27 Febbraio 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE ISTAT PER T.F.R. MESE DI GENNAIO 2017

E’ stato reso noto l’indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Gennaio 2017. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. di Gennaio 2017 è pari a 0,349327 e l’indice Istat è 100,60.
 

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE DENUNCIA IL PROPRIO DATORE DI LAVORO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA ANCHE SE LE ACCUSE SI DIMOSTRANO INFONDATE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.4125 DEL 16 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4125 del 16 febbraio 2017, ha statuito che è da ritenersi illegittimo il licenziamento intimato al dipendente che abbia denunciato il proprio datore di lavoro, alla Procura della Repubblica ed al Ministero del Lavoro, anche se le accuse mosse dal prestatore non hanno trovato riscontro.

Nel caso de quo, un dipendente di una azienda alimentare denunciava, agli Organi preposti, un utilizzo illegittimo della cassa integrazione guadagni, una non corretta applicazione del C.C.N.L. di lavoro e, finanche, la violazione della normativa in materia di intermediazione di manodopera, da parte del proprio datore di lavoro.

L'azienda, all'esito del procedimento disciplinare, provvedeva ad intimare il licenziamento per giusta causa.

La dipendente, soccombente in entrambi i gradi di giudizio, ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare totalmente il deliberato di prime cure, hanno evidenziato che non integra giusta causa, ovvero giustificato motivo soggettivo, di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci all'Autorità giudiziaria, ovvero all'Autorità amministrativa competente, fatti di reato o illeciti amministrativi, commessi dal datore di lavoro, a meno che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o la consapevolezza della insussistenza dell'illecito.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina, il dipendente aveva denunciato, da “buon cittadino”, i presunti illeciti, senza pubblicizzarli al di fuori delle Autorità competenti, i Giudici dell'Organo di nomofilachia hanno ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa, rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo deliberato che tenga conto del principio sopra esposto.

                                               

ALL’ESITO DELL’ACCERTAMENTO DELLA SUSSISTENZA DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO E’ ILLEGITTIMA L’APPOSIZIONE DELLA CLAUSOLA CONTENENTE PATTO DI PROVA QUALE CONDIZIONE PER LA RIAMMISSIONE IN SERVIZIO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3469 DEL 9 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3469 del 9 febbraio 2017, ha stabilito la illegittimità del patto di prova qualora il rapporto di lavoro si sia già consolidato a tempo indeterminato.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Palermo aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad un lavoratore a causa delle assenze ingiustificate protrattesi per oltre trenta giorni lavorativi. In particolare, tra il lavoratore e la società datrice era già stata dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale conseguenza dell’illegittimo ricorso al lavoro somministrato. La relativa sentenza ne aveva disposto la riammissione in servizio, ma il datore di lavoro aveva preteso la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro con apposizione di una clausola contenente patto di prova con previsione di libera recedibilità nel corrispondente periodo. Al rifiuto del lavoratore alla sottoscrizione era conseguito l’ordine di allontanamento, rispetto al quale il dipendente aveva dapprima contestato la legittimità e successivamente manifestato la propria disponibilità a riprendere il servizio. La società, nelle more degli accadimenti, gli aveva contestato l’assenza ingiustificata e irrogato il licenziamento.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società datrice.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso riconfermando le motivazioni espresse dalla Corte territoriale che, obiettivamente aveva ritenuto illegittimo il licenziamento e giustificato l’inadempimento del lavoratore. I Giudici della Suprema Corte hanno altresì argomentato ribadendo che il patto di prova previsto dall’art. 2096 c.c. tutela l’interesse di entrambe le parti a sperimentare la convenienza del rapporto di lavoro che si intende instaurare, consentendo, proprio in ragione di detto interesse, il recesso ad nutum qualora l’esperimento abbia dato esito negativo. Ne deriva che, ove il rapporto di lavoro si sia già consolidato a tempo indeterminato, come nel caso di specie, la verifica preliminare non ha più ragione di essere compiuta.

 

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DEL LAVORATORE CHE ESERCITI IL PROPRIO DIRITTO DI CRITICA NELL'AMBITO DI UNA QUESTIONE SINDACALE DI RILIEVO NAZIONALE.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 3484 DEL 9 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 3484 del 9 febbraio 2017, ha stabilito la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore che, pur non essendo un rappresentante sindacale, esprima, nell'ambito di una controversia sindacale, con l'utilizzo di mail aziendale, opinioni irriguardose nei confronti della società datrice di lavoro.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Torino, uniformandosi al giudizio espresso dal Tribunale della stessa città, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore dalla datrice di lavoro, a seguito di contestazione in cui la società gli aveva addebitato, nell'ambito di una controversia sindacale, di aver inviato a 44 lavoratori, utilizzando l'indirizzo di posta elettronica dell'azienda, una mail contenente frasi offensive nei confronti del vertice aziendale nonché di incitamento a "resistere e sabotare l'azienda".

