaro da un cliente del proprio datore di lavoro, trattiene per sé il denaro, versandolo nelle casse aziendali solo dopo alcuni giorni, è pienamente legittimo venendo a ledersi il vincolo fiduciario fra le parti.

Nel caso in esame un dipendente consegnava alla propria azienda la somma di € ##500,00## circa dopo ben 17 giorni dall'avvenuto incasso e solo nel momento in cui il datore di lavoro aveva sollecitato il cliente “richiamandolo” per il mancato pagamento. All'esito del procedimento disciplinare – ex art. 7 della L. n° 300/70 -, l'azienda irrogava il licenziamento per giusta causa.

Soccombente in Appello, dopo il pieno soddisfo ottenuto in I° grado, il lavoratore ricorreva in Cassazione ritenendo che il proprio comportamento non fosse particolarmente grave da giustificare il recesso non avendo arrecato alcun danno patrimoniale al proprio datore ma “solo” una situazione di imbarazzo fra l'azienda ed il cliente. Il prestatore sosteneva, inoltre, di aver ricevuto la comunicazione del licenziamento oltre il termine previsto dal CCNL per la notifica dei provvedimenti disciplinari.

Orbene, gli Ermellini, nel confermare (quasi) integralmente il deliberato della Corte territoriale, hanno dapprima evidenziato che i Giudici di merito avevano correttamente valutato l'accaduto e che tale attività non è sindacabile in sede di legittimità. Successivamente, i Giudici di Piazza Cavour hanno nuovamente evidenziato che il termine previsto dal contratto collettivo di riferimento per la comunicazione del provvedimento disciplinare deve essere ritenuto regolarmente rispettato se la volontà del datore viene manifestata entro tale termine, non avendo alcuna rilevanza la data nella quale il prestatore ne ha ricevuto notizia.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina il datore di lavoro aveva inoltrato la missiva contenente l'irrogazione del licenziamento entro i 15 giorni stabiliti dal CCNL del settore terziario per la comunicazione del provvedimento disciplinare, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno respinto il ricorso confermando la legittimità del recesso intimato.

 

IL DIRITTO DEL LAVORATORE ALLA COSTITUZIONE DI UNA RENDITA VITALIZIA PER EFFETTO DEL MANCATO VERSAMENTO DI CONTRIBUTI E' SOGGETTO AL TERMINE ORDINARIO DI PRESCRIZIONE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE – SENTENZA N. 21302 DEL 14 SETTEMBRE 2017.

La Corte di Cassazione – Sezioni Unite -, sentenza n° 21302 del 14 settembre 2017, ha statuito, in tema di prescrizione per i contributi dovuti a favore del Fondo pensione lavoratori dipendenti, che il diritto del lavoratore di vedersi costituire una rendita vitalizia è soggetto al termine ordinario di prescrizione, che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps.

Nella vicenda in esame, una dipendente di una Pubblica Amministrazione, in relazione ad un rapporto di natura privatistica precedente a quello di pubblico impiego, aveva proposto ricorso al fine di vedersi riconoscere, per periodi lavorativi durante i quali era stata omessa la relativa contribuzione in virtù di un paventato rapporto di lavoro autonomo, la costituzione di una rendita vitalizia nei confronti dell'Inps. La Corte d'Appello di Firenze aveva accolto l'impugnazione della ricorrente contro la sentenza sfavorevole di primo grado, nel contempo condannando l'Inps alla determinazione della relativa riserva matematica e la Regione Toscana, della quale l'appellante era dipendente, a versare direttamente all'Inps tale riserva per la regolarizzazione della posizione assicurativa.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Regione Toscana contestando la decisione con la quale la Corte di merito aveva ritenuto che nella fattispecie non era maturata l'eccepita prescrizione del diritto preteso dalla controparte. Atteso che, il periodo per il quale si chiedeva l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro era compreso tra il 1973 e il 1974, ne conseguiva che, nel 1984 si era già prescritto il credito contributivo e, conseguentemente, nel 1994 il diritto alla costituzione della rendita, pertanto, a parere della P.A. era ormai elasso il termine di prescrizione sia per la richiesta al datore di lavoro per il riconoscimento contributivo, sia per la domanda all’Inps.

