21 Febbraio 2022

Indagine della Fondazione Studi su “Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo approccio al lavoro” sulla scorta dei dati delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. E’ emerso che dei lavoratori dimessisi, uno su due non ha trovato nuova occupazione. Dunque sono state “dimissioni volontarie senza paracadute sociale”. Le riflessioni del Presidente di Fondazione Studi, Rosario de Luca, sull’indagine sociale rappresentata alla stampa il 18 febbraio scorso.


E’ luogo comune che chi si licenzia (id: rassegna dimissioni volontarie e, pertanto, non ha diritto alla NASPI) ABBIA GIA’ PRONTO UN NUOVO POSTO DI LAVORO.

La Fondazione Studi, presieduta da Rosario de Luca, ha condotto un’indagine in subiecta materia e le risultanze, presentate alla stampa il 18 febbraio scorso, sono state a dir poco sconvolgenti: una percentuale non irrisoria di dimissioni volontarie non ha trovato successivamente nuova occupazione. Ergo si è trattato di dimissioni volontarie senza paracadute sociale.

L’indagine della Fondazione Studi si è basata sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Nel novero del milione e 81 mila lavoratori italiani che nei primi nove mesi dello scorso anno ha lasciato di propria iniziativa il posto di lavoro, quasi uno su due non risulta tra i nuovi assunti alla fine del III trimestre 2021.

A queste conclusioni è giunta l’indagine “Le dimissioni in Italia tra crisi, ripresa e nuovo approccio al lavoro”, realizzata da Fondazione Studi Consulenti del Lavoro sui dati delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che fotografa il fenomeno della cessazione volontaria del rapporto di lavoro per cause diverse dal pensionamento in Italia, trasversale per categorie e settori merceologici oltre che per dislocazione geografica.

Le indicazioni più interessanti si rintracciano nelle caratteristiche anagrafiche e professionali dei dimissionari: in maggior parte giovani (43,2% sul totale), a bassa scolarizzazione (54,4%) e residenti al Nord (56,4%).

Ma nel confronto tra i primi tre trimestri del 2019 con quelli del 2021 colpisce la crescita ‒ in contro tendenza rispetto ai dati che indicano nella fascia dei lavori precari (52,9%), a medio/bassa qualificazione e spesso part-time quella a più alto tasso d’incidenza ‒ dei numeri relativi alle dimissioni tra gli adulti, i laureati e tra chi svolge una professione qualificata.

Se la media generale di chi lascia la propria occupazione cresce del 13,8% nel 2021 sul 2019, quella che riguarda i lavoratori tra i 45 e i 55 anni e gli over 55 sale rispettivamente al 17 e al 21,5%; segnano un +17,7% i dimissionari laureati rispetto al 12,9% dei diplomati mentre, guardando al profilo professionale, si evidenzia un tasso di crescita più consistente ai vertici e alla base della piramide professionale (rispettivamente +22% e +23% rispetto al 2019).

La fotografia del fenomeno non risparmia l’analisi settoriale che vede il comparto dei servizi come protagonista con il 69,4% dei dimissionari, in una proporzione coerente alla distribuzione degli occupati, per lo più nel commercio all’ingrosso (13,4%), nelle attività di alloggio e ristorazione (12,6%) e nella sanità (7,1%), comparto, quest’ultimo, dove la scelta sembra imputabile alla crescita della domanda dovuta all’emergenza o a fenomeni di burn out lavorativo.

Particolare il caso del settore delle costruzioni che contribuisce al totale delle cessazioni volontarie con il 9,7%: la ripresa del mercato e le crescenti difficoltà di reclutamento di nuove professionalità in questo settore fanno impennare al 47,1% la variazione percentuale rispetto allo stesso periodo del 2019.

«Il fenomeno delle dimissioni volontarie non è nuovo per la realtà italiana ma lo è il suo incremento – ha affermato Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

Ne capiremo solo nei prossimi mesi la vera portata, soprattutto rispetto alle motivazioni, visto che non è possibile stimare all’interno della quota di lavoratori dimessi e non rioccupati quanti potrebbero aver deciso di avviare un’attività in proprio, essersi occupati irregolarmente o più semplicemente aver deciso di smettere di lavorare. Ancora una volta emerge, tra l’altro, che le maggiori opportunità di rioccupazione riguardano quei profili tecnici e specializzati dove è più alto il divario domanda/offerta, mentre i più penalizzati nella ricollocazione successiva sono i lavoratori a basso tasso di formazione e occupazione. È urgente investire su queste direttrici per adeguare le competenze alla nuova realtà che ci troviamo a vivere nel post-pandemia”, ha concluso De Luca.

Buon lavoro

Ad maiora


IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Redazione a cura della Commissione Comunicazione Istituzionale del CPO di Napoli.

ED/ED

Condividi:

Modificato: 2 Agosto 2023