15 Luglio 2020

ORDINAMENTI PROFESSIONALI TERRITORIALI E NAZIONALE DEI CONSULENTI DEL LAVORO. OCCORRONO CHIARIMENTI DEFINITIVI SE “IN TUTTO E PER TUTTO” DOBBIAMO PROCEDERE AGLI STESSI ADEMPIMENTI DELLA “ALTRE” PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI DELLO STATO. LA PRESA DI POSIZIONE, CON COINVOLGIMENTO DI TUTTI I CPO, DEL CNO. EMANATA LA CIRCOLARE N. 1160, PROT. N.0007182/U/CIRC. DEL 12 LUGLIO 2019.

 

Il problema dello status dei CPO (id: Ordinamenti Professionali Territoriali) e del CNO, in relazione alla Categoria dei Consulenti del Lavoro e delle altre professioni ordinistiche, ci è noto nel senso che sappiamo di essere nel novero degli “enti di diritto pubblico non economici”.

In tale ottica rientriamo tra i facenti parte degli Enti e Pubbliche Amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 165/2001 (id: T.U. del Pubblico Impiego), vi sottoponiamo bilanci da approvare redatti con le disposizioni per le Pubbliche Amministrazioni, eroghiamo retribuzioni pattuite dall’ARAN con le OO.SS. dei lavoratori.

E, facente parte ancora della premessa iniziale, non siamo a carico dello Stato, non graviamo sulla collettività.

Tanto per rimanere in tema di P.A., la ns. unica collettività è rappresentata dagli iscritti a cui dobbiamo economicità e trasparenza nella gestione delle loro quote di iscrizione. Del resto, come qualsiasi altra impresa privata partecipata con quote di soci.

E non solo: questa collettività, rappresentata dagli iscritti, elegge un collegio sindacale per il controllo dei conti.

Nemmeno la ns. previdenza percepisce contributi dallo Stato.

L’Enpacl eroga le prestazioni (pensioni, provvidenze, indennità) con le ns. contribuzioni, calcolate in percentuale sul reddito, tenuto conto della sostenibilità in lungo periodo (anche 50 anni) del ns. sistema previdenziale attraverso periodici bilanci tecnici attuariali.

Orbene, mentre per alcune cose siamo Enti di Diritto Pubblico non economici che non hanno nulla a che vedere con la vera Pubblica Amministrazione, per altre, dunque, si assiste a qualche richiesta del M.E.F. di cose la cui lettura ci getta nell’incredulità più assoluta.

E su questo ultimo aspetto il ns. Consiglio Nazionale, l’altro giorno, ha preso posizione, coinvolgendo tutti i CPO e per essi voi.

Il CNO ha emanato il 12 luglio 2019 la circolare N. 1160, Prot.0007182/U/CIRC. dal titolo “Obblighi ed adempimenti richiesti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze”.

Il CNO, attraverso la Presidente Marina Calderone, si rivolge al CPO ed a Voi in questo modo:

 

Illustre Presidente, Caro Collega

sono pervenute nelle scorse settimane a diversi Consigli Provinciali dell’Ordine alcune comunicazioni da parte di uffici afferenti al Ministero dell’Economia, con richiesta di effettuare adempimenti e comunicazioni previsti in via generale dalla legge con riferimento al comparto delle pubbliche amministrazioni.

Ferma restando l’autonomia di ciascun Consiglio Provinciale che, in quanto persona giuridica di diritto pubblico, è chiamato ad interpretare e ad applicare responsabilmente in modo autonomo le norme vigenti, si è pensato con la presente circolare di segnalare come il Consiglio Nazionale stia valutando le predette richieste, anche al fine di fornire un sussidio ermeneutico utile ad orientarsi in un quadro giuridico tutt’altro che semplice.

Le richieste pervenute attengono a tre ambiti:

rilevazione dei costi del personale prevista dal titolo V del T.U. pubblico impiego;

– revisione periodica delle partecipazioni pubbliche e censimento delle partecipazioni e dei rappresentanti in organi di governo di società ed enti;

– comunicazione stock debiti insoluti.

Con riferimento al primo ambito, si osserva quanto segue.

