6 Marzo 2017

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,

nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE COMUNICA AL DATORE DI LAVORO IL PROPRIO STATO DI MALATTIA NON RISPETTANDO DEL TUTTO LE PROCEDURE E LE TEMPISTICHE AZIENDALI.

CORTE DI CASSAZIONE –  SENTENZA N. 4619 DEL 22 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4619 del 22 febbraio 2017, ha statuito che é da ritenersi illegittimo il licenziamento intimato al dipendente, assente alla visita medica di controllo dello stato di malattia, che sia stato oggetto di precedenti procedimenti disciplinari per non aver adeguatamente rispettato le procedure aziendali previste per la comunicazione degli eventi morbosi.

Nel caso de quo, un dipendente, all'esito del procedimento disciplinare, veniva licenziato, per giusta causa, per non essere stato trovato al proprio indirizzo, indicato quale reperibilità, durante il controllo posto in essere dall'INPS in riferimento allo stato di malattia regolarmente certificato dal medico curante. A fondamento dell'atto di recesso, il datore di lavoro evidenziava altre due mancanze del medesimo prestatore: l'aver comunicato una precedente malattia al collega di lavoro in luogo del proprio superiore gerarchico e l'ulteriore tardiva comunicazione di un altro evento morboso (5 ore e 18 minuti prima dell'assenza in luogo delle 6 ore minime) contravvenendo, in entrambi i casi, alle procedure previste dal regolamento aziendale).

Il subordinato adiva la Magistratura trovando pieno soddisfo, alle proprie richieste, in entrambi i gradi di merito.

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione.

Orbene, gli Ermellini, nel rigettare il ricorso in quanto il deliberato di prime cure era ampiamente e logicamente motivato e, conseguentemente, insindacabile in sede di legittimità, hanno, in ogni caso, evidenziato che delle modeste difformità, rispetto alle regole aziendali previste dall'apposito regolamento interno, nelle comunicazioni dello stato di malattia, non sono idonee a legittimare il recesso per giusta causa, a maggior ragione in assenza di precedenti disciplinari di particolare rilievo.

Pertanto, atteso che nel caso in disamina, non era stata dimostrata la sciente volontà del lavoratore di rendersi irreperibile alla visita di controllo diretta ad accertare il reale stato di malattia e che le sue  precedenti “mancanze” non erano state considerate, dai Giudici di merito, di particolare gravità disciplinare, i componenti dell'Organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso ritenendo che il decisum di prime cure fosse sorretto da idonea e logica motivazione, insindacabile in sede di Cassazione.

                                               

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DEL LAVORATORE CHE NON EMETTE LO SCONTRINO FISCALE PER LA VENDITA DI DUE TRANCI DI PIZZA.                                                                                               

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 4313 DEL 20 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4313 del 20 febbraio 2017, ha stabilito la illegittimità del licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente, all'esito della procedura ex art. 7 legge n°300/70 per la mancata emissione di scontrino fiscale.

Nel caso de quo, la Corte d'Appello di Venezia, uniformandosi al giudizio espresso dal Tribunale della stessa città, dichiarava la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo disposto nei confronti di un lavoratore per non aver emesso uno scontrino di  € 5,30, per la vendita di due tranci di pizza quale addetto al banco pizzeria della società presso il buffet ferroviario della stazione di Venezia, comportante una sanzione di € 134,16 comminata da agenti della Guardia di Finanza, intervenuti nell'immediatezza.

La Corte territoriale aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento intimato rispetto al fatto contestato in considerazione altresì, dell'assenza di alcun precedente in sedici anni di servizio e delle giustificazioni addotte dal dipendente che si era appellato ad una negligenza giustificabile per l'intensa affluenza di clientela in quell'orario.

Non dello stesso avviso la società datrice che ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza.

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dando rilievo alle argomentazioni dei Giudici di prime cure. Ed infatti, hanno continuato gli Ermellini, nel rispetto di una corretta ripartizione dell'onere della prova, la Corte territoriale, come già il primo Giudice, aveva escluso la consistenza della condotta del lavoratore nel notevole inadempimento previsto dal giustificato motivo soggettivo, in assenza, tra l'altro, di prova dell'appropriazione (neppure contestata dalla datrice) del denaro corrispondente allo scontrino non emesso.

 

LA NOTIFICA DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO O DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO NELLE MANI DEL PORTIERE E’ NULLA QUANDO LA RELAZIONE DELL’UFFICIALE NOTIFICATORE E’ PRIVA DELLA ATTESTAZIONE IN ORDINE AL MANCATO RINVENIMENTO DI ALTRE PERSONE LEGITTIMATE A RICEVERE L’ATTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE TRIBUTARIA – SENTENZA N. 3595 DEL 10 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, sentenza n° 3595 del 10 febbraio 2017, ha statuito che la notifica della cartella esattoriale o dell’avviso di accertamento, eseguita dall’ufficiale notificatore direttamente a mani del portiere del domicilio fiscale della società destinataria è nulla se l’ufficiale notificatore non ha dato atto nella relata, oltreché dell’assenza del destinatario, delle ricerche delle altre persone legittimate a ricevere l’atto.
Nel caso in specie, una società provvedeva ad impugnare una cartella esattoriale deducendone la nullità per la mancata notifica dell’atto prodromico in quanto l’ufficiale notificatore non aveva detto nulla sull’irreperibilità della società destinataria e di altri eventuali addetti.

