23 Aprile 2020

La Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro ha analizzato l’impatto delle chiusure aziendali per COVID-19 sui bilanci delle famiglie dei lavoratori. Tra i profili sociali in bilico ci sono i giovani.

 

Con la chiusura totale di quasi tutte le attività produttive e dei servizi (bar, ristoranti, saloni di barbieri, parrucchieri, industrie) allo scopo di evitare il contagio da assembramenti od impossibilità di distanziamento sociale, c’è stato l’inevitabile impatto “sulle economie delle famiglie dei lavoratori dipendenti da tali attività sospese con provvedimento governativo”.

Se n’è occupato la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro che, attraverso un comunicato stampa e con statistiche alla mano, ha rappresentato la situazione economica di tante famiglie.

Un poco come i ragionamenti che facevamo noi singoli consulenti del lavoro quando abbiamo approntato le pratiche degli ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti da aziende sospese per COVID-19.

La domanda ricorrente era sempre quella: ”Quando finirà l’emergenza”? “Quante riprenderanno l’attività”? “Che ne sarà di tanti lavoratori e di famiglie monoreddito”?

Poi, l’analisi della Fondazione Studi ha reso, purtroppo, tutto maledettamente più chiaro ed anche le TV hanno iniziato ad interrogarsi non tanto sui tempi della fase 2 piuttosto di quali e quante aziende la vedranno e se saranno in grado, sia pure con la garanzia dello Stato, di indebitarsi per riprendere il lavoro specie se trattasi di piccole e medie imprese.

Nel frattempo, la Fondazione Studi ha stabilito che la sospensione, anche se temporanea, delle attività produttive per fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha causato per 3,7 milioni di lavoratori il venir meno dell’unica fonte di reddito familiare.

Ad essere più colpite le coppie con figli (1.377 mila, 37%) e genitori “soli” (439 mila, 12%) con il rischio di non riuscire a fronteggiare le spese quotidiane.

Un dato preoccupante se si considera che ben il 47,7% dei lavoratori dipendenti dei settori “che hanno chiuso” guadagnava meno di 1.250 euro mensili e il 24,2% si trovava addirittura sotto la soglia dei mille euro.

Dunque, aumentano le famiglie in ristrettezza economica!!

Ad essere coinvolta, oltre ai ceti più deboli a rischio (o già in) povertà, è anche la vasta platea di lavoratori a reddito medio-basso, per la quale l’assenza di reddito anche per un solo mese può determinare una situazione di grave disagio.

Tra i profili sociali in bilico ci sono, poi, i giovani che rischiano di scontare un notevole disagio: stipendi più bassi (oltre il 60% della popolazione 25-29 anni abitualmente non supera i 1.250 euro), dovuti alla minore anzianità lavorativa, vuol dire per gli under 30 anche una inferiore disponibilità di risparmio da poter utilizzare in questa fase emergenziale.

Meno critica, in generale, potrebbe sembrare la situazione di altre popolazioni, come ad esempio quella delle donne, più largamente occupate nella Pubblica Amministrazione.

Tuttavia, se osserviamo la sub-popolazione degli occupati costretti a casa dall’emergenza sanitaria, scopriamo che 2,5 milioni di donne (in particolare le addette nelle attività di vendita e le occupate part time) sono per 2/3 (65,8%) al di sotto di uno stipendio di 1.250 euro al mese contro il 36% dei maschi.

Da un punto di vista territoriale è al Sud che si ha la maggiore concentrazione di disagio con una incidenza, tra i lavoratori dipendenti temporaneamente senza lavoro, dei monoreddito, pari al 49,6% (contro il 35,2% dei residenti del Centro e il 34,3% del Nord Italia).

La situazione appare più critica tra gli autonomi: non solo la

quota di quanti non lavorano per effetto delle chiusure da COVID-19 è più alta (55% contro il 38,2% dei dipendenti), ma tra questi ultimi è più elevata anche la percentuale di chi vive in famiglie monoreddito (sono il 42% contro il 38% dei dipendenti), e dove pertanto nei mesi in questione viene a mancare l’unica fonte di reddito familiare. “I provvedimenti adottati a tutela della salute pubblica hanno esposto a maggiore rischio proprio i lavoratori meno qualificati e a più basso reddito, che avrebbero invece avuto bisogno di più tutele.

Si pensi alla chiusura dei comparti manifatturieri, al lavoro artigiano e operaio, all’edilizia o al commercio”, ha dichiarato la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone.

“Al contrario chi ha potuto contare sulla continuità lavorativa tramite smart working sono stati soprattutto i lavoratori della conoscenza, impiegati e quadri di aziende pubbliche e private, professioni a più alta qualificazione, che vantano titoli di studio e redditi più elevati.

In tale ottica, ha poi concluso la Presidente Marina Calderonel’emergenza COVID-19 sta avendo a livello occupazionale un vero e proprio effetto divaricante, amplificando il disagio sociale in quei segmenti socio-territoriali che già si trovavano in condizioni economiche molto precarie e mettendo in grande difficoltà anche quella vasta platea di famiglie abituate a gestire con grande oculatezza il proprio bilancio mensile e che non può contare su una riserva di risparmio sufficiente a garantire la copertura da eventuali rischi o emergenze come l’attuale”.

 

Buon lavoro.

 

Ad maiora

IL PRESIDENTE

EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Redazione a cura della Commissione Comunicazione Istituzionale del CPO di Napoli.

ED/FC

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Modificato: 3 Agosto 2023