30 Settembre 2019

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

IL REATO DI INDEBITA COMPENSAZIONE NON PUO' RAVVISARSI IN RELAZIONE A SOMME DOVUTE PER CONTRIBUTI PREVIDENZIALI E ASSISTENZIALI.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 38042 DEL 13 SETTEMBRE 2019

La Corte di Cassazione – I Sezione Penale -, sentenza n° 38042 del 13 settembre 2019, – ha affermato che il reato di indebita compensazione ex art. 10 quater del D.Lgs. n°74/2000 si configura solo se "somme dovute", oggetto dell'indebita compensazione, si riferiscono esclusivamente ad imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Nel caso de quo, il Tribunale del riesame di Brescia provvedeva – a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione – ad annullare il sequestro per equivalente disposto nei confronti di vari imputati con riguardo alle contestazioni del delitto previsto dall'art. 10 quater del D.Lgs. n°74/2000. Più nel particolare, il Tribunale osservava che il reato della indebita compensazione (nel modello F24) di somme dovute con crediti inesistenti considerando correttamente la collocazione normativa (id: reati tributari) della sua previsione non poteva ravvisarsi in relazione all'omesso versamento di contributi, previdenziali e assistenziali ma soltanto per le compensazioni indebite relative a imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Avverso il suindicato Provvedimento del Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia osservando che per comprendere  la ratio dell'art. 10 citato, occorre necessariamente considerare il richiamo del D.Lgs. n°241 del 1997, art.17, in esso contenuto, pertanto, il riferimento alle "somme dovute", oggetto dell'indebita compensazione di cui trattasi, possono essere tutte quelle di cui all'apposito "Modello F24", senza che quindi siano operabili distinzioni fra i debiti fiscali e quelli di diversa natura.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la chiave di lettura dell'art. 10 citato è tesa a valorizzare la collocazione del reato in un testo di legge che, secondo il titolo, disciplina i soli reati in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto.

La giurisprudenza della Cassazione, hanno argomentato gli Ermellini, ha varie volte seguito un atteggiamento rigorista, facendo ricomprendere nella fattispecie di cui all'art. 10 tutte le ipotesi di indebita compensazione, a qualsiasi titolo. Tuttavia, hanno continuato gli Ermellini, la più recente decisione Sez. 3, n°8689 del 30/10/2018, alla quale si intende dare seguito, ha delineato una struttura asimmetrica dell'art. 10 quater e la qualifica come compatibile con la ratio complessiva del citato decreto, in quanto esso è diretto a sanzionare le violazioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e, dunque, prende in considerazione soltanto tali tipologie di tributi sul lato passivo, ma non anche su quello attivo, potendo così venire in rilievo, quale strumento per diminuire artificiosamente l'entità dell'imposta da versare, qualunque tributo o contributo che possa opporsi in compensazione secondo le disposizione dettate in materia.

Pertanto, il richiamo all’art. 17 del D.Lgs. n°241 del 1997 riguarda tutti i crediti per cui è possibile la compensazione, ma l’omissione del versamento si riferisce alle sole imposte sui redditi e Iva e non ai contributi previdenziali di cui il testo normativo non si occupa.

 

SOGGETTO AD IRAP IL PROFESSIONISTA COADIUVATO DALLA MOGLIE.

CORTE DI CASSAZIONE  – SEZIONE TRIBUTARIA – ORDINANZA  N. 22469 DEL 9 SETTEMBRE 2019

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanza n° 22469 del 9 settembre 2019, ha statuito che deve pagare l'IRAP il professionista che si fa aiutare dalla moglie in segreteria dandole uno stipendio molto alto.

I Giudici di piazza Cavour, con ordinanza de qua, ribaltando il verdetto dei precedenti giudizi, hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti di un promotore finanziario che aveva pagato la rilevante cifra di 100 mila euro al coniuge per lavori di segreteria. Le doglianze del contribuente erano incentrate sul fatto che l'apporto della moglie non avrebbe aumentato il suo fatturato e di conseguenza non faceva scattare l'autonoma organizzazione.

Nello specifico, per gli Ermellini, “l'IRAP afferisce non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un'attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi, sicché ne è soggetto passivo pure l'imprenditore familiare ma non anche i familiari collaboratori atteso che la collaborazione dei partecipanti integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare ed è, quindi, sintomatica del relativo presupposto impositivo”.

In nuce, la S.C. ha evidenziato che l'attività svolta dal promotore finanziario non è qualificabile automaticamente come attività di impresa, di per sé assoggettata a imposta, ma, anche alla stregua dell'interpretazione della Corte Costituzionale con la sentenza n.156/2001, richiede una valutazione complessiva, da parte del Giudice di merito, degli elementi di fatto offerti dalla fattispecie concreta, poiché essa, a norma dell'art. 31 del D.lgs n.58/98, può essere svolta “in qualità di dipendente, agente o mandatario” e, quindi, può assumere connotati variabili tra la figura del lavoro subordinato dipendente, esente da imposta, quella del lavoro autonomo, assoggettabile a imposta solo in presenza di un'autonoma organizzazione, e quella dell'attività d'impresa, pacificamente sottoposta a imposizione.

