7 Luglio 2020

COVID-19. Ripresa delle attività e pericolo di contagio tra i lavoratori. L’evento è rubricato tra gli infortuni sul lavoro con possibilità di condanna penale per il datore di lavoro. Chi sono i dipendenti più a rischio di contagio e quali le misure idonee ad evitare il contagio. Interessante report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro presieduta da Rosario De Luca dal titolo “Lavorare ai tempi del COVID-19: il rischio contagio tra gli occupati italiani”

 

Ormai le attività economico-produttive sono in fase di avanzata ripresa sia pure con tutte le cautele che, all’uopo, sono state imposte da Protocolli Nazionali e Ordinanze Regionali ovvero dall’INAIL.

Già perché, come vi è noto, il contagio da virus COVID-19 è infortunio sul lavoro con tutte le conseguenze (riconoscimento di responsabilità del datore di lavoro e azione di rivalsa dell’Istituto assicuratore).

Il fatto è che siamo nella fase in cui non è più necessario il lockdown, vale a dire la chiusura totale di tante attività che presuppongono il rischio di assembramento e che, avendo perso forza di contagiosità, bisogna convivere con il virus cercando di non esserne contagiato adoperando tante cautele quali il distanziamento sociale, il lavaggio continuo delle mani, non strofinarsi gli occhi e usare la mascherina.

La Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro, in occasione di questa ripresa delle attività, ha svolto un interessante report sui lavoratori che, maggiormente, possono essere sottoposti a rischio contagio tenendo conto di 5 fattori di rischio: frequenza di contatti con altre persone, interazione con il pubblico, lavoro al chiuso, vicinanza fisica ad altre persone, frequenza esposizione a malattie e infezioni.

Tale report si intitola “Lavorare ai tempi del COVID-19: il rischio contagio tra gli occupati italiani”.

Questa indagine della Fondazione Studi ha evidenziato che sono soprattutto donne, professionisti ad elevata istruzione e giovani ad essere maggiormente esposti a rischio contagio da malattie infettive respiratorie come il Coronavirus che, nonostante il rallentamento della presa epidemica nel nostro Paese, continua a rappresentare una minaccia. Sono i luoghi di lavoro, del resto, gli ambiti più rischiosi: non solo perché frequentati da una quota importante di popolazione ma, soprattutto, per il tempo che vi si trascorre. L’esposizione al contagio risulta poi differente in funzione dell’attività professionale svolta. Le donne che potrebbero essere contagiate sono 4 mln 345 mila e rappresentano il 44% delle occupate. Di questa percentuale il 21,6% svolge una professione a rischio contagio molto elevato e il 22,4% elevato. Valori che risultano di gran lunga più alti di quelli che si riscontrano tra gli uomini (svolge un lavoro rischioso per il contagio il 16,4% degli occupati). Anche i giovani, del resto, sono più frequentemente occupati in lavori a stretto contatto con il pubblico (commercio, ristorazione) e, pertanto, presentano una maggiore possibilità di contrarre il virus: tra gli under 35 il 35,1% svolge una professione ad altro rischio, mentre nelle altre fasce d’età la percentuale si riduce attorno al 27%. Il livello di istruzione è un altro fattore distintivo correlato al rischio, rilevandosi più alto nelle classi di istruzione più elevate: il 40,9% dei laureati (di questi, il 22,9% con rischio molto elevato) contro il 27% dei diplomati e il 20,9% di quanti sono in possesso del diploma di scuola media. Passando alla classifica delle professioni più a rischio, in testa vi sono quelle legate alla salute: medici (308 mila), infermieri, radiologi, esperti di diagnostica (736 mila) e professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, come massaggiatori sportivi, operatori sociosanitari, assistenti di studi medici (258 mila). A seguire, gli specialisti delle scienze della vita come farmacisti, biologi, ma anche veterinari (150 mila) e professori della scuola primaria (485 mila). Poi, gli operatori della cura estetica (277 mila), tecnici dei servizi sociali (88 mila), figure addette ai servizi personali e assimilati come baby-sitter, badanti, addetti alla sorveglianza bambini o assistenza personale (492 mila) e assistenti di viaggio (19 mila). Ad essere esposti, inoltre, gli esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, professori di scuola secondaria e post-secondaria, addetti all’accoglienza e all’informazione della clientela, specialisti dell’educazione e della formazione e, infine, il personale addetto agli sportelli e ai movimenti di denaro. Lo studio si focalizza, poi, sulla distribuzione dei lavoratori per area geografica, evidenziando come, nonostante il contagio abbia interessato maggiormente il Nord Italia, il potenziale di diffusione tra i lavoratori è più alto al Sud dove, vista la concentrazione di determinate professioni, ben il 31,3% degli occupati risulta esposto contro il 28,5% del Centro e il 26,5% del Settentrione.

I datori di lavoro non devono abbassare la guardia”, ha dichiarato il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca. “È fondamentale anche nei mesi a venire assicurare il contenimento del contagio nei luoghi di lavoro attraverso la riorganizzazione degli spazi e l’adozione di misure precauzionali che tutelino la salute dei lavoratori. Contemporaneamente, però, è necessario salvaguardare anche i datori di lavoro virtuosi, che pur avendo attuato tutte le norme necessarie ad impedire il contagio, possono essere soggetti alla responsabilità penale, con il pericolo di vedersi riconosciuto il proprio comportamento lecito solo alla fine del procedimento", ha concluso il Presidente Rosario De Luca.

Buon Lavoro

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Redazione a cura della Commissione Comunicazione Istituzionale del CPO di Napoli.

ED/FC

 

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Modificato: 3 Agosto 2023