Orbene,  la Suprema Corte ha accolto il ricorso ed ha statuito che il diritto del lavoratore di vedersi costituire, a spese del datore di lavoro, la rendita vitalizia di cui all'art. 13, comma 5, della legge n° 1338 del 1962, per effetto del mancato versamento da parte di quest'ultimo dei contributi previdenziali, è soggetto al termine ordinatorio di prescrizione, che decorre dalla data di prescrizione del credito contributivo dell'Inps, senza che rilevi la conoscenza o meno, da parte del lavoratore, della omissione contributiva.

Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, atteso che il principio di certezza del diritto impone di considerare che sussiste un termine finale entro il quale il lavoratore interessato possa esercitare il diritto potestativo a vedersi costituire la rendita di cui all'art. 13, legge n° 1338/1962 per i contributi omessi, tale prescrizione non può che essere quella ordinaria decennale. A sua volta, quest'ultimo periodo di prescrizione, non può che decorrere dalla maturazione della prescrizione del diritto al recupero dei contributi da parte dell'Inps.

 

NON E’ SOGGETTO AD IRAP IL PROMOTORE FINANZIARIO ANCHE SE SI AVVALE DI UN COLLABORATORE.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 20797 DEL 5 SETTEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 20797 del 5 settembre 2017, ha statuito che il promotore finanziario ha diritto a ricevere il rimborso dell’Irap anche se nell’esercizio della sua attività si avvale di una struttura di mezzi e impiega un solo collaboratore tali da non costituire un’attività autonomamente organizzata.

Nel caso in specie, ad un promotore finanziario veniva rigettata, da parte dell'Agenzia delle Entrate, l'istanza di rimborso per l'IRAP versata, per cui ricorreva alla giustizia tributaria, ma in entrambi i gradi di giudizio di merito risultava soccombente.

In particolare la C.T.R. aveva ritenuto sussistente il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, in quanto il professionista nell’esercizio dell’attività si avvaleva di personale dipendente (un addetto segreteria) con spesa che variava negli anni da un minimo di € 25.000,00 ad un massimo di € 33.000,00, inoltre dal registro cespiti emergeva un rilevante valore dei beni strumentali, senza considerare un elevato volume d'affari difficilmente raggiungibile col solo apporto del titolare.

Il contribuente ricorreva allora per Cassazione.

Orbene, i Giudici del Palazzaccio con la sentenza de qua, nell’accogliere in toto il ricorso del contribuente hanno ricordato innanzitutto che, in base ai principi affermati dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. n. 9451 del 10 maggio 2016), cui si è uniformata la successiva giurisprudenza, il requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 del D.lgs. n. 446/1997, quale presupposto impositivo dell’Irap, ricorre quando il contribuente:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
  • si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segretaria ovvero meramente esecutive.

Inoltre, i Giudici di Piazza Cavour hanno anche censurato la sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici di secondo grado non solo non hanno valutato i singoli bene necessari per l’espletamento dell’attività, che non eccedevano il minimo indispensabile ma, hanno anche erroneamente ritenuto rilevante, ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione, il volume d’affari dichiarato.

Per tutte le considerazioni di cui sopra la sentenza impugnata è stata cassata e decidendo la causa nel merito, la Corte Suprema ha accolto l’originario ricorso del contribuente.


IL FISCO NON PUO’ SINDACARE LA DEDUCIBILITA’ DELLE SPESE DI SPONSORIZZAZIONI IN FAVORE DI SOCIETÀ, ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE SE RIENTRANTI DEL LIMITE DEI 200.000 EURO ANNUI

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 21333 DEL 14 SETTEMBRE 2017

La Corte di Cassazione – Sezione tributaria -, sentenza n° 21333 del 14 settembre 2017, ha statuito che è legittima la deduzione operata dall’impresa nella determinazione del reddito, dei costi di sponsorizzazione sostenuti a favore della società sportiva dilettantistica sulla base di una presunzione legale assoluta di qualificazione, nei limiti di € 200.000,00 euro, come spese di pubblicità volte alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante il corrispettivo in denaro, quindi, inerenti e congrue all’esercizio dell’attività commerciale.