Con circolare n. 15 del 16 maggio 2019, la Ragioneria generale dello Stato ha esteso per la prima volta agli Ordini professionali la rilevazione dei costi del personale da tempo prevista per tutte le amministrazioni che gravano sul sistema della finanza pubblica. Ciò sulla base della laconica affermazione per cui si dovrebbe “dare piena attuazione al dettato dell’art. 1, comma 2, del d. lgsl. n. 165/2001 nella parte in cui individua come amministrazioni pubbliche tutti gli enti pubblici non economici” (cfr. Circ. cit., pag. 4). La circolare, pur contenendo il predetto inciso, non è stata inviata al Consiglio Nazionale e agli Ordini Provinciali, né risulta inviata ad altri Ordini professionali; taluni Consigli Provinciali hanno tuttavia ricevuto dei solleciti ad evadere il predetto obbligo, con termine al 20 settembre p.v.

Chi ha ricevuto il sollecito può constatare come lo stesso preveda una serie invero ampia di adempimenti, del tutto sproporzionati rispetto alla struttura del personale in carico agli enti professionali. Trattandosi poi di obblighi funzionali a consentire il monitoraggio della spesa pubblica imputabile al costo del personale, considerato che il personale degli ordini, così come qualsiasi altra spesa, non grava sullo Stato per espressa disposizione di legge (art. 2, comma 2-bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, come convertito con legge n. 125 del 2013), la Ragioneria dello Stato potrebbe trovarsi paradossalmente nella necessità di scomputare i dati di provenienza ordinistica dalla massa complessiva dei dati ricevuti, a meno di non alterare il quadro ricognitivo, e ricomprendere nei costi del conto annuale 2018 anche costi che non gravano su di esso.

La questione di fondo, tuttavia, è che il mero richiamo alla nozione di “pubblica amministrazione” o, al plurale, di “pubbliche amministrazioni”, non è di per sé sufficiente a ricomprendere sempre e comunque anche gli ordini professionali nella sfera di applicazione soggettiva di disposizioni dettate in via generica per il comparto pubblico. Come insegna autorevole dottrina (P. A. CAPOTOSTI, Parere pro veritate in ordine alla applicabilità agli ordini ed ai collegi professionali della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in data 29 gennaio 2014, reperibile nel sito del CUP www.cuprofessioni.it, area rapporti istituzionali), i richiami al comparto pubblico debbono essere contestualizzati nell’ambito delle varie discipline di settore e, in concreto, la risposta alla domanda circa l’applicabilità o meno di taluni obblighi anche in capo agli ordini professionali, non può che risultare da una valutazione delle finalità specifiche delle discipline considerate, nel quadro di un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del quadro giuridico conferente, che sappia comunque bilanciare nel singolo caso la indiscussa natura pubblica dell’ente professionale con l’altrettanto indiscussa specialità di una figura soggettiva prevista dall’ordinamento quale espressione autonoma di comunità professionali, formazioni sociali protette dall’art. 2 della Costituzione. In questa ottica, il TAR Sicilia ha, ad esempio, di recente escluso la soggezione degli ordini alla normativa sulla contabilità generale dello Stato, ritenendo piuttosto che, ai fini della applicazione di determinati plessi normativi agli ordini professionali, siano necessarie inequivocabili previsioni legislative che li richiamino espressamente: il Giudice amministrativo fa al riguardo l’esempio della normativa generale in materia di trasparenza dove, per effetto della novella di cui al decreto correttivo del 2016, l’applicazione agli ordini è stata disposta non già in funzione richiamo all’elenco di cui all’art. 1, comma 2, T.U. pubblico impiego, di per sé insufficiente, bensì in ragione di norma specifica, e fatta salva la clausola di compatibilità (Tar Sicilia, sez. Catania, 5 dicembre 2018, n. 2307, pag. 14).