In particolare, la Corte d'Appello aveva ritenuto infondato il rilievo della società secondo cui il lavoratore non avrebbe potuto godere di alcuna posizione privilegiata, non essendo rappresentante sindacale. A parere dei giudici di prime cure, l'invio della mail oggetto di contestazione costituiva comunque esercizio legittimo di un diritto di critica, tutelato dagli artt. 1 e 14 della legge n°300/70.

La società datrice ha proposto ricorso per cassazione per violazione e falsa applicazione dei citati artt. 1 e 14 della legge n°300/70.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e stabilito che l'invio della mail oggetto di contestazione rientrava comunque nel diritto di critica e di libertà sindacale derivante dall'applicazione degli artt. 1 e 14 della legge n°300/70 e dall'art. 21 Cost.. L'esercizio del diritto allo svolgimento di attività sindacale spetta a tutti i lavoratori indistintamente, anche a prescindere da una specifica carica rappresentativa sindacale. La Corte territoriale, pertanto, a giudizio degli Ermellini, ha correttamente valutato altresì, il tenore delle espressioni utilizzate dal lavoratore, ritenendo che le stesse andassero lette nel contesto della conflittualità aziendale che aveva raggiunto toni forti, documentati anche da molteplici articoli di stampa pubblicati nei giorni precedenti a quanto occorso.

 

IL CONTRIBUENTE TRUFFATO DAL CONSULENTE SENZA MANDATO PUÒ PROPORRE OPPOSIZIONE AD UN ATTO ANCHE OLTRE I TERMINI DI LEGGE

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 1486 DEL 20 GENNAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 1486 del 20 gennaio 2017, ha statuito che è rimesso in termini il contribuente truffato dal suo consulente senza un mandato, in quanto per l’applicazione dell’istituto ex art. 153 CPC, applicabile anche al processo tributario, è sufficiente un evento impeditivo di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo, estraneo alla volontà della parte.

Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato in toto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria di Napoli che aveva rimesso in termini una contribuente per l’impugnazione di un accertamento notificato a fini IRPEF, in considerazione della truffa consumata ai suoi danni dal suo consulente, considerata un evento impeditivo di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo, assunto contestato dal Fisco secondo il quale in tale ipotesi si configura una culpa in vigilando nei confronti del professionista incaricato e non un evento non imputabile alla parte.

Gli Ermellini, con la sentenza de qua, hanno ribadito che l’istituto della rimessione,  di cui all’ex art. 153, c. 2, CPC, è applicabile anche al processo tributario e presuppone l’esistenza di un “fatto impeditivo della tempestiva proposizione di impugnazione, estraneo alla volontà della parte e, quindi, non imputabile, evidenziato nel caso in esame dal fatto che vi sia stata una truffa perpetrata in danno della contribuente e che la stessa non avesse in realtà conferito alcun mandato al precedente consulente, il quale aveva falsamente attestato di aver definito l’avviso nonché la successiva cartella apponendo la firma falsa della ricorrente.

 

IL T.F.R. RAPPORTO RIENTRA, A PIENO TITOLO, NELL’OGGETTO DELLA DOMANDA DI LICENZIAMENTO SECONDO IL RITO FORNERO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 4118 DEL 16 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4118 del 16 febbraio 2017, ha chiarito che il trattamento di fine rapporto non può essere escluso dal rito di cui alla legge 92/2012 in quanto riconducibile comunque al licenziamento.

Nel caso in commento, il Tribunale di Napoli, in seguito all’impugnativa di licenziamento direttamente riconducibile alla condanna di un anno e sei mesi di un dipendente per reati fiscali, rigettava l’impugnativa di licenziamento, mentre confermava l’importo dovuto del T.F.R.

Successivamente, la Corte d’Appello di Napoli, nel confermare quanto stabilito dal Tribunale di primo grado, dichiarava anche improcedibile la domanda proposta in appello avente ad oggetto il pagamento del TFR.

Nel caso de quo, gli Ermellini, in riferimento ai ricorso presentato dal lavoratori basato su 5 motivazioni, hanno ritenuto non fondati i primi quattro motivi, rimarcando in particolare l’aspetto della lesione del vincolo fiduciario. Diversa invece è la questione inerente il quinto motivo, ossia l’inclusione della richiesta del TFR nel rito in commento. Difatti, i Giudici hanno ritenuto fondata l’eccezione sul pagamento del TFR e dell’indennità di preavviso in quanto nascenti dalla cessazione del rapporto di lavoro e, quindi, non riferibili ad alcun indebito ampliamento del tema posto al Giudice perché riconducibili al medesimo episodio estintivo.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 27 Febbraio 2017