 

NEL CALCOLO DEL PERIODO DI COMPORTO VANNO COMPRESI ANCHE I GIORNI DI CONGEDO STRAORDINARIO NON COMUNICATI PREVENTIVAMENTE AL DATORE DI LAVORO.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 22928 DEL 13 SETTEMBRE 2019

La Corte di cassazione, sentenza n° 22928 del 13 settembre 2019, ha statuito che nel calcolo del periodo di comporto vanno compresi anche i giorni coperti dal congedo straordinario, se la richiesta non è stata comunicata preventivamente al datore di lavoro.

Nel caso in esame, i Giudici nomofilattici hanno respinto il ricorso di un lavoratore, che impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto ritenendo che l’azienda avesse ricompreso, nel calcolo del comporto stesso, le assenze per congedo straordinario, concesso dall’INPS, per l’assistenza di un familiare disabile.

Tali assenze non erano, però, state preventivamente comunicate al datore di lavoro.

Ebbene, i Giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato che il lavoratore ha l’obbligo di presentare la richiesta di congedo straordinario al proprio datore di lavoro, donde “la domanda non solo deve essere trasmessa all’INPS per le verifiche di competenza e in quanto soggetto che subisce l’onere finanziario del congedo ma anche al datore di lavoro, per consentirgli anche l’adozione delle misure organizzative che la richiesta dovesse rendere necessarie”.

Nella fattispecie, la comunicazione al datore non era stata effettuata e, pertanto, data la violazione di quest’obbligo di comunicazione doveva ritenersi consumato il periodo di comporto, donde il licenziamento è stato confermato.

 

LA MODIFICA SOLO QUANTITATIVA DELLE MANSIONI PRECEDENTEMENTE SVOLTE DAL LAVORATORE NON È DEMANSIONAMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 22488 DEL 9 SETTEMBRE 2019

La Corte di Cassazione, sentenza n° 22488 del 9 settembre 2019, ha statuito che non costituisce demansionamento la sola riduzione “quantitativa” delle mansioni.

Il giudizio in questione nasce con riferimento alla precedente formulazione dell’art. 2013 c.c., prima della modifica del jobs act, donde in vigenza del principio della “equivalenza”.

La mancata adibizione alle mansioni di assunzione (ovvero quelle successivamente acquisite) consentono al lavoratore di richiedere un risarcimento di un danno contrattuale, ex art. 1218 c.c., con l’effetto che, ricade sul datore di lavoro l’onere di provare il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuale. Detto onere può essere assolto mediante ricorso alle seguenti alternative:

– la prova della mancanza in concreto del demansionamento;

– la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari;

– la prova di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Nel caso in questione, un dipendente ricorreva avverso il proprio datore di lavoro per ottenere il risarcimento del danno da demansionamento e mobbing. Tuttavia, in appello, la Corte distrettuale aveva accertato che al venir meno dei compiti di coordinamento, precedentemente svolti dal lavoratore, non era seguito uno svuotamento qualitativo delle mansioni.

Conforme il giudizio dei Giudici nomofilattici che, nel respingere il ricorso del lavoratore, hanno precisato che dall’istruttoria emersa nei gradi di merito ed adeguatamente motivata non era emersa una differenza “qualitativa”, ma solo “quantitativa” delle mansioni in precedenza svolte, data l'assoluta marginalità dell’attività di coordinamento del lavoratore. Da qui, il rigetto del ricorso del lavoratore.

 

LA SUBORDINAZIONE VA VALUTATA TENENDO PRESENTI GLI ELEMENTI C.D. “SUSSIDIARI” NEL CASO IN CUI IL LAVORATORE ABBIA UN DISCRETO MARGINE DI AUTONOMIA.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 22293 DEL 5 SETTEMBRE 2019.

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 22293 del 5 settembre 2019, ha (ri)statuito che l’etero-direzione non è esclusa da eventuali margini di autonomia, iniziativa e discrezionalità del lavoratore. In tali circostanze, sopperiscono i criteri complementari e sussidiari, che singolarmente presi non hanno valore decisivo, ma se valutati globalmente possono essere indice probatorio della subordinazione.

La Corte d'Appello di Lecce, riformando la sentenza di primo grado, riconosceva il rapporto di subordinazione intercorso fra un lavoratore ed una agenzia immobiliare. Il convincimento della Corte si era formato sulla valutazione delle prove raccolte, anche a mezzo testimoni, da cui era emersa un’organizzazione aziendale complessa in cui il lavoratore era sottoposto ad un potere gerarchico e disciplinare, assegnato ad una sede di lavoro, le cui mansioni venivano svolte mediante puntuale indicazione degli immobili da visionare e con utilizzo di attrezzature aziendali. 

Orbene, nel caso de quo, gli Ermellini, in linea con il ragionamento logico giuridico dei giudici distrettuali, hanno ribadito il principio secondo il quale l’etero-direzione non può dirsi esclusa in presenza di prestazioni di natura professionale e/o intellettuale o di elevato contenuto specialistico. Difatti, quando l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo altrui non è netto, proprio in virtù delle mansioni svolte, si può fare riferimento ai criteri complementari e sussidiari. Tali elementi, purché valutati globalmente, posso essere indice probatorio di subordinazione.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono, Attilio Pellecchia e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 30 Settembre 2019