Nel caso in specie, ad una società veniva notificato un avviso di accertamento relativo ad IRPEF, per una ripresa a tassazione dovuto al mancato riconoscimento e alla ritenuta indeducibilità per difetto d’inerenza, delle spese di sponsorizzazione sostenute a favore di due associazioni dilettantistiche.

La società proponeva prontamente ricorso dinanzi alla giustizia tributaria risultando vittoriosa in entrambi i gradi di giudizio di merito.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva allora per Cassazione lamentando l’erroneità della decisione dei Giudici d’Appello di ritenere inerenti i costi di sponsorizzazione delle due società dilettantistiche, all’esercizio dell’attività d’impresa del contribuente, considerato anche l’elevato importo, avuto riguardo agli altri costi sostenuti dall’impresa per il personale o per gli oneri diversi di gestione, la scarsa rilevanza e conoscibilità delle associazioni sportive sponsorizzate, appartenenti allo stesso ambito territoriale dove la società contribuente aveva sede, ed infine la mancata dimostrazione di aver acquisito nuovi clienti locali tenendo conto che i costi dovevano essere strumentali alla promozione dell’immagine dell’impresa.

Orbene, la Corte di Cassazione, con la sentenza de qua ha rigettato il ricorso dell’Ufficio.

In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che la norma di cui all’art. 90, comma 8, legge n. 289/2002 prevede che i corrispettivi in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni che esercitano attività nei settori giovanili riconosciute dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, rappresentano per il soggetto erogante, spese di pubblicità, dirette alla promozione dell'immagine o dei prodotti, nei limiti di 200.000 euro annui. (Cass. n. 7202/17, 5720/16), quindi, inerenti e congrue all’esercizio dell’attività commerciale.

Si tratta in altre parole, hanno concluso gli Ermellini, di una vera e propria presunzione legale di inerenza di tali spese.

In conclusione, i costi di sponsorizzazione per essere pienamente deducibili è necessario che sussistono le seguenti condizioni:

  1. le somme erogate siano volte a promuovere l’immagine o il prodotto dell’impresa;
  2. il soggetto sponsorizzato sia un’associazione sportiva dilettantistica;
  3. venga rispettato il limite di 200.000 euro.

 

LO SVOLGIMENTO DI ALTRA PRESTAZIONE LAVORATIVA DURANTE LA MALATTIA NON PRESUPPONE AUTOMATICAMENTE UNA SIMULAZIONE DI MALATTIA 

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 21667 DEL 19 SETTEMBRE 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 21667 del 19 settembre 2017, ha statuito che lo svolgimento di altra attività lavorativa legittima il licenziamento solo all’esito di una puntuale verifica sull’effettiva condotta del lavoratore atteso che non determina automaticamente una simulazione di malattia.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma alla sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza, riteneva illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore sulla base di prove investigative (fotografiche)  portate a supporto della decisione di primo grado, quali l’apertura e la chiusura del negozio del proprio figlio, guida dell’autovettura, lo spostamento di un sacco parzialmente vuoto della Carrefour, lo spostamento di piccole piante e l’apertura e chiusura dell’esercizio, non giustificavano di per sé il licenziamento. Difatti, la Corte d’Appello aveva appurato che il lavoratore aveva subito un trauma contusivo alla spalla ed al polso sinistro, attività incompatibili con quelle di autista di camion con obbligo di carico e carico merci.

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, hanno chiarito che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia è idoneo a giustificare il licenziamento nel caso in cui l’attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e, quindi, ad evidenziare una simulazione dello stato di malattia. Nel caso in commento, i Supremi Giudici hanno rigettato il ricorso dell’azienda ritenendo corretto il ragionamento logico giuridico della Corte d’Appello secondo cui dalle risultanze processuali non emergevano fatti tali da integrare violazione della buona fede e correttezza e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, riscontrando al contrario assenza di simulazione e nessun ritardo nella guarigione. In concreto, la guida dell’auto, il trasporto di un piccolo sacchetto, lo spostamento di una piantina e l’apertura dell’esercizio mediante dispositivo elettronico non potevano essere considerate espressione di simulazione di malattia, malattia incompatibile con l’attività di autista che prevede il carico e lo scarico di merci.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

  Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 2 Ottobre 2017