La C.T.R. a conferma della decisione di prime cure, respingeva l’appello della società ritenendo che invece la cartella fosse stata preceduta dalla rituale notifica dell’avviso di accertamento, in quanto esso era stato consegnato dal messo comunale al custode dello stabile in cui risiedeva il liquidatore.

Si ricorda che l’art. 139 c.p.c. dispone che: “Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, allo ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace. In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda……”.

Orbene, gli Ermellini, con la sentenza de qua hanno accolto il ricorso della società uniformandosi al dominante indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale “in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde il relativo accertamento, sebbene non debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve, nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dal secondo comma dell’art. 139 c.p.c., secondo la successione preferenziale da detta norma tassativamente stabilita”.

Ancora, i Giudici del Palazzaccio hanno proseguito affermando che il Giudice di secondo grado aveva trascurato l’aspetto fondamentale del contenuto della relazione di notificazione, limitandosi a prendere per buona la notifica nella mani del portiere, stante il successivo invio della raccomanda informativa prevista dall’art. 139, comma 2, c.p.c., raccomandata che non risultava utile a porre il destinatario a conoscenza dell’avvenuta notificazione.

In conseguenza dei suddetti rilievi, la sentenza di secondo grado è stata cassata con accoglimento del ricorso della società contribuente e condanna al pagamento delle spese di giudizio a carico dell’Agenzia delle Entrate.

 

LEGITTIMO IL SEQUESTRO DEI GIOIELLI ALLA MOGLIE PER I REATI TRIBUTARI DEL MARITO

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 6595 DEL 13 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione – Sezione Penale -, sentenza n° 6595 del 13 febbraio 2017, ha statuito che è pienamente legittimo il sequestro dei gioielli alla moglie se il marito è stato condannato per reati tributari, e i coniugi sono in regime di comunione legale, ex adverso, in regime di separazione, occorrerà verificare la capacità reddituale per l’acquisto. Possono invece essere esclusi i beni considerati strettamente personali.

Nel caso di specie, i Giudici del Palazzaccio hanno accolto in toto le doglianze del Pubblico Ministero, che aveva chiesto e ottenuto dal GIP il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per vari reati, anche associativi di natura tributaria, riguardante alcuni gioielli rinvenuti nella disponibilità della moglie dell’indagato, per i quali il coniuge dell’imprenditore non aveva fornito prova di averne l’esclusiva disponibilità.  Il Tribunale del Riesame di Roma aveva invece previsto la restituzione dei gioielli sottoposti a sequestro preventivo.

Con la sentenza de qua, gli Ermellini, hanno ritenuto fondato il ricorso presentato dal PM, in quanto occorre considerare che i due coniugi erano in regime di comunione di beni, e che comunque, la moglie non aveva redditi sufficienti a giustificare l'acquisto dei preziosi sequestrati. La Suprema Corte ha evidenziato come "è evidente che in caso di comunione legale dei beni, gli acquisti effettuati dopo il matrimonio sono di proprietà anche dell'altro coniuge a meno che non si tratti di beni di uso strettamente personale del tutto sottratti alla disponibilità dell'altro." Il ricorso al criterio del reddito può assumere rilevanza esclusivamente se gli acquisti sono stati effettuati in regime di separazione dei beni. 

 

L'OBBLIGO DI ISCRIZIONE ALLA GESTIONE COMMERCIANTI SUSSISTE QUANDO LA PARTECIPAZIONE HA CARATTERE DI ABITUALITA' E PREVALENZA.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 4812 DEL 24 FEBBRAIO 2017

La Corte di Cassazione, sentenza n° 4812 del 24 febbraio 2017, ha chiarito che affinché sorga l'obbligo di iscrizione alla gestione commercianti è necessaria anche la partecipazione personale del socio con carattere di abitualità e prevalenza.

Nel caso in commento, la Corte d'Appello di Venezia, in riforma del Tribunale di primo grado,  accoglieva la richiesta dell'Inps sul presupposto che il soggetto, per il solo fatto che rivestiva la carica di socio accomandatario, era l'unico abilitato a compiere determinati atti in nome e per conto della società. Circostanza che da sola era sufficiente a ritenere la partecipazione abituale del socio  ed il conseguente obbligo di iscrizione.

Nel caso de quo, gli Ermellini hanno ricordato che la sola qualità di socio non è automatica conseguenza di iscrizione alla gestione commercianti, ben dovendo l'Inps dimostrare l'abitualità e prevalenza dell'attività all'interno dell'azienda. La norma di riferimento è la Legge 1397 del 1960, seguita da altre norme che hanno allargato la platea dei soggetti obbligati all'iscrizione, sino anche ad includere le società a responsabilità limitata. Ebbene, affinché sorga l'obbligo di iscrizione per un socio accomandatario è richiesto congiuntamente il requisito della responsabilità illimitata e la partecipazione personale al lavoro con carattere di abitualità e prevalenza. Quindi, non è sostenibile l'obbligo di iscrizione per il solo fatto di essere socio accomandatario risultando distinti i poteri di amministrazione da quelli di gestione dell'attività commerciale.

In conclusione, i Giudici nomofilattici hanno cassato la sentenza impugnata e sospeso la cartella.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo.

Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro

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Modificato: 6 Marzo 2017