Alla luce di tali valutazioni, il Consiglio Nazionale, nella seduta del 10 luglio 2019, ha deliberato di non effettuare le comunicazioni di cui alla circolare predetta, ed ha contestualmente conferito mandato per l’impugnazione della stessa circolare. Giova, infatti, per completezza ricordare che, in caso di inadempienza, la circolare in questione contempla – invero senza chiarirne la base legale all’interno delle norme che dispongono gli obblighi comunicativi – talune sanzioni, seppur di importo non elevato; si tratta delle sanzioni previste dalla normativa che fa “obbligo a tutte le amministrazioni, enti e organismi pubblici di fornire tutti i dati che vengano loro richiesti per le rilevazioni previste dal programma statistico nazionale” (art. 7, d. lgsl. 322/1989), e prevede per gli enti inadempienti, una sanzione amministrativa pecuniaria “nella misura minima di lire un milione e massima di lire dieci milioni” (art. 11, d. lgsl. 322/1989; si tratta di fonti risalenti, le cifre in lire devono essere ovviamente attualizzate in euro).

Considerazioni analoghe a quelle di cui al punto che precede possono essere svolte, mutatis mutandis, con riferimento ad altre richieste di recente pervenute con riferimento alla revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (art. 20 del d. lgsl. 175/2016) e al censimento delle partecipazioni e dei rappresentanti in organi di governo di società ed enti (art. 17 del D.L. 90/2014). Con nota del Direttore Generale in data 12 aprile 2019, il Consiglio Nazionale ha già segnalato ai competenti uffici MEF che le richieste in questione sono riferibili a normative finalizzate alla razionalizzazione e alla riduzione della spesa pubblica e, per le ragioni già esposte, non appaiono applicabili agli ordini professionali.

Da ultimo vanno considerate le richieste pervenute ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 867, dell’ultima finanziaria (legge 145/2018), che pone l’obbligo di comunicazione dello stock di debito in capo alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 della L. 196/2009, che a sua volta richiama l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, (T.U. pubblico impiego). Si ripropone, dunque, anche in questo caso, la questione sistemica relativa all’estensibilità agli Ordini della normativa destinata alle pubbliche amministrazioni. Alle considerazioni sopra esposte che, come detto, depongono nel senso della inapplicabilità di tali previsioni agli ordini professionali, va aggiunta l’ulteriore considerazione che queste ultime rilevazioni sono palesemente rivolte a superare l’annoso problema della lentezza con cui le amministrazioni pubbliche pagano i propri fornitori; si tratta, cioè, di un fenomeno pressoché sconosciuto agli ordini professionali, che per dimensioni e consolidate regole di buona amministrazione, pagano con solerzia i beni e i servizi che acquisiscono.

In ogni caso, si osserva che la normativa in questione non prevede vere e proprie ‘sanzioni’ derivanti dalla mancata comunicazione, ma solo conseguenze che scattano, peraltro, solo se l’ente non gestisce i suoi debiti in modo efficiente.

Infatti, nel successivo comma 868 del medesimo art. 1, legge cit., si afferma che “a decorrere dal 2020, le misure di cui al comma 862, lett. a), al comma 864, lett. a) e 865, lett. a) si applicano anche alle amministrazioni pubbliche … che non hanno trasmesso alla piattaforma elettronica le comunicazioni di cui al comma 867…”.

Queste misure sono le seguenti:

– comma 862, lett. a): stanziare nella parte corrente del proprio bilancio un accantonamento denominato Fondo di garanzia debiti commerciali, sul quale non è possibile disporre impegni e pagamenti, che a fine esercizio confluisce nella quota libera del risultato di amministrazione, per un importo pari al 5 per cento degli stanziamenti riguardanti, nell’esercizio in corso, la spesa per acquisto di beni e servizi, in caso di mancata riduzione del 10 per cento del debito commerciale residuo oppure per ritardi superiori a sessanta giorni, registrati nell’esercizio precedente;

– comma 864, lett. a): ridurre del 3 per cento i costi di competenza per consumi intermedi dell’anno in corso (anno T) rispetto a quelli registrati nell’anno precedente (anno T – 1), qualora registrino ritardi superiori a sessanta giorni, oppure in caso di mancata riduzione di almeno il 10 per cento del debito commerciale residuo;

– comma 865, lett. a): integrare i contratti dei direttori generali e dei direttori amministrativi degli enti inserendo uno specifico obiettivo volto al rispetto dei tempi di pagamento ai fini del riconoscimento dell’indennità di risultato. In particolare, prevedere il mancato riconoscimento della quota dell’indennità di risultato qualora l’%3

Condividi:

Modificato: 3 Agosto 2023